Collettivo Contro la Repressione per un Soccorso Rosso Internazionale
LA REPRESSIONE NON
FERMERÀ LA
LOTTA!
HOCH DIE INTERNATIONALE SOLIDARITÄT!
HOCH DIE INTERNATIONALE SOLIDARITÄT!
Il 7 e l’8 luglio ad Amburgo
(Germania) si è tenuto il G20, un vertice nel quale i capi di Stato e di Governo
si sono riuniti per “discutere” di contrasto al “terrorismo”, di lotta al
cambiamento climatico e di gestione dei flussi migratori. Ma non solo
ovviamente. Questi “grandi della Terra”, e nello specifico i presidenti Trump e
Putin, hanno affrontato anche la questione siriana e, più in generale,
quest’ultimo G20 si è caratterizzato per una posizione molto decisa contro il
dumping cinese e per la difesa del commercio internazionale.
Ancora una volta la conclusione di questo ennesimo vertice che ha visto riunirsi politici, consiglieri, consulenti, capitalisti, giornalisti e rispettivi lacchè al seguito, non poteva che essere una: per questi
signori il futuro del mondo, il futuro dell’umanità, è e dovrà continuare ad essere il capitalismo, con gli Stati che tentano di tenere ben eretti i bastioni in sua difesa contro quanti vi si oppongono e rispetto alle sue stesse intrinseche contraddizioni. E pazienza se questo futuro da loro prospettato altro non avrà da offrire se non impoverimento generale, sfruttamento, oppressione e guerre in misura e intensità sempre più crescenti per i proletari del centro capitalistico e per le masse popolari delle “periferie” del mondo!
Di fronte a queste prospettive, di fronte a questi signori che vivono di profitto e per il profitto, di fronte a questi “cervelloni” incravattati che vorrebbero un mondo dove chi subisce i costi più pesanti delle contraddizioni capitalistiche dovrebbe limitarsi a votare o a farsi inquadrare in un sindacato di regime, di fronte a tutto questo c’è stato qualcuno che non ha accettato di rimanere passivo davanti a una provocazione così grande come quella di indire un vertice del genere in una città (Amburgo, appunto) che ha saputo dare tanto al movimento operaio e rivoluzionario europeo. I rappresentanti del capitale hanno voluto lanciare una gesto di sfida e quella sfida è stata raccolta.
Ancora una volta la conclusione di questo ennesimo vertice che ha visto riunirsi politici, consiglieri, consulenti, capitalisti, giornalisti e rispettivi lacchè al seguito, non poteva che essere una: per questi
signori il futuro del mondo, il futuro dell’umanità, è e dovrà continuare ad essere il capitalismo, con gli Stati che tentano di tenere ben eretti i bastioni in sua difesa contro quanti vi si oppongono e rispetto alle sue stesse intrinseche contraddizioni. E pazienza se questo futuro da loro prospettato altro non avrà da offrire se non impoverimento generale, sfruttamento, oppressione e guerre in misura e intensità sempre più crescenti per i proletari del centro capitalistico e per le masse popolari delle “periferie” del mondo!
Di fronte a queste prospettive, di fronte a questi signori che vivono di profitto e per il profitto, di fronte a questi “cervelloni” incravattati che vorrebbero un mondo dove chi subisce i costi più pesanti delle contraddizioni capitalistiche dovrebbe limitarsi a votare o a farsi inquadrare in un sindacato di regime, di fronte a tutto questo c’è stato qualcuno che non ha accettato di rimanere passivo davanti a una provocazione così grande come quella di indire un vertice del genere in una città (Amburgo, appunto) che ha saputo dare tanto al movimento operaio e rivoluzionario europeo. I rappresentanti del capitale hanno voluto lanciare una gesto di sfida e quella sfida è stata raccolta.
La repressione –anche di carattere
preventivo- in merito alla mobilitazione di Amburgo è stata dura, com’era
normale che fosse. Diciamo in merito alla mobilitazione e non solo in
seguito ad essa in quanto Procure, Polizia e mass-media si sono scatenati
parecchio tempo prima proprio in previsione di quella grande opposizione di
piazza.
