« il movimento operaio si era sì rafforzato in diversi paesi d’Europa che Marx poté pensare di esaudir un desiderio nutrito da tempo: fondar un’associazione operaia estesa ai paesi più progrediti dell’Europa e dell’America, incarnante il carattere internazionale del movimento socialista sia per gli operai sia per i borghesi e i governi, per dare coraggio e forza agli operai e terrore ai suoi nemici. Una riunione popolare tenuta il 28 settembre 1864 in St. Martin’s Hall a Londra (in favore della Polonia, allora subente una nuova repressione russa) offrì lo spunto di far la proposta, accolta con entusiasmo. L’Associazione internazionale degli operai fu fondata. L’assemblea elesse un Consiglio generale provvisorio con sede a Londra, e Marx fu l’anima di questo e di tutti i seguenti Consigli generali fino al Congresso dell’Aja. Marx scrisse quasi tutti i documenti emanati dal Consiglio generale dell’Internazionale (dall’Indirizzo inaugurale del 1864 fino all’Indirizzo sulla guerra civile in Francia del 1870). »
(Friedrich Engels, Karl Marx)
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Il giovane Karl Marx
di Raoul Peck
Il giovane Karl Marx è un’opera forse schematica nel suo percorso narrativo, ma dal grande afflato marxista e doverosamente didattica, in un’epoca storica nella quale del filosofo politico ed economico tedesco giunge solo un’immagine distorta. A dirigere il regista haitiano Raoul Peck.
Gli eroi son tutti giovani e belli
Siamo negli anni Quaranta del XIX Secolo. Il giovane Marx e l’amico Friedrich Engels danno vita a un movimento capace di emancipare, anche oltre i confini europei, i lavoratori oppressi di tutto il mondo. Sono anni di fermento: in Germania viene fortemente repressa un’opposizione intellettuale molto attiva, in Francia gli operai del Faubourg Saint-Antoine si sono messi in marcia. Anche in Inghilterra il popolo è sceso in strada. A 26 anni Karl Marx porta la sua donna sulla strada dell’esilio. A Parigi incontra Friedrich Engels, figlio di un grande industriale, che ha studiato le condizioni di lavoro del proletariato inglese. Questi due giovani dalla diversa estrazione sociale, ma entrambi brillanti, appassionati, provocatori e divertenti riusciranno a creare un movimento rivoluzionario unitario… [sinossi]
Chissà se il giovane Karl Marx, quello “vero”, fu in qualche misura illuminato nella sua formazione teorica e politica dall’esperienza rivoluzionaria di Toussaint Louverture, l’eroe creolo che sconfisse le truppe napoleoniche e liberò Haiti dal giogo schiavista europeo. Louverture morì in prigione prima della vittoria della rivoluzione, e il suo compito venne portato a termine da Jean-Jacques Dessalines, che con il nome di Giacomo I tradì l’ideale della rivoluzione. Una storia destinata a ripetersi fin troppe volte nel corso della storia… Nel 2018 si festeggiano i due secoli dalla nascita del filosofo di Treviri e i 170 anni dalla pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista, firmato a quattro mani con Friedrich Engels; l’impressione è che agli occhi di molti la figura di Marx arrivi a queste celebrazioni stanca, perfino superata. Nell’epoca del liberismo sfrenato, quando le socialdemocrazie borghesi abbandonano al loro destino le classi proletarie e subalterne, con l’evolversi di una globalizzazione feroce che mette i deboli gli uni contro gli altri, Marx non può che essere posto su uno scranno – magari anche ideale: dopotutto il muro di Berlino è crollato e non c’è più bisogno di sventolarne l’effigie come uno spauracchio – e abbandonato alla polvere del tempo. Anche per questo motivo un titolo come Il giovane Karl Marx (Le jeune Karl Marx nell’originale francese che fu
presentato alla Berlinale nel febbraio del 2017) giunge a proposito, svolgendo come si vedrà fra poco una peculiare funzione didattica, tra le altre cose. E non è affatto secondario notare come il film sia diretto da un regista haitiano. Raoul Peck, dopo aver diretto un memorabile Lumumba, leader del Movimento Nazionale Congolese di Liberazione che cercò attraverso le teorie marxiane di donare nuova vita democratica al Congo, affronta dunque direttamente la figura stessa di Marx. Ma in quel titolo, Il giovane Karl Marx, c’è il senso ultimo dell’operazione, e la sua idea vincente.
