TIRRENO POWER DI VADO LIGURE, UNA VITTORIA DAL SAPORE
AMARO
Riportiamo le considerazioni di Maurizio Loschi della
sezione di MD di Savona sull’annunciata cessazione dell’esercizio delle vecchie
sezioni a carbone della centrale Tirreno Power, di Vado
Ligure. Ricordiamo che sul tema della produzione di energia elettrica da carbone, inclusa la “storia” della centrale di Vado Ligure Medicina Democratica ha dedicato il numero 222-224 della rivista, scaricabile da questo sito e richiedibile in formato cartaceo.
Ligure. Ricordiamo che sul tema della produzione di energia elettrica da carbone, inclusa la “storia” della centrale di Vado Ligure Medicina Democratica ha dedicato il numero 222-224 della rivista, scaricabile da questo sito e richiedibile in formato cartaceo.
Rinuncia
definitiva all’attività dei gruppi a carbone della centrale elettrica Tirreno
Power di Vado Ligure: una vittoria dal sapore amaro.
Purtroppo la
maggior parte delle volte la chiusura di un sito altamente inquinante avviene
in un momento che coincide con la fine del periodo di sfruttamento degli
impianti.
Questo
dipende solitamente dal fatto che ci sono voluti:
- anni per prendere coscienza dell’inquinamento causato dalle emissioni di quelle produzioni,
- altri anni per costruire un’opposizione civile, da una denuncia del problema da parte di associazioni o cittadini più attenti, informati e sensibili, ma nell’indifferenza dei più,
- anni per ottenere un intervento significativo da parte di qualche istituzione o, più semplicemente, della magistratura,
e nel frattempo i danni alla salute della popolazione
residente, dei lavoratori ed all’ambiente sono diventati pesantissimi e, in
alcune occasioni, irreversibili. E intanto i responsabili, sia aziendali che
politici ed istituzionali si defilano, spariscono nella palude delle scatole
cinesi dei cambi di proprietà, delle continue variazioni delle direzioni
aziendali, dei rimpasti e dei cambi di governo locali nonchè della cupola
protettiva della prescrizione. Restano al territorio i conti da pagare in
termini di malati, morti, disoccupati, di zone da bonificare. E così è avvenuto
anche in questa occasione, e per questo la decisione annunciata tramite i media
dal CDA della Tirreno Power dell’intenzione di rinunciare a proseguire la
produzione dell’energia elettrica a Vado Ligure/Quiliano tramite la combustione
del Carbone (sempre che fossero riusciti a ottenere il dissequestro dei gruppi
spenti forzatamente da un provvedimento giudiziario di ormai due anni fa),
benché fosse l’obiettivo principale dell’insieme delle organizzazioni raccolte
dentro la Rete Fermiamo il Carbone, non ha consentito alcun festeggiamento. Anche
se qualche anno di anticipo della chiusura ha sicuramente salvato decine e
decine di persone ed interrotto un pesantissimo inquinamento ambientale,
risultato del quale dobbiamo essere grati a tutti quelli che con coraggio e
perseveranza si sono impegnati in prima persona, ai comitati territoriali, ai
medici in prima linea, le carte dell’inchiesta che ha portato al sequestro
cautelativo dei gruppi hanno dimostrato che l’intenzione aziendale era proprio
quella di spremere fino all’ultimo gli impianti ormai obsoleti,
irrimediabilmente vetusti e impossibili da ammodernare, ma proprio per questo
completamente ammortizzati e privi di costi significativi, mentre ogni promessa
di investimento in nuovi gruppi, per quanto improponibili poiché sempre a
carbone, era semplicemente uno “specchietto per le allodole” per ottenere
l’autorizzazione a proseguire con quelli vecchi. Risulta quindi ancora più
vuota l’affermazione che i comitati hanno fatto chiudere la Centrale, non solo
perché se ciò è avvenuto è stato per la determinazione di una Procura che ha
raccolto elementi probanti estremamente significativi sui danni che
quell’azienda stava procurando alla zona ed alla popolazione residente,
inchiesta nata per l’azione dei comitati ma che poi è proseguita autonomamente
per opera della Magistratura, ma soprattutto perché quel destino era già
stato definito dai progetti aziendali, messi a nudo dall’attività investigativa
e confermati dalle carte processuali. Ancora una volta pertanto, così come per
l’Eternit, la Farmoplant, l’ACNA e tantissime altre realtà industriali, la
miopia sindacale nel non voler vedere quello che era sotto gli occhi di tutti
ha impedito che si avviasse dall’interno dello stabilimento una vera battaglia
per la riconversione degli impianti, in senso ambientalista ma anche
industriale, e che a pagare un ulteriore prezzo fossero, oltre che i cittadini,
anche i lavoratori.
Loschi
Maurizio
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