La campagna mediatica di criminalizzazione contro i compagni e quella giudiziaria volta alla loro incriminazione, messe in moto già nelle settimane precedenti il vertice, avrebbero fatto comprendere a chiunque quale sarebbe stato l’atteggiamento assunto dal governo tedesco di fronte ad una seria e decisa risposta del movimento antagonista europeo rispetto al G20. Dal 22 giugno fino alla conclusione del vertice, infatti, la polizia ha operato ben 159 arresti!
L’apparato repressivo tedesco, su preciso e ovvio mandato politico, ha messo a punto una considerevole macchina di repressione preventiva intimando a numerosi compagni di non mettere piede nella città di Amburgo e a quelli residenti di andarsene fino alla conclusione del vertice: in maniera del tutto evidente l’Ufficio Criminale Federale si stava avvalendo del sistema di schedature perfezionato in anni di controrivoluzione; nel frattempo i campeggi ospitanti i manifestanti venivano ripetutamente attaccati dagli sbirri.
La manifestazione “Welcome to Hell”, indetta per la sera del 6 luglio nella zona del mercato del pesce di Amburgo, viene fin da subito attaccata pesantemente dalla polizia. Per Berlino quella mobilitazione deve essere impedita sul nascere, ad ogni costo. Questo non fa desistere i manifestanti che, anzi, si dirigono in massa verso le strade circostanti il mercato. Ogni spazio, ogni metro, ogni occasione devono essere colti e sfruttati per rispondere e non arretrare.
Il giorno successivo, i manifestanti riescono ad occupare anche alcune Zone Rosse e a bloccare temporaneamente l’arrivo delle delegazioni e persino alcuni collegamenti portuali.
Nella giornata dell’8, la polizia di Amburgo è costretta a prendere atto di avere letteralmente perso il controllo di alcune zone della città. E questo nonostante l’impiego di migliaia di sbirri in assetto antisommossa dotati di manganelli, idranti, spray al peperoncino, gas lacrimogeni, pugni di ferro, etc., arsenale utilizzato non solo nel corso di scontri frontali ma anche in occasione di incursioni massicce nei cortei allo scopo di ferire quanti più manifestanti possibile (compresi medici e paramedici).
Del resto che la polizia avesse ricevuto l’ordine di “non fare prigionieri” era chiaro fin dall’inizio delle manifestazioni e lo testimonia molte bene la dichiarazione rilasciata dal direttore delle operazioni di Polizia in occasione del vertice: è da preferirsi il ferimento dei manifestanti che il loro arresto.
Arrivati a quel punto, il governo tedesco si è trovato costretto a lanciare un segnale di maggiore “fermezza” di fronte ai propri “partner” internazionali. Sempre l’Ufficio Criminale Federale di Amburgo (su mandato dell’Ufficio Federale per la protezione della Costituzione), l’8 luglio perquisisce il Centro Internazionale B5 di St. Pauli e successivamente istituisce un Portale-notifiche “invitando” i cittadini a compiere espliciti atti di delazione inviando alla polizia materiali potenzialmente incriminanti relativi agli scontri. Nella stessa giornata era stata indetta una manifestazione di solidarietà verso i colpiti dalla repressione e anch’essa diventata oggetto di pesanti “attenzioni” da parte degli sbirri, attraverso massicci controlli d’identità e fermi preventivi in un centro di detenzione.
A conclusione del vertice si è assistito al rituale di una polizia pronta a irrompere in ostelli, stazioni e abitazioni private alla ricerca di eventuali militanti provenienti da altri Paesi, mentre la Procura aveva già spiccato diversi mandati di cattura.
Tutto questo mentre, ancora nella giornata del 9, in uno dei quartieri più tradizionalmente di sinistra della città, centinaia di manifestanti continuavano a riversarsi nelle strade e a ingaggiare scontri con la polizia.
La campagna mediatica di criminalizzazione contro i compagni e quella giudiziaria volta alla loro incriminazione, messe in moto già nelle settimane precedenti il vertice, avrebbero fatto comprendere a chiunque quale sarebbe stato l’atteggiamento assunto dal governo tedesco di fronte ad una seria e decisa risposta del movimento antagonista europeo rispetto al G20. Dal 22 giugno fino alla conclusione del vertice, infatti, la polizia ha operato ben 159 arresti!
