Dopo
aver portato a casa la riforma sull'istruzione media-superiore, il
governo Renzi prosegue in sordina con le manovre che concernono le
riforme sull’Università. Il tormentone sulla Buona
Scuola ha de facto nascosto le mosse silenziose che Giannini, Madia e
Governo hanno escogitato nell’ottica della riforma del mondo degli
atenei, ma in questi giorni le loro intenzioni vengono a galla nell'impatto di alcune dichiarazioni pubbliche.
Il programma è limpido, e due sono i grandi interventi governativi che si stanno affacciando sui nostri atenei: il primo riguarda la “provenienza territoriale”, una differenziazione gerarchica delle istituzioni accademiche, che comporta una distinzione corporativa tra atenei di serie A e atenei di serie B, tra università di prim’ordine e di secondo ordine.
Il destino è smantellare il valore legale e parificato dei titoli di studio, progettando una distinzione di alore tra titoli conseguiti in atenei che hanno più competenze e importanza e quelli ottenuti in università "inferiori", allungando le distanze tra chi potrà e non potrà permettersi un titolo di alto ranking (le tasse negli atenei di serie A prenderanno il volo? staremo a vedere..), proiettando risorse selettivamente verso le università “di spicco” e allontanando ulteriormente il diritto allo studio e il welfare studentesco ad esso correlato da prestazioni minimamente accettabili.
L’idea è di porre valore sul fattore “prestigio” di università che ne hanno il carico, traducendolo in variabile di selezione per l’accesso a concorsi pubblici e competizioni lavorative, spianando la strada a chi può permettersi l’accesso a università autorevoli e rendendo ancora più inaccessibile la scalata meritocratica a chi non può economicamente accedervi.
Il secondo punto è d'altro canto una macchinazione ancora più diabolica, che altera i sistemi di valutazione del voto della laurea. La prospettiva riformatrice è sostanzialmente un ricalcolo del personale voto di laurea in base alla media generale di facoltà: banalmente, se ti laurei con 110 e lode in un ateneo dove la percentuale di laureati con il tuo stesso voto è del 90%, il tuo punteggio sarà estremamente inferiore rispetto a quello del tuo collega che ha ottenuto il medesimo voto ma in un'università più selettiva, dove solo l'1% dei tuoi colleghi ha raggiunto l'eccellenza.
Questo miserabile meccanismo altera la prospettiva stessa della formazione universitaria: quello universitario, ente il cui compito reale sarebbe quello di promuovere formazione, ricerca e istruzione superiore, diviene fondato su una rincorsa meritocratica alla richiesta di valutazione d’eccellenza, su una concentrazione al valore del voto, trasformandosi in un diplomificio di laureandi che implorano un credito in più.
La questione diviene ancora più sordida se si pensa all’importanza che viene data alla quantità di voti eccellenti, riponendo nelle mani dei professori universitari il compito ultimo di alzare l’asta delle competenze per pura scematura numerica. Il soggetto baronale assume quindi un’ulteriore importanza e il meccanismo di selezione si circonda di soggetti universitari completamente immersi nella macchina meritocratica, un mondo della formazione di lustrascarpe con lode e di podisti che sgomitano e implorano il 30.
Il futuro dell'università renziana è quindi riassumibile in un tutti contro tutti nella scalata al successo (o forse sarebbe meglio dire, alla promessa di successo..), in una competizione verso un orizzonte che nessuno può definire con certezza quanto a prospettive di vita ma che tutti bramano in mancanza di altre possibilità, in un'illusione in cui fino all’ultimo centesimo studenti e studentesse sgomiteranno nella rincorsa al titolo d’eccellenza. Alle lotte il compito di costruire la risposta!
Il programma è limpido, e due sono i grandi interventi governativi che si stanno affacciando sui nostri atenei: il primo riguarda la “provenienza territoriale”, una differenziazione gerarchica delle istituzioni accademiche, che comporta una distinzione corporativa tra atenei di serie A e atenei di serie B, tra università di prim’ordine e di secondo ordine.
Il destino è smantellare il valore legale e parificato dei titoli di studio, progettando una distinzione di alore tra titoli conseguiti in atenei che hanno più competenze e importanza e quelli ottenuti in università "inferiori", allungando le distanze tra chi potrà e non potrà permettersi un titolo di alto ranking (le tasse negli atenei di serie A prenderanno il volo? staremo a vedere..), proiettando risorse selettivamente verso le università “di spicco” e allontanando ulteriormente il diritto allo studio e il welfare studentesco ad esso correlato da prestazioni minimamente accettabili.
L’idea è di porre valore sul fattore “prestigio” di università che ne hanno il carico, traducendolo in variabile di selezione per l’accesso a concorsi pubblici e competizioni lavorative, spianando la strada a chi può permettersi l’accesso a università autorevoli e rendendo ancora più inaccessibile la scalata meritocratica a chi non può economicamente accedervi.
Il secondo punto è d'altro canto una macchinazione ancora più diabolica, che altera i sistemi di valutazione del voto della laurea. La prospettiva riformatrice è sostanzialmente un ricalcolo del personale voto di laurea in base alla media generale di facoltà: banalmente, se ti laurei con 110 e lode in un ateneo dove la percentuale di laureati con il tuo stesso voto è del 90%, il tuo punteggio sarà estremamente inferiore rispetto a quello del tuo collega che ha ottenuto il medesimo voto ma in un'università più selettiva, dove solo l'1% dei tuoi colleghi ha raggiunto l'eccellenza.
Questo miserabile meccanismo altera la prospettiva stessa della formazione universitaria: quello universitario, ente il cui compito reale sarebbe quello di promuovere formazione, ricerca e istruzione superiore, diviene fondato su una rincorsa meritocratica alla richiesta di valutazione d’eccellenza, su una concentrazione al valore del voto, trasformandosi in un diplomificio di laureandi che implorano un credito in più.
La questione diviene ancora più sordida se si pensa all’importanza che viene data alla quantità di voti eccellenti, riponendo nelle mani dei professori universitari il compito ultimo di alzare l’asta delle competenze per pura scematura numerica. Il soggetto baronale assume quindi un’ulteriore importanza e il meccanismo di selezione si circonda di soggetti universitari completamente immersi nella macchina meritocratica, un mondo della formazione di lustrascarpe con lode e di podisti che sgomitano e implorano il 30.
Il futuro dell'università renziana è quindi riassumibile in un tutti contro tutti nella scalata al successo (o forse sarebbe meglio dire, alla promessa di successo..), in una competizione verso un orizzonte che nessuno può definire con certezza quanto a prospettive di vita ma che tutti bramano in mancanza di altre possibilità, in un'illusione in cui fino all’ultimo centesimo studenti e studentesse sgomiteranno nella rincorsa al titolo d’eccellenza. Alle lotte il compito di costruire la risposta!
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