È un video difficilmente sopportabile. Una persona anonima, a Gaza, stava filmando un momento apparentemente simile a tanti altri: alcuni bambini giocavano a calcio nel cortile di una scuola, come
fanno tutti i bambini del mondo. Ma all’improvviso è arrivata un’esplosione, seguita dal caos, dalle vittime, dalle grida d’orrore: un missile israeliano aveva appena colpito la scuola di Al-Awda, nella zona orientale dell’immenso campo profughi di Khan Yunis. Il bilancio è pesantissimo: decine di morti e feriti in un agglomerato popolato da sfollati provenienti da altre zone della Striscia di Gaza.Due giorni fa ho dedicato questa rubrica al bombardamento del più grande ospedale pediatrico di Kiev. In quel caso mi chiedevo come i soldati potessero prendere di mira i bambini. Oggi voglio fare la stessa domanda in un contesto diverso, quello della guerra condotta da nove mesi dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza dopo l’attacco di Hamas.
Lo stato maggiore israeliano sostiene che il lancio di missili a partire da un aereo da guerra aveva come obiettivo un combattente di Hamas, e ha promesso che aprirà un’inchiesta per capire perché ci siano state vittime civili. Dopo nove mesi di bombardamenti ininterrotti che hanno ucciso migliaia di persone (tra cui migliaia di bambini), distrutto intere città e provocato una carestia, queste giustificazioni sono utilizzate troppo spesso per risultare credibili.
La guerra in corso è la più lunga nella storia d’Israele, paese nato settant’anni fa che ha conosciuto diversi conflitti. Dal 7 ottobre scorso lo stato ebraico si è lanciato in una guerra ufficialmente destinata a eliminare Hamas dalla Striscia di Gaza, popolata da oltre due milioni di palestinesi. I comunicati vittoriosi parlano di migliaia di combattenti uccisi e tunnel distrutti, ma la vittoria sembra sempre più lontana e l’impossibilità dell’eliminazione di Hamas è riconosciuta anche dagli ufficiali israeliani.
L’uomo più ricercato di Gaza, il capo di Hamas Yahya Sinwar, non solo è introvabile, ma continua a guidare i negoziati che ogni volta suscitano la speranza di ottenere un cessate il fuoco. Nell’attesa di una buona notizia che non arriva mai, sono i civili e soprattutto i bambini a pagare il prezzo più alto, mentre il resto del mondo distoglie lo sguardo.
Israele tiene sempre due porte aperte: il 10 luglio il capo del Mossad, il servizio segreto israeliano, si trovava a Doha insieme al capo della Cia e ad alcuni emissari del Qatar e dell’Egitto per discutere un eventuale cessate il fuoco che possa permettere la liberazione degli ostaggi e la consegna degli aiuti umanitari. Ma queste iniziative si arenano ogni volta sugli ultimi dettagli.
Al contempo Israele lancia volantini in arabo sulla Striscia di Gaza, invitando la popolazione a spostarsi verso sud prima di una vasta operazione militare. Sballottati da nove mesi seguendo gli sviluppi dell’attacco israeliano, gli abitanti di Gaza hanno ripreso l’esodo interno.
La guerra sembra ormai infinita, in un contesto politico interno deleterio in Israele (dove il primo ministro Benjamin Netanyahu ha legato il suo destino a un’estrema destra violenta) ma anche in una situazione internazionale di crisi che non permette alcuna azione collettiva di rilievo. Le immagini dei bambini polverizzati mentre giocano a calcio sono davanti a noi, ma il mondo chiude gli occhi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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