L’apparato repressivo tedesco, su preciso e ovvio mandato politico, ha messo a punto una considerevole macchina di repressione preventiva intimando a numerosi compagni di non mettere piede nella città di Amburgo e a quelli residenti di andarsene fino alla conclusione del vertice: in maniera del tutto evidente l’Ufficio Criminale Federale si stava avvalendo del sistema di schedature perfezionato in anni di controrivoluzione; nel frattempo i campeggi ospitanti i manifestanti venivano ripetutamente attaccati dagli sbirri.
La manifestazione “Welcome to Hell”, indetta per la sera del 6 luglio nella zona del mercato del pesce di Amburgo, viene fin da subito attaccata pesantemente dalla polizia. Per Berlino quella mobilitazione deve essere impedita sul nascere, ad ogni costo. Questo non fa desistere i manifestanti che, anzi, si dirigono in massa verso le strade circostanti il mercato. Ogni spazio, ogni metro, ogni occasione devono essere colti e sfruttati per rispondere e non arretrare.
Il giorno successivo, i manifestanti riescono ad occupare anche alcune Zone Rosse e a bloccare temporaneamente l’arrivo delle delegazioni e persino alcuni collegamenti portuali.
Nella giornata dell’8, la polizia di Amburgo è costretta a prendere atto di avere letteralmente perso il controllo di alcune zone della città. E questo nonostante l’impiego di migliaia di sbirri in assetto antisommossa dotati di manganelli, idranti, spray al peperoncino, gas lacrimogeni, pugni di ferro, etc., arsenale utilizzato non solo nel corso di scontri frontali ma anche in occasione di incursioni massicce nei cortei allo scopo di ferire quanti più manifestanti possibile (compresi medici e paramedici).
Del resto che la polizia avesse ricevuto l’ordine di “non fare prigionieri” era chiaro fin dall’inizio delle manifestazioni e lo testimonia molte bene la dichiarazione rilasciata dal direttore delle operazioni di Polizia in occasione del vertice: è da preferirsi il ferimento dei manifestanti che il loro arresto.
Arrivati a quel punto, il governo tedesco si è trovato costretto a lanciare un segnale di maggiore “fermezza” di fronte ai propri “partner” internazionali. Sempre l’Ufficio Criminale Federale di Amburgo (su mandato dell’Ufficio Federale per la protezione della Costituzione), l’8 luglio perquisisce il Centro Internazionale B5 di St. Pauli e successivamente istituisce un Portale-notifiche “invitando” i cittadini a compiere espliciti atti di delazione inviando alla polizia materiali potenzialmente incriminanti relativi agli scontri. Nella stessa giornata era stata indetta una manifestazione di solidarietà verso i colpiti dalla repressione e anch’essa diventata oggetto di pesanti “attenzioni” da parte degli sbirri, attraverso massicci controlli d’identità e fermi preventivi in un centro di detenzione.
A conclusione del vertice si è assistito al rituale di una polizia pronta a irrompere in ostelli, stazioni e abitazioni private alla ricerca di eventuali militanti provenienti da altri Paesi, mentre la Procura aveva già spiccato diversi mandati di cattura.
Tutto questo mentre, ancora nella giornata del 9, in uno dei quartieri più tradizionalmente di sinistra della città, centinaia di manifestanti continuavano a riversarsi nelle strade e a ingaggiare scontri con la polizia.
Ormai sono trascorse molte
settimane dal Vertice e rimangono in carcere decine di compagni/e. Questo ha
condotto a una pronta mobilitazione con svariati presidi (Amburgo sotto al
carcere, Paesi Baschi, Italia, Francia etc.”).
