martedì 6 marzo 2012

pc 6 marzo - Retorica sessista contro il movimento No Tav


notavinfo

movimento — 5 marzo 2012 12:01

(di Sguardi sui Generis)
L’ultima settimana è stata teatro di una possente campagna mediatica volta a delegittimare e criminalizzare il movimento notav. Si sono spesi fiumi d’inchiostro per divulgare improbabili distorsioni della cronaca, per avanzare analisi patetiche e per fare da cassa di risonanza alle dichiarazioni di governo. Ognuno di questi articoli ha un portato di violenza insopportabile – quello che solo la menzogna sa avere. Un articolo in particolare, tuttavia, esibisce una sorta di surplus di violenza – quello che solo il sessismo sa esercitare attraverso il suo immaginario. Ci si riferisce all’articolo dal titolo No Tav: le donne sconfitte della Val Susa comparso online un paio di giorni fa sul supplemento femminile del Corriere della sera (http://www.iodonna.it/iodonna/guardo/12_a_sapegno-inchieste-val-susa.shtml).

Ci sono numerosi argomenti per replicare a questo articolo. Il primo è che narra il falso: le donne della Valsusa sono tutte ai loro posti, magari con qualche osso rotto dai manganelli della polizia, ma ci sono. Anche le donne che vanno in Valsusa, pur non essendoci nate, sono tutte ai loro posti. A volte tra le belle montagne piemontesi, a volte nei presidi delle città in cui vivono, più o meno lontane dalla valle. Non ci sono accenti che appartengono più o meno al movimento No Tav: il dialetto di Giaveno e quello palermitano sono entrambi lingue No Tav. L’esperanto di questo movimento meraviglioso non seziona la lotta nelle sue frange legittime e illegittime (come piacerebbe alla stampa d’ogni colore), ma ne testimonia semplicemente la trasversalità, ricchezza e potenza. Chiunque si chieda cosa spinga una ragazza romana a mettere in valigia i suoi migliori scarponi, fare migliaia di kilometri e andare in Valsusa può porsi una domanda semplicissima: chi pagherà la tav? La risposta è tutti e tutte. Il mistero della partecipazione extra-locale alle mobilitazioni è presto svelato.

Il secondo motivo per replicare all’articolo di Io donna è che è un testo sessista. In primis nella struttura: la finzione dell’inchiesta maschera un utilizzo in realtà violento delle esperienze personali. Con le vite delle donne è facile fare pornografia – come in questo articolo – dove si cerca di tratteggiare in forma caricaturale lo spazio dell’intimità. Nella narrazione proposta compaiono rossori, imbarazzi e pudori: la dimensione del corporeo viene così saccheggiata da un’ermeneutica violenta che costringe la donna – anche là dove protagonista – entro una figura debole e goffa. Compiaciuto il cronista s’intenerisce di fronte alla scena di quelle donne “ingenue e tenere” che lui pretende di descrivere: ecco il dispositivo sessista che viviseziona il corpo femminile al fine di eccitare o intenerire. E se la figura insopportabile delle “candide” donne Valsusine proposta nell’articolo allude alla seconda delle due opzioni, la sua contro-figura non può che essere un’immagine fortemente erotizzata. Ed ecco allora che compare una giovane militante: “bellissima, un volto da attrice e sguardo penetrante” (nome e cognome ripetuti per l’ennesima volta tra le righe di un articolo spazzatura). Fissata questa dicotomia, ci si può sbizzarrire con gli stereotipi.

Stando alla narrazione del Corriere le goffe e tenere donne della Valle, tutte pacifiche e materne, trovano sempre nella famiglia e nei problemi ad essa connessi entro la comunità i motivi delle loro lotte. Queste donne lottano per i figli, per le scuole e per gli ospedali, per i giovani che devono crescere e i vecchi che devono accudire. Anche all’interno della lotta il loro ruolo è soprattutto di cura: preparano té caldi, intrattengono i bambini, cucinano, etc.. etc… Immagine rassicurante di una figura tradizionalmente materna a cui si contrappone quella che dovrebbe essere la sua negazione. Una figura femminile violenta, attraente, sradicata e degenerata che incombe sulla purezza dell’autentica Valsusina. A parte il carattere fittizio – ridicolo se non rappresentasse un gesto di violenza verso tutte le donne del movimento – delle due caratterizzazioni, è importante denunciare il sessismo insito nel tentativo di frammentazione della soggettività femminile.

