Da: Articolo 21 - di Domenico Gallo
L’ABROGAZIONE DELL’ARTICOLO 18 INDEBOLISCE LA LEGALITA’
"Il progetto di abolire le tutele previste dall’articolo 18 non rappresenta un’innovazione che apre la strada al futuro, ma una regressione a un’epoca in cui le relazioni industriali erano regolate esclusivamente dai rapporti di forza a prescindere dal diritto.
Di fronte alle mistificazioni con le quali si tenta di ingannare l’opinione pubblica, occorre precisare che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non interviene sulla libertà di licenziamento, che resta regolata dal principio della giusta causa o del giustificato motivo; si tratta di una norma-sanzione che reprime il licenziamento ingiustificato, cioè illegale, eliminandone gli effetti.
L’abolizione dell’articolo 18, quindi, non incide sulla libertà di licenziamento (che resta regolata dalla legge), bensì sulla repressione del licenziamento illegale, consentendo ai forti e ai furbi di sottrarsi all’osservanza delle regole. Tale sanzione rappresenta l’architrave per la tenuta di tutto l’edificio dei diritti, sancito dallo Statuto dei diritti dei lavoratori, che tutela la dignità del cittadino lavoratore nei confronti del potere privato.
Infatti da lungo tempo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione hanno rilevato che i diritti nascenti dal rapporto di lavoro possono essere esercitati, in costanza di rapporto, soltanto in presenza di un regime di stabilità reale. Il riconoscimento della dignità del cittadino lavoratore impone che sia assicurata la tutela contro il licenziamento ingiustificato come richiede l’articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
L’eliminazione della norma che sancisce la tenuta dello Statuto, consegna ai poteri privati la libertà di sottrarsi all’osservanza delle leggi e dei principi costituzionali e trasforma la prestazione di lavoro in una merce, consentendo che venga calpestata al massimo grado la dignità dei cittadini-lavoratori, e insidiata la libertà delle organizzazioni sindacali sgradite al potere privato, che potranno essere messe fuori dai cancelli della fabbrica, sbarazzandosi dei lavoratori sindacalizzati, come avveniva negli anni 50 del secolo scorso.
Che non si tratti di un pericolo puramente teorico è dimostrato dall’esperienza di questi ultimi anni che ci hanno fatto assistere al tentativo di un potere privato di sbarazzarsi del più forte sindacato metalmeccanico europeo; tentativo che è stato bloccato soltanto per l’intervento del potere giudiziario, che adesso si cerca disarmare, smantellando le sanzioni per i comportamenti illegali...."
Da:
Clash City Workers
"...PARTIAMO
DALL’INIZIO: COSA E’ L’ARTICOLO 18?
L’articolo
18 è un articolo dello “Statuto dei lavoratori”, la Legge che
regola le norme sul lavoro, approvata nel 1970, in un momento in cui
i lavoratori erano abbastanza forti da imporre ai padroni ed allo
Stato il rispetto di alcuni loro diritti. L’articolo 18 regola la
“reintegrazione sul posto di lavoro”: nelle aziende con più di
15 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo (cioè
ingiustificato, effettuato senza comunicazione dei motivi o per
discriminazione), si può fare causa al proprio datore di lavoro. Se
viene appurato che si è stati licenziati senza “giusta causa”,
l’articolo dispone che il lavoratore sia reintegrato nel posto di
lavoro e recuperi le mensilità perse (cioè i soldi dello stipendio
che avrebbe ricevuto se non fosse stato licenziato)...
QUANTI
LAVORATORI TUTELA?
Al
momento attuale l’articolo 18 copre circa il 65,5% dei lavoratori
dipendenti. Ovvero, su quasi 12 milioni di operai e impiegati
presenti in Italia, quasi 7,8 milioni possono beneficiare di questa
tutela. E’ ancora poco, se si pensa che altri milioni di lavoratori
(in particolare immigrati e giovani) non beneficiano di questa
tutela, perché lavorando a nero, con contratti precari, ricattati
fino a firmare le “dimissioni in bianco” al momento
dell’assunzione, sono esposti all’arbitrio del datore di lavoro
che li licenzia quando vuole. Ma è una misura importante, di
civiltà, che riguarda la maggior parte dei lavoratori italiani e
dovrebbe semmai essere estesa a quelli che non ce l’hanno, perché
ancora più sfruttati.
