Dal
Convegno "Il 41 bis, una tortura (S)conosciuta? - A 26 anni dalla sua
istituzione, le restrizioni imposte ai detenuti sono servite (e servono) a
indebolire e organizzazioni criminali?", pubblichiamo la lettera di Nadia
Lioce, narrata dall'attrice Marcella Vitiello.
Che la voce di Marcella tuoni come un incubo per il Ministero della in-giustizia! Lì in via Arenula, dove noi vorremmo portare la voce non solo di Nadia, ma di tutte le donne represse, incarcerate, processate, inquisite, rigettate nel buio di atroci sofferenze. Donne di cui si parla solo per dar lustro agli aguzzini quando tentano il suicidio in carcere e per invocare ancora più repressione e isolamento. Come è successo recentemente al carcere di Capanne, Perugia, dove una detenuta straniera ha cercato di impiccarsi a un termosifone, oppure a Brescia, dove una donna affetta da problemi psichiatrici si è lanciata dalla tromba delle scale del secondo piano della sezione detentiva.
Circa una settimana fa, una donna albanese rinchiusa in alta sicurezza del carcere dell'Aquila (nelle celle sotterranee che ospitavano Nadia Lioce fino al 2013) è stata rimpatriata subito dopo la sua scarcerazione, pur vivendo da 15 anni in Italia, pur avendo i figli minori e tutta la sua famiglia qui.
Che speranze può avere una detenuta immigrata di non essere rimpatriata dopo la sua scarcerazione? Quante bambine e bambini al di sotto di 3 anni sono incarcerati con le loro madri, che magari non hanno neanche un tetto perché immigrate? Può una detenuta con problemi psichiatrici restare in prigione anziché essere curata?
Vi
lasciamo all'ascolto di Marcella Vitiello, voce narrante di "L'orrore del
41 bis", lettera dal carcere femminile dell'Aquila
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