Come diceva un operaio: questa incertezza sulla situazione che permane ormai da anni, su cosa succederà domani è ciò che pesa di più e logora: è come se la controparte contro cui devi lottare rischia di cambiare continuamente...
Venendo sinteticamente a questo nuovo accordo. Non si tratta certamente di novità, bensì di una ulteriore conferma che "Mittal chiede e il governo dei padroni concede"; ciò che è sicuro (se l'accordo va avanti) è quello che viene dato a Mittal, mentre resta molto generico e aleatorio ciò che significherà in termini di effettivi attacchi a lavoro, salari, diritti contrattuali, come resta molto oscura la questione sicurezza, salute, bonifiche, ambiente.
Quello che comunque è chiaro che si va ad un accordo nettamente peggiorativo di quello del 6 settembre 2018 - che già ha permesso ad AM di liberarsi di 2600 operai, di interi reparti con la terziarizzazione, di stravolgere in alcuni casi mansioni, reparti, di ridurre i diritti salariali e contrattuali dei lavoratori assunti.
Su questo non si tratta di aspettare - o di esprimere le inutili e imbarazzanti lamentale dei sindacati confederali - ma di dire NO ora!
Rispetto ai punti:
- viene molto ridotto l'affitto che Mittal doveva pagare per l'acquisto dell'Ilva - i soldi in meno se li accolla lo Stato, che li fa rientrare nell'AM attraverso Cdp o Invitalia; Mittal quindi ci guadagna al doppio!
- Mittal può recedere tranquillamente dal contratto fino amaggio 2022 - pagando solo una "sanzione" pecuniaria;
- I lavoratori in cigs Ilva non metteranno mai piede nella società AM, al massimo entreranno in una newco;
- viene scaricato anche sullo Stato, quindi della collettività, anche il 50% della messa a norma degli Altoforni 1,3,4;
- i piani industriali e ambientali sono solo annunciati - mentre nell'accordo non si parla dei due altoforni elettrici
Primo: un accordo di modifica del contratto con cui AM ha preso in affitto l’ex Ilva dovrà essere firmato entro il 28 febbraio (l’udienza è fissata il 6 marzo). Questo accordo deve contenere riferimenti indicativi al piano industriale, al piano ambientale, all’accordo sul personale ma soprattutto deve prevedere un accordo da stipulare entro il 30 novembre per l’ingresso di un partner
(Cdp, Invitalia) oltre alla rimodulazione dell’affitto. Ultimo ma importantissimo, la possibilità per Arcelor Mittal — se non arrivasse il nuovo investitore — di recedere dal contratto pagando 500 milioni. .
Secondo: accordo per l’ingresso di un nuovo partner (una newco a partecipazione mista pubblica e privata) entro il 30 novembre 2020. Il nuovo partner dovrà investire 1,8 milioni di euro a cui potranno essere sottratte le quote di affitto non ancora versate da Arcelor Mittal.
Terzo: il lavoro. Il nuovo piano industriale andrebbe dal 2020 al 2025. A fine piano sarebbero confermati i 10.700 dipendenti attuali. Ma che fine farebbero i 1.800 in capo a Ilva in amministrazione straordinaria che in base all’accordo con il sindacato di fine 2018 dovevano essere riassorbiti? «Le parti collaboreranno, insieme con sindacati e istituzioni, per trovare soluzioni alternative tenendo conto anche di altre iniziative industriali disposte all’interno dello stabilimento di Taranto da soggetti diversi da Arcelor Mittal», dice il documento. Tradotto: andrebbe valutata la possibilità che la newco assuma i 1.800 in capo a Ilva in amministrazione straordinaria.
Quarto: l’ingresso del nuovo partner dovrebbe coincidere con il passaggio di Arcelor Mittal dall’affitto all’acquisto dell’ex Ilva. In pratica anticipando questo passaggio dall’agosto 2023 previsto nel vecchio contratto al maggio 2022.
Fino a maggio 2022 Arcelor Mittal potrà abbandonare il campo. Le condizioni per la exit strategy dei franco-indiani sono già state messe nero su bianco: mancata modifica del piano ambientale, mancata revoca dei sequestri gravanti sullo stabilimento di Taranto, mancata stipula di un accordo sindacale «inclusivo della soluzione del problema dei 1.800 lavoratori in carico a Ilva in amministrazione straordinaria», presenza di misure restrittive dell’attività aziendale. Da notare: queste condizioni sono già presenti nel contratto oggi in vigore.
Quinto: gli investimenti. La rimessa a norma degli altiforni 1,3 e 4 dovrà essere sostenuta solo al 50% da Arcelor Mittal mentre il rifacimento dell’Afo5 sarebbe tutto a carico dei franco-indiani.
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