lunedì 20 giugno 2011

pc 20 giugno - Il governo Berlusconi e Cgil Cisl Uil condannati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo

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Si tratta della vertenza dei circa 80.000 lavoratori delle scuole dipendenti
degli enti locali trasferiti allo Stato nel 2000 con perdita di salario e
diritti (vertenza i cui strascichi legali continuano ancora oggi!).

Allora solo noi ci opponemmo per diversi mesi attivamente al passaggio (a
parte qualche gruppo di lavoratori non organizzato ma con le vertenze legali);
il cobas scuola “non capiva” questa nostra incazzatura (mentre un professore
loro iscritto, consigliere comunale di Rifondazione Comunista, prendeva
posizione contro i lavoratori), mentre Cgil-Cisl-Uil volevano convincere i
lavoratori che si sarebbero trovati meglio… ma non contenti nell’estate del
2000 firmarono un accordo con l’Aran con il quale si negava il riconoscimento
dell’anzianità.

Ma l’illegalità era così palese che le vertenze legali per il riconoscimento
dell’anzianità in tribunale si vincevano tutte e il governo Berlusconi, con il
beneplacito dei sindacati confederali, “corse ai ripari”: nella finanziaria per
il 2006 iscrisse un comma, il 218, che bloccava di fatto i giudici.

Adesso questa sentenza europea che accusa Berlusconi e i sindacati
confederali… ma la sfacciataggine non ha limiti! La Cgil ha inserito la
sentenza nel suo sito e per mano addirittura del Segretario Generale FLC CGIL
Domenico Pantaleo ha scritto una lettera ai ministeri parlando di “macroscopica
ingiustizia” e della necessità di intervenire “al fine di ripristinare una
situazione di legalità e legittimità”.

Riportiamo l’articolo di Italia Oggi che non riporta però questa posizione
della Corte sull’accordo tra sindacati e governo:

“33. Il 20 luglio 2000, l’Agenzia per la rappresentanza Negoziale delle
Pubbliche Amministrazioni (ARAN) concludeva un accordo con i sindacati per
derogare al principio di conservazione dell’anzianità. Tale accordo veniva
successivamente cristallizzato in un decreto ministeriale del 5 aprile 2001.”

***
Gli ATA hanno diritto alla carriera
La Corte dei diritti dell'uomo condanna l'Italia per lo stop inferto con la
Finanziaria 2006
14/06/2011

ItaliaOggi
di Carlo Forte
Precludere agli Ata ex enti locali il diritto alla ricostruzione di carriera
viola la Convenzione europea per i diritti dell'uomo e il Protocollo n. 1. Cosi
ha deciso la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha condannato l'Italia con
una sentenza depositata il 7 giugno scorso (reperibile in lingua originale su
questo sito).
La Corte di Strasburgo ha censurato una norma contenuta nella Finanziaria del
2006, con la quale il governo aveva sbarrato il passo ai giudici. Che all'epoca
dei fatti condannavano sistematicamente l'amministrazione a pagare le
ricostruzioni di carriera degli Ata passati dagli enti locali allo stato. La
sentenza potrebbe riaprire il contenzioso in Italia.
Il fatto
Il caso riguardava un gruppo di lavoratori appartenenti al personale Ata
(amministrativi, tecnici e ausiliari) transitati dagli enti locali allo stato,
per effetto di un'apposita previsione contenuta nella legge 124/99. A seguito
dell'inquadramento nell'amministrazione statali, però, a questi lavoratori era
stato negato il riconoscimento dell'anzianità di servizio ai fini retribuitivi.
L'inquadramento, infatti era avvenuto con il cosiddetto meccanismo della
temporizzazione. In buona sostanza, dunque, ai lavoratori era stata
riconosciuta la classe stipendiale coincidente con l'importo della retribuzione
in godimento all'atto del transito dagli enti locali e non la ricostruzione di
carriera. E siccome il trattamento contrattuale presso gli enti locali faceva
riferimento ad importi inferiori, i ricorrenti, pur avendo svolto le stesse
mansioni dei loro colleghi inquadrati come dipendenti dello stato fin dall'atto
dell'assunzione, si erano trovati nella condizione di essere pagati di meno.
Tale trattamento deteriore aveva indotto i dipendenti a rivolgersi al giudice
ottenendo in I e II grado il riconoscimento pieno del diritto a far valere
l'anzianità di servizio al pari degli altri colleghi già dipendenti dello
stato. Il ministero, però, aveva impugnato anche la sentenza d'appello e la
Cassazione dopo circa 3 anni, aveva capovolto la situazione, disponendo anche
la restituzione degli emolumenti retributivi già versati ai lavoratori per
effetto delle sentenze di merito. La sentenza della cassazione, peraltro, era
intervenuta dopo che il legislatore, con una norma di interpretazione autentica
(art. 1, c. 218 legge 266/2005) aveva disposto che agli Ata provenienti dagli
enti locali non dovesse essere riconosciuto il periodo di servizio pregresso,
ma solo la retribuzione in godimento all'atto del passaggio. In altre parole,
la norma di interpretazione autentica aveva disposto la preclusione del diritto
alla ricostruzione di carriera, in favore del mero riconoscimento della
retribuzione in godimento secondo il meccanismo della cosiddetta
temporizzazione. Di qui il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo e
la pronuncia favorevole ai ricorrenti.
Violato il Protocollo
La Corte sovranazionale ha accertato in particolare due violazioni. La prima
riguarda l'art. 6 della Convenzione, perché il governo, con l'art. 1, comma
218, della legge 266/2005, secondo i giudici, ha violato il principio del
giusto processo. Ciò in quanto, attraverso un intervento legislativo ad hoc, ha
capovolto le sorti di un contenzioso sfavorevole allo stato, pur in presenza di
un orientamento ormai consolidato. E soprattutto in assenza di motivi di
interesse generale. Presupposto, questo, che costituisce l'unica eccezione
ammissibile alla regola del divieto di interferenza con l'amministrazione della
giustizia. E in più secondo i giudici europei, il governo ha anche violato il
Protocollo n. 1 , perché ha privato alcuni cittadini di loro diritti
patrimoniali già acquisiti. Insomma, secondo il supremo collegio europeo, il
governo ha sbagliato.
Il no della Consulta
E quindi, di rimbalzo, avrebbe sbagliato anche la Corte costituzionale, che
nel 2009, con la sentenza 311, aveva conferito alla norma censurata da
Strasburgo il crisma di costituzionalità. Il tutto nonostante la Corte di
cassazione, facendo riferimento all'art. 117 della Costituzione, avesse
avanzato dubbi proprio in riferimento alla compatibilità con gli obblighi
internazionali riguardanti il rispetto dei diritti umani previsti dalla
Convenzione.
Gli effetti
Resta il fatto, però, che siccome l'art.46 della Convenzione dispone appunto
che le sentenze della Corte di Strasburgo assumano carattere obbligatorio per
gli stati, il mutato quadro giurisprudenziale potrebbe ingenerare una
riapertura del contenzioso in questa materia.

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