Torino,
respinto il ricorso dei fattorini contro Foodora: "Sono lavoratori
autonomi, non dipendenti"
I lavoratori in bici hanno fatto causa dopo che l'azienda li aveva sospesi
dal lavoro per le proteste in piazza contro la paga troppo bassa. Gli avvocati:
"Contratti privi di tutela e sotto ricatto". La difesa: "Nessuna
violazione della privacy"
Il Tribunale del lavoro di Torino ha respinto il ricorso, primo del genere
in Italia, dei sei rider di Foodora che avevano intentato una causa civile
contro la società tedesca di food delivery, contestando l'interruzione
improvvisa del rapporto di lavoro dopo le mobilitazioni del 2016 per ottenere
un giusto trattamento economico e normativo. Il tribunale ha ritenuto che i
rider sono collaboratori autonomi non legati da un rapporto di lavoro
subordinato con l’azienda pertanto il ricorso non sussite. "Siamo soddisfatti
- dice il legale dell'azienda di food delivery Giovanni Realmonte - ora
aspettiamo di leggere le motivazioni del giudice". Dopo la lettura della
sentenza, i fattorini presenti in aula sono rimasti in silenzio. A parlare è
l'avvocato Sergio Bonetto. "Purtroppo oggi non è stata fatta giustizia,
questo è il nostro Paese. Quello che colpisce di più è che un'azienda può
mandare chiunque a lasciare pacchi senza alcuna tutela". Aggiunge la
collega Giulia Druetta: "Forse per cambiare le cose deve scapparci il
morto. Sicuramente faremo appello. Questi contratti tolgono dignità ai
lavoratori. E' come se tutte le battaglie combattute negli ultimi ottant'anni
non contassero più nulla".
I sei rider che hanno presentato il ricorso con i loro legali
Decine di rider hanno affollato l'aula in cui si è celebrato il primo
processo in Italia contro Foodora, il colosso
tedesco delle consegne di cibo a domicilio. Ad
appoggiare la battaglia legale intentata da sei fattorini tanti colleghi anche
di altre società concorrenti e alle prese con i problemi della cosiddetta
"gig economy", l'economia dei lavoretti a chiamata che per molti
diventa un lavoro non dissimile da uno subordinato, per quanto precario.Proprio
su questo punto avevano fatto leva durante il dibattimento gli avvocati Sergio
Bonetto e Giulia Druetta, evidenziando condizioni di lavoro "con contratti
privi di tutela, sotto ricatto e al di fuori dalle regole previste da qualunque
attività lavorativa"."Nella vicenda Foodora c'è stata una
discriminazione, un comportamento lesivo della dignità dei lavoratori" -
ha proseguito Druetta. I rider, attraverso i loro legali, contestano
l'interruzione improvvisa del rapporto di lavoro, giunta dopo le proteste di
piazza per le questioni relative alla paga oraria e chiedono il reintegro e
l'assunzione, oltre al risarcimento e ai contribuiti previdenziali non goduti.
"I fattorini Foodora erano sottoposti a un continuo controllo - aggiunge il legale - ogni loro movimento era tracciato, come se avessero un braccialetto elettronico. Un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, nonostante fossero inquadrati come collaboratori autonomi. A Foodora non importava delle condizioni del lavoratore vi era una costante pressione psicologica sui rider, finalizzata al mantenimento del posto di lavoro".
Il legale ha quindi spiegato come "i fattorini fossero totalmente assoggettati al potere del datore di lavoro, con un controllo totale sugli orari che potevano essere modificati anche senza alcun preavviso". Druetta ha poi citato il caso di un fattorino che, dopo quattro ore di pedalate, scrisse nella chat aziendale di avere male alle gambe. "Il superiore rispose che gli spiaceva, ma che aveva bisogno di tutti i rider per l'intero turno". I rapporti tra alcuni fattorini e l'azienda si incrinarono definitivamente con l'inizio delle proteste inerenti il sistema di retribuzione. "L'azienda escluse dai turni chi non era d'accordo - spiega il legale - addirittura un rider ha raccontato che in cambio di notizie sui colleghi, avrebbe avuto un contratto".
Una manifestazione dei rider Foodora
"Foodora non ha violato la privacy dei rider. L'applicazione
utilizzata sullo smartphone poteva accedere, attraverso il gps, soltanto al
dato sulla geolocalizzazione, istantaneo e non memorizzato". Così
l'avvocato Giovanni Realmonte, legale difensore di Foodora, al processo, il
primo in Italia, contro la società specializzata in food delivery. In
precedenza i legali dei fattorini, lamentando la violazione delle norme che
tutelano la riservatezza dei dati, hanno chiesto un risarcimento pari a 20 mila
per ognuno dei rider allontanati. A cui si aggiunge un risarcimento di 100 euro
(per ogni giornata di lavoro) per la presunta violazione delle norme
antinfortunistiche. "Non c'è alcun rapporto di subordinazione - spiega
l'altro legale dell'azienda Ornella Girgenti - i rider accedono alla piattaforma
dei turni e decidono quando e in che misura dare la loro disponibilità. Non c'è
scritto da nessuna parte che il rider debba offrire una disponibilità minima,
di questa circostanza non c'è traccia da nessuna parte. Foodora decide chi far
lavorare e quando far lavorare". L'avvocato ha poi osservato che "in
caso di maltempo aumentavano gli ordini e più rider non si presentavano a
lavorare, senza preoccuparsi di trovare un sostituto. Per questo motivo si
decideva all'ultimo. In un mese poi si sono registrate addirittura 70 defezioni
di ragazzi che, semplicemente, si sono dimenticati di aver preso
l'impegno".
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