Il vento di partecipazione, di democrazia, di affermazione dei bisogni vitali delle masse popolari, espressosi nell'ultima fase della battaglia elettorale di Milano e Napoli e soprattutto nell'esito del referendum, ha trovato nella scontro con Berlusconi e il governo tutta la sua contundenza, e nella denuncia della falsa, inesistente “opposizione” del PD, delle forze in parlamento la sua ragione di indipendenza.
Questo va riaffermato. Tutti coloro che anche nei giorni successivi al referendum, hanno cercato di separare il diritto e l'esigenza di affermare e conquistare un chiaro risultato, su acqua, nucleare e legittimo impedimento, dal contesto politico attuale e dalla necessaria battaglia per la caduta del governo Berlusconi, possibile solo con una forte e continua mobilitazione di rottura popolare, operano di fatto un'azione di deviazione, ammosciamento di questo “vento”.
Ma operano di fatto una deviazione, confusione, pure alcune posizioni espresse da promotori dei referendum quando nel movimento sociale separano le giuste battaglie per acqua, contro il nucleare dalla denuncia economico-politica del sistema, dal fatto che la legge del profitto di questo sistema capitalista investe ogni tipo di produzione, ogni segmento della società.
Su piano politico, poi, di lotta contro il moderno fascismo del governo e dell'insieme dell'apparato statale (compreso mass media), costoro operano poi per seminare illusioni e quindi per pacificare lo scontro, che invece, al di là degli esiti del voto (e in un certo senso anche per gli esiti del voto) diventa da parte di Berlusconi, dei suo Ministri, della Lega sempre più incalzante, provocatorio nella sua marcia verso un regime - e contro il quale, dopo il referendum, nessun osannatore del "nuovo vento di partecipazione" chiama a ridiscendere in piazza.
Un esempio di questo è l'articolo sull'analisi del voto di Alberto Lucarelli apparso ne Il Manifesto del 14 giugno, intitolato “Verso un manifesto dei beni comuni”.
In esso Lucarelli scrive: “Oggi si raccoglie il frutto di una semina che i più avvertiti avevano compreso che avrebbe determinato una inversione di rotta e spezzato quell'intreccio affaristico tra borghesia mafiosa, politica, economia e pezzi deviati dell'amministrazione pubblica”.
Basta guardare ad alcuni esempi per vedere che questo purtroppo non è affatto vero, non è vero per “l'intreccio affaristico...”, non è vero per la presunta separazione netta tra una “borghesia mafiosa... pezzi deviati dell'amministrazione pubblica” e, una borghesia e un'amministrazione pubblica “legale” (anzi, mai come oggi diremmo: chi è mafioso e chi no? Che si intende per borghesia mafiosa? Marchionne, Marcegaglia è una borghesia ufficialmente non mafiosa, ma è meno pericolosa? Per non parlare dell'amministrazione pubblica dove il confine tra “normale” e “deviato” è labilissimo), non è vero che l'eliminazione di questi intrecci consentirebbe, non mettendo in discussione il profitto capitalista e quindi tutto il sistema economico-politico necessario a produrlo, la difesa dell'"interesse comune".
Basta vedere la produzione lì dove viene fatta di energia eolica o del fotovoltaico. Essa è alternativa nella produzione energetica ma non negli effetti ambientali e di sfruttamento degli operai. In Puglia, per esempio, la costruzione di pale eoliche ed ora dai pannelli fotovoltaici ha portato alla distruzione di migliaia di ettari di campagne, parchi immensi sono stati tirati su nel giro di una notte, e le imprese addette attuano verso i lavoratori livelli di sfruttamento schiavistici. Il caso più recente è venuto fuori a Lecce a febbraio, in cui le ditte, attraverso una catena di appalto e subappalto e attraverso un caporalato mai debellato (e buono anche in questi lavori), regolavano i flussi di operai immigrati costretti a lavorare dodici ore di lavoro anche sotto le intemperie per 4 o 500 euro al mese, quando andava bene, o non pagati per mesi - tanto da aver scatenato una lotta dei lavoratori immigrati durata diversi giorni.
Quindi, larghi profitti dal redditizio business delle fonti rinnovabili.
Quindi la stessa legge del capitale che agisce nella produzione del nucleare, viene riciclata nelle produzioni alternative, trasformando anche queste in produzioni “pericolose” per gli operai, per l'ambiente e per la vivibilità delle popolazioni.
Dal nascondere questo viene la conclusione dell'articolo, demagogica quanto ingannevole: “La vittoria di oggi è la prova che partecipazione e beni comuni sono nuove categorie che stanno contribuendo alla nascita di nuove soggettività politiche fuori ed oltre il sistema dei partiti... i cittadini si riapproprieranno del diritto di esprimersi sui beni comuni... Sono avvertiti tutti quei comuni compiacenti che preferiscono fare affari con i privati piuttosto che difendere i beni della comunità... Da oggi obiettivo politico primario sarà la realizzazione di un governo pubblico e partecipato dei beni comuni, in una prospettiva di effettivo cambiamento”.
Basta un risultato referendario sia pur molto positivo per cambiare effettivamente il sistema politico, economico, istituzionale basato sulla difesa del profitto capitalista? Basta una grossa partecipazione delle masse perchè ci sia un cambio effettivo di un sistema politico- istituzionale, di un governo di Berlusconi o dei padroni che sia, che invece si radicalizza nella sua marcia reazionaria, apertamente antipopolare?
Avremmo trovato la via, referendaria/elettorale, per un governo in mano alle masse popolari!
Ecco, questo è un modo deviante di esaltare il cambiamento perchè “nulla effettivamente cambi”!
E questo, proprio quando c'è un'effettiva volontà di dire basta, di partecipazione alla mobilitazione, di cambiamento effettivo, è quanto di più negativo ci possa essere.
Ma nello stesso tempo queste posizioni sono utili a chiarire lo spartiacque di classe necessario che ci deve essere all'interno di un movimento, effettivo, di partecipazione, di opposizione, di affermazione dei diritti e bisogni popolari, come quello espressosi dalle elezioni al referendum; uno spartiacque tra le aspirazioni, le concezioni, la pratica di larghi settori della piccola e anche settori della media borghesia, di democratici, ecc., e gli interessi, la politica, la concezione e la prassi della lotta di classe del proletariato e delle masse più sfruttate e oppresse, che pur partecipando, sostenendo, incoraggiando i movimenti come quelli dei giorni scorsi, devono costruire la propria autonomia politica, ideologica, programmatica; e, soprattutto, guardandosi dagli elogiatori (per gli altri...) del "movimento è tutto" e del superamento dell'organizzazione politica/partitica, costruire la propria autonomia organizzativa.
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