martedì 19 maggio 2015

pc 19 maggio - Libri e articoli interessanti sugli operai cinesi e le loro lotte dentro la nuova Cina imperialista

Morire per un iPhone. La Apple, la Fox­conn e la lotta degli ope­rai cinesi

di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto
L’atelier infernale degli smartphone 
Terre di Mezzo. Un’anticipazione dal saggio collettivo, pubblicato da Jacabook, dedicato ai rapporti tra la Foxconn e la Apple. Una forma di produzione diventata l’unico «modello»
Il volume Morire per un iPhone. La Apple, la Fox­conn e la lotta degli ope­rai cinesi di Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Sel­den (Jaca Book, pp. 269, euro 15) svela il lato oscuro della pro­du­zione elet­tro­nica, por­tando alla luce il caso esem­plare della con­di­zione di ope­raie e ope­rai cinesi che lavo­rano per un mar­chio com­mit­tente, la Apple, e per il suo gruppo appal­ta­tore, la Fox­conn. Si tratta del caso più ecla­tante di un regime di fabbrica-dormitorio ormai desti­nato a lasciare tracce pro­fonde nella società cinese e nel resto del mondo, indi­pen­den­te­mente dalle annun­ciate robotizzazioni.
Sotto la spinta della feb­brile domanda mon­diale di nuovi pro­dotti infor­ma­tici il regime di fab­brica della Fox­conn vin­cola la vita, i ritmi, gli orari di lavoro di più di un milione di lavo­ra­tori in Cina. Come nel caso del legame tra la Fox­conn e la Apple, altre mul­ti­na­zio­nali elet­tro­ni­che hanno impo­sto glo­bal­mente pro­cessi di pro­du­zione a ritmi disu­mani. Tut­ta­via il caso del rap­porto tra Apple e Fox­conn risalta tra gli altri per le dimen­sioni della forza-lavoro coin­volta e per l’intensità della sua erogazione.
La catena mortale 
Alle lavo­ra­trici e ai lavo­ra­tori toc­cano lun­ghi orari di lavoro, strin­genti cadenze pro­dut­tive, una siste­ma­zione sor­ve­gliata in dor­mi­tori azien­dali e salari che per­met­tono appena la soprav­vi­venza del sin­
golo lavo­ra­tore ma non del suo nucleo fami­gliare. Ne sono risul­tate con­di­zioni di vita ai limiti della sop­por­ta­zione che hanno pro­vo­cato una catena di sui­cidi attorno al 2010, (…), la più impres­sio­nante catena di autoan­nien­ta­mento in fab­bri­che non con­cen­tra­zio­na­rie della sto­ria del capi­ta­li­smo. La Fox­conn ha rea­gito eco­no­mi­ca­mente ponendo le infer­riate alle fine­stre dei suoi edi­fici per impe­dire i salti nel vuoto delle sue dispe­rate mae­stranze, il per­verso rime­dio tipico delle isti­tu­zioni totali moderne.
L’attenzione alla con­di­zione ope­raia è il filo con­dut­tore che guida gli autori per l’intero volume, com­presi il secondo e terzo capi­tolo che sono sì dedi­cati al pecu­liare rap­porto che la mul­ti­na­zio­nale Apple intrat­tiene con la mul­ti­na­zio­nale Fox­conn, ma che inten­dono anche get­tare le basi per rischia­rare il lavoro vivo nel nesso che lega le due imprese. Né l’una né l’altra sono state pio­niere nell’instaurare un rap­porto di appalto. Altre imprese le ave­vano pre­ce­dute. A comin­ciare dai primi anni Novanta, la pro­du­zione elet­tro­nica nor­da­me­ri­cana ed euro­pea è venuta affer­man­dosi come il set­tore a più alta ester­na­liz­za­zione, insieme con il tes­sile e l’abbigliamento.