LE
MENZOGNE CHE CI STANNO RACCONTANDO
In
questi mesi padroni, giornalisti interessati e politici hanno
sostenuto che il problema dell’Italia è la “rigidità”, ovvero
che non si può licenziare facilmente... Il licenziamento per “motivi
economici” esiste dal 1966. Un’azienda in crisi può sempre
licenziare il lavoratore. Anche un’azienda che tramite l’acquisto
di macchinari ha bisogno di meno lavoratori, li può licenziare. Si
chiama “giustificato motivo oggettivo”, ma deve essere dimostrato
dal datore di lavoro davanti ad un giudice. Questo per evitare
imbrogli delle aziende, già frequentissimi (“finte” crisi,
cessione di rami di impresa, “scatole cinesi” ecc.).
Esiste
poi anche il “giustificato motivo soggettivo”, ovvero la
possibilità del padrone di licenziare un lavoratore perché
assenteista (cioè se non si presenta al lavoro senza fondati motivi
medici) o insubordinato (se si rifiuta sistematicamente di seguire le
mansioni per cui è stato assunto). Quindi i datori di lavoro già
hanno tutti gli strumenti di cui dispongono per fare funzionare bene
le proprie imprese...
IL
NON-DETTO DEI PADRONI E DI CGIL-CISL-UIL: PERCHE’ VOGLIONO TOGLIERE
L’ARTICOLO 18?
…il
primo motivo per cui i padroni vogliono abolire l’articolo 18 è
tutto materiale. La sua abolizione inciderebbe tantissimo sulla
produttività. Se posso licenziarti, quando diventi vecchio o non
produci come io ti dico di fare, ti ricatterò: se non vuoi essere
cacciato accetterai qualsiasi condizione. Anche perché la maggior
parte dei lavori di oggi non necessita di chissà quale formazione
particolare (sia in fabbrica che negli uffici, che nella logistica o
in un call center). E la gente è disposta a tutto pur di lavorare.
L’unico limite oggi trovato dai padroni è nella Contrattazione
Nazionale, nelle forme del diritto e nelle leggi strappate quando i
lavoratori erano più forti. Ma quello che è stato fatto in questi
anni sui giovani che entravano nel mercato del lavoro andava già nel
senso di abbassare il costo del lavoro per le aziende, e proprio con
la complicità dei sindacati!
...Renzi,
Confindustria e gli altri borghesi hanno ragione a dire che bisogna
“levare le rigidità” per attrarre investimenti e dare lavoro.
Solo che quello che non dicono è che il prezzo da pagare è lo
schiavismo! Una volta che in giro ci sono gli schiavi, pagati nulla e
cacciati fuori in qualsiasi momento, non sorprende affatto che
qualche indice di occupazione possa aumentare!
Oggi
le controversie legate all’articolo 18 non sono molte. Secondo gli
ultimi dati forniti dall’ISTAT, riferiti al 2006, parliamo di circa
8.651, di cui circa la metà (dopo anni di spese) si concludevano a
favore del lavoratore, il quale peraltro non rientrava quasi mai in
fabbrica, perché sapeva che il datore di lavoro avrebbe cercato di
ostacolarlo in ogni modo. Ma se l’articolo 18 venisse abolito, gli
scrupoli dei padroni ad imbarcarsi in una lunga causa e in spese di
avvocati scomparirebbero subito.
L’ALTRO
MOTIVO: QUELLO IDEOLOGICO
Esiste
anche un altro motivo per cui si vuole abolire l’articolo 18, ed è
ideologico. Il Governo e la borghesia italiana vogliono dimostrare
all’Unione europea ed ai capitalisti stranieri che in Italia si può
venire a investire, perché oramai i lavoratori non contano nulla,
non fanno più paura, sono più mansueti delle pecore. Vogliono anche
intimorirci per le battaglie future...
Inoltre
l’abolizione dell’articolo 18 risponde ad un’altra necessità
padronale: eliminare dalle aziende ogni personalità ribelle e ogni
avanguardia di lotta. Il messaggio deve essere semplice: appena rompi
le palle, su orari, condizioni di lavoro, diritti, ecc., sei fuori..."
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