Nuovo caso Marò: profughi siriani perquisti e depredati dei loro averi durante Mare Nostrum
25
e 26 ottobre 2013. Una nave di uomini travisati ed armati fino ai denti
avvista un vecchio mercantile isolato in alto mare. Si dirige verso il
natante e lo abborda, facendone riunire in una stanza gli atterriti
passeggeri e le loro famiglie. Questi vengono poi fatti inginocchiare
verso il mare e perquisiti separatamente ad uno ad uno; i loro averi,
per un valore totale di circa 35.000 euro e 26.000 dollari USA - in
denaro contante ed effetti personali, tra cui una fede nuziale - vengono
gettati dentro sacchi neri. Gli occupanti del mercantile vengono poi
fatti salire sull'altra nave e deportati verso le basi degli incursori
sulla terraferma.
Ordinarie attività di pirateria al largo delle coste somale? No, Operazione Mare Nostrum nelle acque mediterranee a 45 miglia di distanza da Lampedusa. Ed a compiere "esercizio della navigazione col
fine di depredare per lucro privato" (come letteralmente vengono definite le imprese della filibusta da uno dei più comuni dizionari italiani) sarebbero stati 8 marò della Brigata San Marco secondo Reggimento Brindisi, di stanza sulla nave Chimera; mentre le vittime sono un centinaio di profughi di nazionalità siriana, poi condotti a Porto Empedocle. Ennesimo supplizio inferto ad una popolazione martoriata e costretta alla fuga dal proprio paese da oltre quattro anni di guerra per procura - combattuta sul suolo siriano da milizie mercenarie ed integraliste, al soldo dalle potenze petrolifere di entrambi i lati del Golfo Persico e dai loro padrini globali USA e Russia.
L'ipotesi contestata dalla Procura Militare di Napoli al sergente Massimo Metrangolo è di peculato militare aggravato e violata consegna, accusa quest'ultima rivolta anche a sette suoi commilitoni che lo hanno coadiuvato. Contrappasso ironico, nella sua tragicità, per una forza militare crescentemente deputata negli ultimi anni a salvaguardare le proprietà private dei grandi armatori e spedizionieri lungo le rotte marittime. Anche se il conto, come nell'emblematico caso dei marò Latorre e Girone, è pur sempre pagato da una collettività imbonita (o incattivita, se preferiamo) dalle retoriche dell' "orgoglio nazionale".
Imbarazzante il silenzio di testate solitamente prodighe di dissertazioni etiche ed estetiche sulla condizione migrante, di stigmi etnici e religiosi, di vittime e capri espiatori - persino sul Fatto Quotidiano di venerdì scorso la notizia ha trovato spazio solo nel trafiletto di una pagina sportiva, mentre su Repubblica è stata liquidata con un paio di righe nel corpo di un articolo di tutt'altra tensione emotiva. Segno di un mainstream precipitato ai livelli di attendibilità e strumentalità di Mattino Cinque - e duttilissimo nel riconvertire la propria grancassa, buonista o xenofoba a seconda della parrocchia di turno, ad impenetrabile muro di gomma.
Ordinarie attività di pirateria al largo delle coste somale? No, Operazione Mare Nostrum nelle acque mediterranee a 45 miglia di distanza da Lampedusa. Ed a compiere "esercizio della navigazione col
fine di depredare per lucro privato" (come letteralmente vengono definite le imprese della filibusta da uno dei più comuni dizionari italiani) sarebbero stati 8 marò della Brigata San Marco secondo Reggimento Brindisi, di stanza sulla nave Chimera; mentre le vittime sono un centinaio di profughi di nazionalità siriana, poi condotti a Porto Empedocle. Ennesimo supplizio inferto ad una popolazione martoriata e costretta alla fuga dal proprio paese da oltre quattro anni di guerra per procura - combattuta sul suolo siriano da milizie mercenarie ed integraliste, al soldo dalle potenze petrolifere di entrambi i lati del Golfo Persico e dai loro padrini globali USA e Russia.
L'ipotesi contestata dalla Procura Militare di Napoli al sergente Massimo Metrangolo è di peculato militare aggravato e violata consegna, accusa quest'ultima rivolta anche a sette suoi commilitoni che lo hanno coadiuvato. Contrappasso ironico, nella sua tragicità, per una forza militare crescentemente deputata negli ultimi anni a salvaguardare le proprietà private dei grandi armatori e spedizionieri lungo le rotte marittime. Anche se il conto, come nell'emblematico caso dei marò Latorre e Girone, è pur sempre pagato da una collettività imbonita (o incattivita, se preferiamo) dalle retoriche dell' "orgoglio nazionale".
Imbarazzante il silenzio di testate solitamente prodighe di dissertazioni etiche ed estetiche sulla condizione migrante, di stigmi etnici e religiosi, di vittime e capri espiatori - persino sul Fatto Quotidiano di venerdì scorso la notizia ha trovato spazio solo nel trafiletto di una pagina sportiva, mentre su Repubblica è stata liquidata con un paio di righe nel corpo di un articolo di tutt'altra tensione emotiva. Segno di un mainstream precipitato ai livelli di attendibilità e strumentalità di Mattino Cinque - e duttilissimo nel riconvertire la propria grancassa, buonista o xenofoba a seconda della parrocchia di turno, ad impenetrabile muro di gomma.
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