È un'estate di fuoco per tanti operai del paese, le crisi
aziendali, causate dalla generale crisi da sovrapproduzione mondiale,
oramai non si contano più e vengono tutte scaricate sugli operai che
vengono licenziati o messi in cassa integrazione, quando va bene.
La stessa sorte tocca molti operai in Sicilia, dalla Fiat di
Termini Imerese all'Eni: gli operai della raffineria Eni di Gela sono
in mobilitazione da tempo per lottare contro la possibile chiusura,
sarebbe l'ennesima chiusura di un grande stabilimento industriale
come quello di Termini Imerese nel solco di quella “desertificazione
industriale e umana” di cui parla l'ultimo rapporto Svimez.
E come fu per la Fiat di Termini Imerese, prima della chiusura fu
fatto un piano per il rilancio dell'azienda che rimase sulla carta. I
responsabili dell'Eni avevano prima fatto un accordo per
l'investimento di 700 milioni di euro per far ripartire la produzione
della raffineria dopo che una parte era andata a fuoco qualche mese
fa, ma adesso si è rimangiata tutto.
La nuova proposta, venuta fuori dall'incontro di ieri al Ministero
prevede “investimenti in Sicilia per due miliardi 250 milioni, ma
790 unità da impegnare a fronte delle 1200 attuali ... 1,8 miliardi,
secondo fonti sindacali, saranno impiegati per l'aumento della
produzione di gas per coprire il 20% del fabbisogno nazionale, per la
ricerca di nuovi campi gas e per l'ottimizzazione dei campi offshore
… Sono previsti poi altri 250 milioni di investimenti per la
riconversione dello stabilimento al biocarburante e altri 200 milioni
di investimenti per le bonifiche … dovrebbero essere impiegate 320
unità di personale per il biocarburante, 300 per lo sviluppo Up
Stream, 130 per formazione sicurezza e 40 per il risanamento
ambientale.” (dal gds 31/7/14).
Questi numeri non sono credibili, come ripetono anche i sindacati
confederali (che come sempre alla fine non fanno altro che
“accompagnare il morto”!). Se fossero veri porterebbero comunque
ad un lento e progressivo ridimensionamento dell'impianto. Nella
sostanza l'azienda vuole chiudere la raffinazione perché non più
redditizia e tenere in piedi l'estrazione del petrolio (18 mila
barili al giorno) e qualche ufficio studi. I numeri per il
“risanamento ambientale” sono poi davvero ridicoli. Ciò
significa che l'azienda se ne frega di aver inquinato per anni,
diffuso e provocato malattie mortali e di fatto distrutto un intero
territorio! Solo per le bonifiche si dovrebbero investire tanti più
soldi e operai. Per non parlare dei tempi di applicazione di questi
“piani di rilancio”! L'esperienza dell'Ilva di Taranto la dice
lunga su tutto questo!
E che questo programma non sia credibile lo ricorda perfino il
presidente voltagabbana Crocetta (Gela è la sua città natale) che
addirittura adesso – riportiamo dalla Repubblica del 29/7 - “...
è furente: indossa una maglietta rossa e veste i panni del
sindacalista, pronto a sostenere la 'vertenza Gela', ma anche quelli
dell'ex dipendente della fabbrica. 'Spesso incontro i genitori dei
ragazzi che hanno lavorato in quell'industria – racconta – e
ricordo il primo impianto in cui io stesso ho lavorato,' il
clorosoda: metà dei miei compagni sono morti, oggi non si sono più.
Nessuno osi pensare che si possa abbandonare il territorio dopo
averlo distrutto come se nulla fosse”.
Metà dei suoi compagni sono morti ma non ha alzato un dito
finora sulla sicurezza sul lavoro!
“Crocetta chiama i lavoratori 'compagni' e a loro si rivolge:
'Non permetteremo che qui si faccia come a Termini Imerese oggi si
chiude e domani si penserà al sogno di nuovi investimenti con la
green economy. All'Eni sono diventati tutti ambientalisti'. Non usa
mezzi termini, il presidente: 'Se volete andare via, allora perché
chiedete autorizzazioni per nuovi pozzi e volete il petrolio? Cara
Eni, se pensi di raffinare altrove, il petrolio resta nella
repubblica di Sicilia dove abbiamo rispetto per il senso di
cittadinanza'.”
Come si vede il presidente della Regione straparla (adesso si è inventato la repubblica di Sicilia!) e se ne esce
alla fine con un vero e proprio fuoco d'artificio: “conclude
dicendo agli operai che quella in atto 'più che una guerra è una
guerriglia' e avverte: 'Guai alla rabbia dei giusti. Non siamo i
servi di nessuno. Vogliamo il lavoro, gli investimenti e le
bonifiche. Non abbiamo paura. Vogliamo continuare a difendere gli
interessi delle nuove generazioni'.”
Con queste parole il presidente ha stracciato i sindacalisti
presenti, ma proprio come quelle dei sindacalisti si tratta di
chiacchiere che servono a tenere buoni innanzi tutto i gelesi e poi
l'opinione pubblica, vantandosi probabilmente di aver fatto tutto il
possibile, ecc. ecc.
Forse, infatti, Crocetta non ricorda che l'Eni è un'azienda
statale e fa profitti. L'Eni risponde del suo operato al governo! non
è un privato qualsiasi. Quindi Crocetta, così come i sindacalisti,
non possono fare finta di essere impotenti, se vogliono sanno contro
chi protestare, con chi se la devono prendere, con la “politica
industriale” del loro governo! Che come in tante altre vertenze fa
finta di intervenire ma alla fine non risolve mai a favore degli
operai.
Gli operai in questi mesi con la lotta hanno portato la vertenza
all'attenzione generale e hanno costretto tutti, sindacati e politici
a prendere posizione. Dopo l'incontro di ieri stanno imparando a non
fidarsi di nessuno, di nessun accordo, di nessun tavolo: solo i fatti
contano, quelli che si conquistano con la lotta e la mobilitazione, e
questi dipendono dai rapporti di forza, non dalla buona volontà di
qualcuno.
Nessun commento:
Posta un commento