Già solo portare sullo schermo uno dei pensatori fondamentali della storia della filosofia rappresenta una rarità: tra il cinema e la televisione in pochi si sono cimentati con un’impresa simile – tra questi val la pena ricordare Nachrichten aus der ideologischen Antike – Marx/Eisenstein/Das Kapital di Alexander Kluge, uno dei più celebri sketch dei Monty Python, e il sovietico God kak zhizn’ di Grigorij Roshal – e in ogni caso hanno scelto la figura più riconoscibile di Marx, l’uomo anziano dalla folta barba e lo sguardo sornione. Peck ribalta completamente questo schema: i suoi Marx ed Engels non sono dotti cattedratici che sostengono una teoria di politica economica per certi versi astratta, bensì hanno le fattezze di due giovani scapestrati, inclini alla bevuta e alla risata coinvolgente, che vivono in pieno il proprio tempo e combattono le lotte per l’eguaglianza. Non sono neanche trentenni, e a loro volta devono fronteggiare un convitato di pietra socialista che è già stratificato. Così ne Il giovane Karl Marx lo spettatore non avvertito ha modo di ricevere una breve ma puntuale lezione di storia del socialismo e del comunismo: il giovane hegeliano e il figlio “pentito” di un industriale incontrano sul loro cammino il socialista borghese Pierre-Joseph Proudhon, il socialista utopico Wilhelm Weitling, l’editore dei Deutsch-Französische Jahrbücher Arnold Ruge, e il fondatore dell’anarchismo moderno Mikhail Bakunin. Per non parlare ovviamente dei leader del Bund der Gerechten, noto in Italia come Lega dei Giusti, progenitore – tra gli altri – del pensiero comunista moderno e compiuto.
Senza mai perdersi dietro didascalismi evidenti e senza far ricorso a una retorica che non sia strettamente necessaria allo sviluppo della narrazione – usando la semplificazione per arrivare alla massa, un disegno teorico non poi così dissimile da quello alla base del Manifesto del Partito Comunista -, Raoul Peck attraversa un lustro, quello che va dal 1843 ai moti rivoluzionari del 1848, determinante per l’evoluzione del pensiero di lotta operaia e di rivendicazione dei diritti del proletariato. Lo fa attingendo alla prassi del biopic, ma senza accettarne alcuni dei dogmi più fastidiosi, come il ricorso all’aneddotica per semplificare l’afflato teorico o la scelta di affidare ai suoi protagonisti frasi lapidarie e destinate a imprimersi nella mente. Al contrario, la fluidità del racconto si lega a un discorso mai banale sul concetto di lotta di classe; il passaggio dall’ecumenico “Tutti gli uomini sono fratelli” (motto della Lega dei Giusti) al celeberrimo “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, acme di un intervento pubblico di Engels, è sviluppato da Peck attraverso un crescendo mai enfatico, ma che sottolinea il rivoluzionario smottamento di un sistema di pensiero che inizia finalmente a ragionare sulle classi e non su un generico riferimento agli esseri umani, e si apre all’internazionalismo. Quell’internazionalismo che è parte integrante del film, che vede uniti nello sforzo haitiani, francesi, tedeschi, belgi, inglesi: una dimostrazione di co-produzione che diventa cooperazione, e che permette alle tre lingue più “in lotta” per il predominio d’Europa – tedesco, francese e inglese – di sviluppare una dialettica unica, tra il forbito tedesco di Jenny, la moglie aristocratica e libertaria di Marx, e lo slang britannico/irlandese di Mary Burns, l’irriverente e “spiritosa” (stando alle parole proprio di Marx) compagna di vita di Engels.
Il fotografo e giornalista Peck organizza un biopic avvincente, che prende l’abbrivio dal massacro impunito degli ultimi tra gli ultimi per la sola colpa di aver raccolto – e quindi “rubato”, nell’accezione giuridica sempre dalla parte del padronato – rami secchi caduti dagli alberi e arriva fino agli albori di una rivoluzione destinata a fallire ma germe per future infinite rivoluzioni, perché come sentenzia il film sulle scritte finale, in riferimento a Il Capitale, si tratta di “un’opera aperta, incommensurabile, incompleta perché l’oggetto stesso della sua critica è in continuo movimento. Lì, su quel finale che lascia eternamente giovani Karl Marx e Friedrich Engels, Peck si permette una fuga in avanti nel tempo, donando alle trame sonore di Bob Dylan e di Like a Rolling Stone il resoconto di un secolo e mezzo di lotte contro l’oppressione del capitalismo, e di disfacimenti della società. Per ricordare che nulla muore, e finché lo stato delle cose sarà quello esistente non si potrà fare a meno della filosofia marxiana. Lo spettro si aggira ancora per l’Europa, e per il mondo. Anche se si fa di tutto per non vederlo.
Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo.
Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro:
il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi.
Dov’è il partito di opposizione che non sia stato bollato di comunismo dai suoi avversari al governo,
dove il partito di opposizione che non abbia ritorto l’infamante accusa di comunismo
sia contro gli esponenti più progressisti dell’opposizione che contro i suoi avversari reazionari?
Di qui due conseguenze.
Il comunismo viene ormai riconosciuto da tutte le potenze europee come una potenza.
È gran tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo la loro prospettiva,
i loro scopi, le loro tendenze, e oppongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito.
Incipit de Il manifesto del Partito Comunista, di Friedrich Engels e Karl Marx. 1848.
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