(Da Il Manifesto)
Egitto. Roma aumenta il business: nel 2015 da 32 a 37 milioni di euro. Gran parte della «merce» è finita nelle mani delle forze di sicurezza del golpista al Sisi.
Un paio di mesi fa il governo italiano ha richiamato per consultazioni l’ambasciatore italiano al Cairo Maurizio Massari (mandato poi a sostituire Calenda a Bruxelles), salvo poi sostituirlo un mese dopo con Giampaolo Cantini, che ancora non ha preso possesso della sede. Si cambia ambasciatore per continuare a far finta di niente sul caso Regeni.
Qualcosa però nel frattempo è cambiato: le nostre esportazioni di armi verso l’Egitto. Che sono aumentate. Dai 32 milioni di euro di armi vendute nel 2014 ai 37 milioni di euro nel 2015...
Intanto quella relazione registra un terribile aumento delle vendite di armi italiane nel mondo: da 2,9 miliardi (2014) a 8,2 miliardi (2015) di valore di armi smerciate a destra e a manca. Un business che dà sicuramente lavoro, o meglio procura affari: ai mercanti di morte. Va ricordato che la legge 185 del 1990 regolamenta il commercio di armamenti e stabilisce il divieto della vendita di armi a paesi in guerra o che violano i diritti umani.
Per il governo italiano il regime di Al Sisi evidentemente non rientra in questa categoria. I diritti umani vengono invocati per fare le guerre (come in Iraq e in Afganistan) e mai per vietare la vendita delle armi ai regimi che quei diritti li violano.
Il governo italiano è di «bocca buona» e continua a fare affari con un paese che incarcera gli attivisti democratici delle organizzazioni umanitarie e magari fa uccidere i ricercatori come Giulio Regeni...
...gran parte di quelle armi sono andate a finire alle forze di sicurezza egiziane che magari le hanno usate per reprimere le manifestazioni democratiche e sindacali ed impedire l’esercizio delle attività delle organizzazioni umanitarie. Si tratta di 30mila tra pistole e carabine e molto altro.
Importanti sono le (solite) aziende italiane coinvolte: la Beretta, la Oto Melara, la Benelli, la Selex. Nel 2014, la ministra Pinotti ha sottoscritto con il sanguinario regime di Al Sisi una prima dichiarazione congiunta di cooperazione militare (e sono state concretamente avviate le iniziative comuni) in vista di un accordo vero e proprio, che -per fortuna- non è stato ancora siglato...
Mesi fa un appello di Roberto Saviano, Stefano Benni, Valerio Mastandrea ed altri (appello che ha raccolto decine di migliaia di firme) ha chiesto al governo italiano di sospendere gli effetti della «dichiarazione congiunta» in materia di cooperazione militare con l’Egitto. E invece non solo la cooperazione militare continua, ma la vendita di armi sta aumentando....
Dal n. 9 del giornale proletari comunisti, con uno speciale su Giulio Regeni:
I legami al-Sisi/Renzi è uno dei nessi tra questione Egitto e questione Libia
“Dietro la guerra? Profitti!” Questo diceva il grande giornalista comunista John Reed.
Ma, ancor prima di lui Robert Clive, che creò la potenza delle Indie orientali britanniche e fu anche governatore del Bengala, spiegò e teorizzò l'interdipendenza tra espansione commerciale e forza delle armi, sintetizzandola in una frase: “I commerci finanziano le armi e le armi proteggono i commerci”.
Questo oggi è particolarmente evidente nell'attivismo commerciale e militare in progress dell'imperialismo italiano. In particolare se si pensa al regime di al-Sisi, Matteo Renzi è stato il primo capo di governo europeo a visitare il Cairo e ha partecipare ad un mega Forum economico a Sharm el Sheikh.
L'Eni è impegnato nella nuove esplorazioni con la mega scoperta del giacimento di Al-Zhor che vale a regime ben 200mila barili di petrolio al giorno e investimenti per almeno 12 miliardi di dollari.
Quella scoperta ha cementato un'amicizia che vale, in scambi commerciali (nel 2014), oltre 5 miliardi di euro e che in prospettiva mira a progetti per i quali complessivamente il governo egiziano ha annunciato di voler investire 80/90 miliardi di dollari nei prossimi anni.
Infine l'Egitto confina con la Libia, dove l'Italia nel 2011 ha perso terreno a causa dell'intervento franco-britannico per abbattere Gheddafi - sostenuto dalla Clinton, rispetto alla posizione più tiepida del suo presidente Obama. Quindi, l'Egitto è anche il garante, l'alleato principale nella zona dell'Italia, nel quadro dell'intervento-tentativo di riprendersi la Libia, o almeno riuscire a salvare la restante presenza dell'Eni che gestisce impianti strategici per il gas. Ma non ci sono solo i commerci e il petrolio, ma anche le telecomunicazioni e tutta la rete di presenza nel Mediterraneo, dato che la Libia è la porta dell'Africa Sub sariana dove vi sono importanti materie prime e tassi di crescita economica forti, su cui l'Italia vuole mettere le mani o almeno non essere tagliata fuori
Nessun commento:
Posta un commento