Il 23 marzo 1950 i lavoratori di San Severo, all'indomani di uno sciopero generale, insorsero contro le forze di polizia, innalzando barricate e assaltando le armerie e la sede del MSI. Gli scontri causarono un morto e circa quaranta feriti tra civili e militari, e l'esercito occupò coi carri armati le principali vie della città. Nei giorni seguenti, coll'accusa di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, furono arrestate centoottantaquattro persone, assolte e rilasciate dopo il processo, un anno dopo.
Il ventitré di marzo
Successe ‘n’arruina pe’ ddu belle San Sevjire
Nnand’a la Cammera del lavoro
Vulevene eccide a li lavoratour’
U commessarie Fratelle
Ne pers’ li cerevelle andù ‘rriga’ li femenelle
Avevane deic’ come diceve jsse
Pe’ ‘rrista’ li comunist’
Alleghete è jut’a Rouma
Purtete i connutete de li povere carcirete
Ha pigghiete la parola
Cacciete four’ li lavoratour’
Ha pigghiete la parola
L’aveite misse jind’ pe’ pane e lavour’ .
Il 23 marzo che giorno di coraggio,
uomini e donne siamo stati coraggiosi.
Alle 10 eravamo in sezione
e gli scelbini salivano dal balcone,
col mitra ci hanno fatto alzare le mani,
di parole siamo stati insultati.
Alle 10 il maresciallo e i suoi uomini
ci hanno aggrediti, ma non siamo spaventati,
perché loro lo sanno, siamo coraggiosi.
Ma la lotta continuerà e bandiera rossa trionferà.
Con autoblindo e carrarmati ci hanno trasportati
e alle carceri di Lucera ci hanno portati.
Siamo stati consegnati al presidente.
Noi tutti coraggiosi siamo stati spontanei:
signor presidente, siamo innocenti,
sono stati i fascisti a infamarci.
Ma la lotta continuerà e bandiera rossa trionferà.
uomini e donne siamo stati coraggiosi.
Alle 10 eravamo in sezione
e gli scelbini salivano dal balcone,
col mitra ci hanno fatto alzare le mani,
di parole siamo stati insultati.
Alle 10 il maresciallo e i suoi uomini
ci hanno aggrediti, ma non siamo spaventati,
perché loro lo sanno, siamo coraggiosi.
Ma la lotta continuerà e bandiera rossa trionferà.
Con autoblindo e carrarmati ci hanno trasportati
e alle carceri di Lucera ci hanno portati.
Siamo stati consegnati al presidente.
Noi tutti coraggiosi siamo stati spontanei:
signor presidente, siamo innocenti,
sono stati i fascisti a infamarci.
Ma la lotta continuerà e bandiera rossa trionferà.
Oggi, 23 marzo 1950, la
sanguinosa rivolta popolare di S. Severo fermata coi carri armati
S. Severo, 23/03/1950. Alcune donne arrestate vengono
tradotte al carcere di Lucera.
Oggi, 23 Marzo del 1950, manifestazione del Pci-Cgil a
San Severo. La sommossa che ne deriva viene repressa ricorrendo ai carri
armati. Drammatico il bilancio: muore l'operaio Michele Di Nunzio e in 40
restano feriti*.
Italia, 1950. L’eco degli eccidi di
lavoratori a Melissa, Montescaglioso, Modena e, per la Puglia, San Ferdinando,
Torremaggiore, rimbalza nelle città e nelle campagne scatenando la rabbia di
chi vive già afflitto da problemi esistenziali e dalla dura realtà quotidiana.
Il 23 marzo 1950 anche San Severo, in Puglia, vive un capitolo di questo
dramma nazionale: tra "insurrezione" e "risposta alla provocazione", i braccianti di San Severo si lanciano contro le forze di polizia, urlando "Pane e lavoro!". Al termine di un giorno convulso e drammatico, con numerosi feriti e una vittima sul selciato - Michele Di Nunzio, 33 anni - a sedare la rivolta arriva l'esercito. Carri armati occupano le vie principali della città. Nei giorni successivi vengono arrestate 180 persone, col pesantissimo capo d’accusa: insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Gli arrestati verranno sottoposti a un lungo e combattuto processo, che vedrà protagonista Lelio Basso, difensore degli imputati.
dramma nazionale: tra "insurrezione" e "risposta alla provocazione", i braccianti di San Severo si lanciano contro le forze di polizia, urlando "Pane e lavoro!". Al termine di un giorno convulso e drammatico, con numerosi feriti e una vittima sul selciato - Michele Di Nunzio, 33 anni - a sedare la rivolta arriva l'esercito. Carri armati occupano le vie principali della città. Nei giorni successivi vengono arrestate 180 persone, col pesantissimo capo d’accusa: insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Gli arrestati verranno sottoposti a un lungo e combattuto processo, che vedrà protagonista Lelio Basso, difensore degli imputati.
Dopo due lunghi anni, il 5 aprile
1952, gli imputati vengono assolti e rilasciati. I loro figli, circa 70
bambini, nel frattempo sono stati ospitati, "adottati" da famiglie di
lavoratori del centro-nord in segno di solidarietà sociale e politica. Questo
eccezionale movimento collettivo di accoglienza dei figli degli incarcerati di
San Severo, è solo un tassello del più vasto movimento nazionale che già dal
’46 operava in Italia, organizzato dai partiti della sinistra e da
organizzazioni femminili come l’UDI. Le famiglie emiliano romagnole,
marchigiane e toscane, della rete dei comitati di Solidarietà Democratica
accolsero come figli adottivi i più poveri bambini del Sud, ma anche quelli
delle zone martoriate dai bombardamenti, come per Cassino, o dalle alluvioni,
come per il Polesine. Una grande esperienza di massa che portò, nei "treni
della felicità", circa 70.000 bambini a vivere l’adozione familiare dal
1946 al 1952. L’Emilia e la Romagna, al centro di questa grande campagna di
solidarietà, accolsero i figli dei braccianti pugliesi; contadini e operai
incontrarono ed aiutarono i "fratelli" del sud più misero e
sfruttato. L’incontro tra queste due Italie e il confronto tra le due culture,
unite da ideali e solidarietà, pur nelle differenti condizioni economiche, tese
ad una seconda riunificazione nazionale, dopo la tragica esperienza fascista.
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