La pecu­lia­rità dell’esternalizzazione di hard­ware elet­tro­nico è duplice: da un lato, il suo cen­tro di gra­vità si trova nell’Asia orien­tale e in par­ti­co­lare nelle grandi peri­fe­rie indu­striali della costa meri­dio­nale della Cina; dall’altro, in Cina il bacino di reclu­ta­mento con­si­ste in coorti di ado­le­scenti e di gio­vani appro­dati dalle cam­pa­gne alle catene di pro­du­zione come migranti interni e quindi come cit­ta­dini di seconda classe, essendo privi dei diritti alla resi­denza urbana e all’accesso ai beni e ai ser­vizi pub­blici legati alla resi­denza. Negata per via sala­riale alle ope­raie e agli ope­rai migranti la pos­si­bi­lità di costruirsi un nucleo fami­gliare, la tra­smis­sione della vita è o ritar­data o addos­sata ai parenti che sono rima­sti nelle cam­pa­gne o del tutto vani­fi­cata in amare rinunce. Una così ampia ridu­zione dello spa­zio di ripro­du­zione è un feno­meno quale non si veri­fi­cava dalla seconda guerra mondiale.
L’estrema par­si­mo­nia neces­sa­ria­mente appli­cata da ope­raie e ope­rai alla pro­pria vita quo­ti­diana alla Fox­conn si mani­fe­sta innan­zi­tutto nella scelta obbli­gata del 60 per cento circa delle mae­stranze di risie­dere nei dor­mi­tori dell’impresa, dove un posto letto in un came­rone con più letti a castello incide per un ven­te­simo del sala­rio men­sile, con­tro circa un terzo per l’affitto di una stanza all’esterno della fab­brica. L’invio alla fami­glia rima­sta in cam­pa­gna dei risparmi raci­mo­lati con i salari spesso ottem­pera all’obbligo morale della devo­zione filiale, anche se i legami fami­gliari vanno inde­bo­len­dosi nel corso degli anni. Lo scar­sis­simo tempo libero a dispo­si­zione è un fat­tore disci­pli­nante di prima gran­dezza che non viene pub­bli­ca­mente discusso se non da corag­giose mino­ranze poli­ti­che. Tut­ta­via sarebbe vano in Oriente come in Occi­dente chie­dere a gran parte dei mezzi di comu­ni­ca­zione di met­tere in rap­porto le con­di­zioni e l’orario lavoro con la man­cata aper­tura di un’arena di pub­blico dibat­tito, quello che viene comu­ne­mente chia­mato lo spa­zio della democrazia.
La dif­fi­cile ricomposizione 
Nell’ostentato assen­tei­smo del sin­da­cato uffi­ciale, l’autorganizzazione ope­raia all’interno della Fox­conn trova le sue limi­ta­zioni in tre prin­ci­pali vin­coli impo­sti alle mae­stranze: la dura disci­plina eser­ci­tata dalla Fox­conn, i tempi e i modi spa­smo­dici di pro­du­zione det­tati dai capi­to­lati di appalto della Apple e l’intesa cor­diale fra entrambe que­ste imprese e le ammi­ni­stra­zioni locali. Si tratta della tri­plice cappa che con­di­ziona e incombe sui pro­cessi di ricom­po­si­zione soli­dale della forza-lavoro. Il legame tra la Apple e la Fox­conn è forse il caso più evi­dente degli incerti equi­li­bri pro­dut­tivi odierni, dopo che i grandi mar­chi occi­den­tali hanno deciso di abbat­tere i loro costi e aumen­tare l’efficienza ester­na­liz­zando la fab­bri­ca­zione pre­va­len­te­mente in Asia. Que­sto modello di ester­na­liz­za­zione è dotato di una sua carat­te­ri­stica capa­cità d’irraggiamento glo­bale. La Fox­conn ha pro­mosso il modello come assetto esem­plare nelle sue fab­bri­che in Europa e nell’America latina.
Nel gergo degli inter­me­diari dell’esternalizzazione, la com­pres­sione dei prezzi da pagare ai for­ni­tori è chia­mata arbi­tra­ging, un signi­fi­ca­tivo slit­ta­mento lin­gui­stico rispetto all’arbitraggio sui titoli di borsa. Il carat­tere iugu­la­to­rio di que­sto labour arbi­tra­ging viene ven­duto come mani­fe­sta­zione del libero mer­cato. Le sue con­se­guenze ven­gono sca­ri­cate in larga parte sulle con­di­zioni di vita e di lavoro delle mae­stranze, in par­ti­co­lare in Asia. Essen­ziale è nel caso della mani­fat­tura elet­tro­nica la dispo­ni­bi­lità della forza-lavoro a un logo­rante sistema di fab­brica. Viene dun­que sele­zio­nata una forza-lavoro gio­vane, istruita, abbon­dante, disci­pli­na­bile entro rigide isti­tu­zioni, mobi­li­ta­bile e smo­bi­li­ta­bile entro tempi brevi.