Il problema sta nell’imposizione dell’aut aut. Le donne reali eccedono la dicotomia e si riconoscono tra loro a partire da differenze che sono il prodotto di esperienze reali, di percorsi di vita, etc… etc… Le donne reali sanno anche che le dicotomie vanno spezzate in primis nella propria vita per non rischiare che ogni scelta divenga un’alternativa secca. Quando l’articolo del Corriere descrive le donne Valsusine che scompaiono in modo proporzionale all’avanzata di altre donne non fa altro che esorcizzare l’idea che le donne Notav siano riuscite a sfuggire una logica discorsiva binaria (e questa sarebbe una tra le tante vittorie del movimento!). L’articolo cerca addirittura di risospingerle nell’ombra, di convincerle che lo spazio adatto per le loro battaglie è quello privato e domestico. Cerca di sottrarre le donne alla lotta e la lotta alle donne mentre, in verità, sta solo a queste ultime decidere per cosa e come lottare. Non ci sono contenuti e pratiche pregiudizialmente contrari: una madre barricadera è un ossimoro solo per una cultura sessista! In Valle ci sono solo donne in carne ed ossa, quelle altre quelle cattive, sono fantasmi agitati per spaventare chi ormai è già diventato troppo grande per avere paura.

Le donne sconfitte della Valle di Susa? …Sicuro?
MARZO 05, 2012
Volevo rispondere all’articolo indegno apparso su Io Donna del 3 marzo 2012 a firma Paolo Sapegno.

Non si capisce se il signor Sapegno , che pare spacciarsi quale esperto del caso Valle di Susa , viva su questa terra o su un altro pianeta visto che racconta cose che nessuno di noi che pure abitiamo queste “ lande sperdute” , come lui le chiama , avevamo percepito.

Dunque, il signor Sapegno si chiede dove siano finite tutte quelle donne ( e qui giù nomi e cognomi in barba a quasiasi tipo di rispetto – e non solo quello ipocrita e formale per la privacy ) che un tempo , a suo dire lontano anni luce, nell’ambito della protesta contro l’alta velocità in Valle di Susa “ portassero da casa i giochi dei loro figli, perchè non avevano i soldi per comprarli, e portassero qualcosa, anche dei vassoi, anche le tazze da the, o un piattino che può servire” , oppure dove sia sparita quella donna che “guidava la fiumana di gente con la cesoia in mano per tagliare la rete di recinzione che delimitava la zona rossa del cantiere”. E sostiene di non riuscire più a ritrovare “ la donna con i capelli grigi e felpa scura, che sul ponte sotto la baita del presidio Clarea, arringava la folla con la voce strascicata dal dialetto, come una madre che si arrabbia appena un po’.”

Tutte queste donne, secondo Sapegno si sono perdute e sono state sconfitte dalla violenza che ora , a suo dire , attanaglierebbe il Movimento. Violenza portata da altre donne che con la valle non hanno nulla a che fare e che parlano idiomi diversi e “ indossano il passamontagna”.

Caro Signor Sapegno , come mai non ha ritrovato Marisa , la coraggiosa donna di 74 anni , tra le file dei manifestanti di oggi? Perché lei non sa guardare aldilà della sua comoda scrivania. Se fosse venuto in Valle di Susa , solo due sere fa , avrebbe ritrovato Marisa accanto alla sua gente , al blocco autostradale , seduta su una sedia di fortuna perché le gambe non l’aiutano più. Molto spaventata di fronte ad un inusitato “esercito” di poliziotti e carabinieri in antisommossa , ma determinata a rimanere. “ Mi sono legata alla sedia” mi ha detto ,”così faranno fatica a portarmi via”. Certo , in quei momenti agitati non ha avuto tempo di preparare una flemmatica tazza di tè. Pensava invece a sostenere , anche solo con la sua vicinanza , la sua gente. E chi c’era a fronteggiare le forze dell’ordine che mai come questa volta hanno esercitato sulla popolazione un’inaccettabile violenza ? C’erano Titti , Piera , Monica. Sedute a terra , resistendo con la non violenza alla brutalità di chi viene mandato ad imporre un’opera assurda e devastante manu militari.

E certo Monica non poteva coinvolgere i suoi bambini mentre cercava di sfuggire al lancio dei lacrimogeni e al getto degli idranti. Né Titti poteva occuparsi della cena dei manifestanti mentre un poliziotto le fracassava una caviglia , come risposta al suo non volersi spostare.

Certamente il signor Sapegno non avrebbe potuto vedere Nina e Marianna. Liberate dal carcere ma ancora private della libertà personale come due incallite criminali , in questo Paese che manda a marcire coloro che difendono la propria terra e decora, promuove e abbraccia mafiosi e massacratori di ogni specie.

Di queste donne ,e di tutte le altre , che in questo momento in Valle di Susa, insieme ai loro compagni, fratelli e figli ,sostengono con estremo coraggio una lotta democratica e civile in un Paese che di democratico e civile non ha più nulla lei , signor Sapegno, non è degno di pronunciarne il nome.

Doriana Tassotti

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