In un certo senso possiamo dire
che i fatti di Amburgo dimostrano al mondo intero che, nonostante
tutto, un movimento antagonista in Europa ancora c’è. E non solo. I
numerosi arresti effettuati dagli sbirri e che hanno spedito in carcerazione
preventiva compagni tedeschi, italiani, greci, svizzeri, baschi, francesi, etc.,
dimostrano quanto, nonostante le mille e grosse difficoltà in cui versano i
movimenti antagonisti nei singoli Paesi, una mobilitazione di carattere
europeo si sia ancora capaci di esprimerla e di farlo, per di più, esercitando
esplicite pratiche di rottura. Pratiche che sono state in grado di cambiare per
alcuni giorni il volto stesso di una città come Amburgo; che ne hanno impedito
l’ordinario funzionamento (in termini di circolazione delle merci e della
forza-lavoro ad esempio); che hanno costretto lo Stato a un impiego massiccio di
risorse e che lo hanno spinto a perdere il controllo di alcune zone della città
per alcune ore; che hanno causato il ferimento di quasi 500 sbirri; che hanno
fatto intendere in un qualche modo ai rappresentanti del profitto che non è
sempre possibile per loro riunirsi come e quando vogliono e non dover comunque
pagare un prezzo.
I rappresentanti del profitto
sanno di dover considerare, in aggiunta ai fatti di Amburgo, anche una
resistenza che quotidianamente viene opposta nelle carceri tedesche (e non solo
tedesche ovviamente) da decine di rivoluzionari prigionieri. Una resistenza che,
proprio in occasione del G20 e delle mobilitazioni che contro di esso si
sarebbero espresse, ha portato il prigioniero anarchico Thomas Meyer Falck
(detenuto in Germania ormai da molti anni) a prendere una posizione chiara e
decisa attraverso una lettera che è possibile leggere anche sul nostro
blog.
Dopo una manifestazione come
quella di Amburgo, ad esempio, il conflitto non si spegne, non si esaurisce
(nemmeno se a dichiararlo fossero gli stessi protagonisti di quella
mobilitazione), bensì continua sotto altre forme e su altri terreni. Ed è lo
Stato che, quasi sempre purtroppo, lo conduce e lo fa nelle Procure, nelle aule
di tribunale, nelle carceri. Perché lo Stato vuole e deve alzare il tiro e lo fa
prima, durante e dopo le mobilitazioni.
Se la repressione è qualcosa di più di una semplice appendice a seguito di una lotta, se si tratta (tra le altre cose) di un terreno e di un momento rispetto ai quali gli Stati tentano di riposizionarsi allo scopo di rideterminare nuove posizioni in termini di avanzamento per sé e di arretramento per noi, allora è importante e necessario che tutti quanti ci si ricompatti intorno ai compagni e alle compagne colpiti e colpite da questa stessa repressione e che si organizzino iniziative di solidarietà volte a rivendicare quella lotta, nel tentativo di contribuire ad un suo rafforzamento e ad un suo eventuale rilancio e avanzamento.
Questo prendere posizione per una parte contro l’altra deve necessariamente trovare un riscontro pratico ed esplicito in quanto è anche qui, infatti, che vengono alla luce gli opportunismi e i riformismi di coloro che giocano alla lotta contro il capitalismo ma che, alla fine, rinunciano o rifiutano di schierarsi nei fatti a fianco di tutti quei compagni quando questi vengono colpiti dalla repressione per essersi assunti, sempre nei fatti, vere e proprie pratiche di rottura rispetto allo Stato.
Se la repressione è qualcosa di più di una semplice appendice a seguito di una lotta, se si tratta (tra le altre cose) di un terreno e di un momento rispetto ai quali gli Stati tentano di riposizionarsi allo scopo di rideterminare nuove posizioni in termini di avanzamento per sé e di arretramento per noi, allora è importante e necessario che tutti quanti ci si ricompatti intorno ai compagni e alle compagne colpiti e colpite da questa stessa repressione e che si organizzino iniziative di solidarietà volte a rivendicare quella lotta, nel tentativo di contribuire ad un suo rafforzamento e ad un suo eventuale rilancio e avanzamento.
Questo prendere posizione per una parte contro l’altra deve necessariamente trovare un riscontro pratico ed esplicito in quanto è anche qui, infatti, che vengono alla luce gli opportunismi e i riformismi di coloro che giocano alla lotta contro il capitalismo ma che, alla fine, rinunciano o rifiutano di schierarsi nei fatti a fianco di tutti quei compagni quando questi vengono colpiti dalla repressione per essersi assunti, sempre nei fatti, vere e proprie pratiche di rottura rispetto allo Stato.
SVILUPPARE LA
SOLIDARIETÀ! RAFFORZARE LA
LOTTA!
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