Nell’elettronica come in altri set­tori, i mar­gini di sala­rio e di pro­fitto riser­vati alle imprese appal­ta­trici sono com­pressi dalla pre­pon­de­ranza eco­no­mica del com­mit­tente, gene­ral­mente un mar­chio glo­bale che lucra le forti dif­fe­renze tra il prezzo con­cesso all’impresa appal­ta­trice e il prezzo di ven­dita finale5. Così è stato anche finora nell’intreccio che la Apple ha man­te­nuto con la Foxconn.
Nell’Asia meri­dio­nale e orien­tale i sistemi delle aziende appal­ta­trici che for­ni­scono i grandi mar­chi si reg­gono sul mal­fermo pie­di­stallo di salari bassi o addi­rit­tura infimi, men­tre i magri utili locali pos­sono cre­scere in ragione dell’aumento della massa degli ope­rai occu­pati e del pro­lun­ga­mento dei loro orari di lavoro. Per con­tro, i pin­gui pro­fitti deri­vanti dal labour arbi­tra­ging ven­gono rastrel­lati dai grandi mar­chi che deten­gono e si spar­ti­scono le quote delle ven­dite finali. Nel caso della Fox­conn e della Apple in Cina, come gli autori di mostrano, i mar­gini della Fox­conn sono assai ristretti rispetto a quelli della Apple. Nel 2010 la Apple si appro­priava di ben il 58,5% del prezzo finale di un iPhone, seb­bene avesse com­ple­ta­mente ester­na­liz­zato la mani­fat­tura del pro­dotto. Sol­tanto l’1,8 per cento, ossia 9,88 dol­lari, era desti­nato al sala­rio delle mae­stranze in Cina. In breve, gli accordi ricor­renti su scala cre­scente tra la Apple e la Fox­conn rica­dono nella cate­go­ria del labour arbi­tra­ging. Va notato che i bassi salari, insieme con i lun­ghi orari di lavoro, sono un deci­sivo fat­tore di freno alla mobi­li­ta­zione infor­male e for­male dei sala­riati della Fox­conn, un fat­tore che può essere neu­tra­liz­zato dalle mae­stranze sol­tanto con la dedi­zione orga­niz­za­tiva di cui il movi­mento ope­raio in Cina ha dato ampie prove nel passato.
Reclu­ta­menti temporanei 
Le ammi­ni­stra­zioni locali non sono dovute inter­ve­nire se non epi­so­di­ca­mente per tron­care e sopire la mobi­li­ta­zione a favore di migliori con­di­zioni di vita e di lavoro. Molto più fre­quente e pun­tuale è risul­tato il loro ruolo nell’approntamento delle zone indu­striali e nell’opera di reclu­ta­mento e sele­zione del per­so­nale, pro­cu­rando così alla Fox­conn un sostan­zioso rispar­mio delle spese d’insediamento. Altret­tanto solerti durante i pic­chi della pro­du­zione sono risul­tate le cure pro­di­gate dalle ammi­ni­stra­zioni locali al reclu­ta­mento tem­po­ra­neo di gio­va­nis­simi stu­denti degli isti­tuti tec­nici da avviare ai cosid­detti tiro­cini presso la Fox­conn, a costo di com­pro­met­tere l’apprendimento sco­la­stico dei tiro­ci­nanti. Tagliando i costi in infra­strut­ture e in reclu­ta­mento delle imprese e pie­gando i cen­tri urbani alle esi­genze della fab­brica, le ammi­ni­stra­zioni locali met­tono al riparo il governo cen­trale e il par­tito comu­ni­sta dall’eventuale espo­si­zione al mal­con­tento e ai con­flitti. Le imprese pos­sono attin­gere a sem­pre nuovi bacini di mano­do­pera costi­tuiti da migranti, non solo per­ché è con­ve­niente ma anche per­ché la sosti­tui­bi­lità nel posto di lavoro genera paura nelle mae­stranze. Prende corpo un sistema d’impiego urbano duale e segre­gato: da un lato quanti sono dotati dei diritti di resi­denza e dei beni e ser­vizi pub­blici con­nessi, dall’altro i migranti, non solo pre­cari ma anche esclusi da tali beni e ser­vizi con l’artificio della resi­denza negata.

(Il Manifesto 12.5.2015)

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