Per gli industriali con il no alla riforma Boschi il Pil cala di quattro punti in tre anni, gli investimenti crollano di venti punti, si perdono 600 mila posti di lavoro. Uno scenario da incubo che rischia però il cortocircuito. Come in Gran Bretagna per la Brexit
da repubblica
ROMA - Altro che Brexit. Se vince il no al referendum costituzionale di ottobre, l'Italia ripiomba in una nuova recessione e nel caos politico. Con il Pil già di 4 punti percentuali nel triennio 2017-2019, 600 mila posti di lavoro in meno e un crollo di venti punti degli investimenti. Uno scenario da incubo quello tratteggiato dal Centro studi di Confindustria. Che però rischia, in questo clima arroventato, di
sortire l'effetto opposto. Come successo in Gran Bretagna, dove gli elettori nel segreto dell'urna hanno risospinto le più lugubri previsioni (o minacce) che li hanno bombardati nel giorni precedenti al voto, dall'Fmi alla Bce, dalle agenzie di rating a Juncker.
Eppure Confindustria ritiene "inevitabile una nuova recessione" tra il 2017 e il 2019 con il no alla riforma Boschi. Il "caos politico" - spiega il capo economista del Centro studi, Luca Paolazzi - trascinerebbe il Pil all'inferno, 4 punti percentuali in meno nel triennio sullo scenario di base. Salterebbero 600 mila posti di lavoro e 20 punti percentuali di investimenti. Il 'no' sarebbe lo specchio di un Paese "che non vuole riformarsi, modernizzarsi e darsi una governance più chiara".
La recessione giungerebbe "in una situazione già molto difficile, in cui una lenta risalita, dopo la profonda doppia recessione avvenuta tra il 2007 e il 2014, è iniziata da poco più di un anno e i livelli di reddito e occupazione sono ancora molto bassi rispetto alla situazione pre-crisi". Il paese, già estremamente provato, "dovrebbe fronteggiare una nuova, grave, emergenza economica, con inevitabili spinte verso soluzioni populistiche". Non solo. La vittoria del no dunque porterebbe allo sconquasso.
"Il premier sarebbe costretto, per coerenza con l'impegno assunto di cambiare il Paese quale sua cifra politica, a rassegnare le dimissioni. Il Presidente della Repubblica difficilmente riuscirebbe a formare un nuovo governo, date le divisioni interne alla stessa maggioranza attuale, oltre che nell'opposizione. Verrebbero indette nuove elezioni. Tenendo conto che sarebbero in vigore due sistemi elettorali diversi per i due rami del Parlamento, dalle elezioni potrebbe non uscire una maggioranza parlamentare unica, alimentando ulteriore turbolenza e incertezza sulla governabilità del Paese".
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