mercoledì 1 luglio 2015

pc 1 luglio - India, liberare Ajith! 2a parte del saggio su la politica estera di Modi

I sogni da grande potenza dell'espansionismo indiano - dalla rivista PEOPLE'S MARCH, voce del PCI maoista - firmato dal compagno Ajith, attualmente nelle mani del nemico.

2a parte

Nella seconda metà del secolo scorso, segnato dalle lotte di liberazione e dal passaggio al neocolonialismo, i governi dei paesi del terzo mondo rimarcavano la loro cosiddetta indipendenza. In epoca di globalizzazione, è solo la “crescita”, misurata in termini di PIL, che conta. La crescita del PIL è ora il segno della posizione di un Paese.
L’autosufficienza, anche quella spuria finanziata dagli aiuti esteri, non è più rivendicata come una conquista. Volumi sempre maggiori di capitali esteri non sono più visti come un danno, come il segno dell’aumento del controllo imperialista. Al contrario, il successo in politica economica è misurato dalla capacità di attrarre quote maggiori di capitale straniero.
Questa era una via d'uscita per le classi dominanti indiane che avevano di fronte la sfida alla loro legittimità lanciata dal vortice degli sviluppi internazionali. A questa hanno aggiunto un “ingrediente locale”- la proiezione dell’espansionismo indiano come  aspirante “superpotenza”.

Un maggiore tasso di crescita del PIL con tutto ciò che comportava, più capitale straniero, una dipendenza ancora più stretta dagli Stati Uniti, erano legittimati come passaggi inevitabili e necessarie lungo la strada verso lo status di superpotenza. Quando questo aveva inizio, nei primi anni 90, si poteva a malapena parlare di un qualsiasi status. I governanti riuscivano tirare avanti a stento, dando in pegno le riserve auree del paese.
Ma la liberalizzazione indusse una crescita del PIL che emerse evidente negli anni 2000 e diede un segno visibile di sé in una marea di beni di consumo moderni e loro imitazioni (il lato “invisibile” era l’eccezionale divaricazione della disuguaglianza di reddito), creò presto lo spazio per questi discorsi. Speculazioni che profetizzavano un’economia indiana che avrebbe sorpassato quella USA entro la metà di questo secolo e l’ingresso concesso ai suoi governanti in alcuni circoli imperialisti si composero nell’iperbole dell'India che emergeva come superpotenza.
La politica estera indiana fu ridefinita per adeguarla alla nuova situazione. Compiacere gli Stati Uniti era diventato il suo pilastro. Questo era legittimato come necessario per il salto verso lo status che l'India stava creando da sé e per contrastare la Cina. Queste erano le direttrici della politica del “guardare a Est”di Narasimha Rao, con cui si cercava di stabilire legami strategici con i paesi del Sud-est asiatico. Era anche una correzione di rotta rispetto al periodo del “non allineamento” filo-russo, che aveva limitato l’impegno con questi paesi, dato che questi erano legati principalmente al blocco USA.
Abbiamo già notato che la politica estera indiana è determinata dalle mire espansionistiche di quello che è essenzialmente uno stato compradore. È questo che le dà la sua continuità. I governi di Fronte Unito succeduti a Narasimha Rao lo hanno immancabilmente dimostrato.
La politica del “guardare a Est” di Rao fu proseguita e abbellita da quella divenuta nota come “dottrina Gujral”. Prende il nome dall’ultimo IK Gujral, ministro degli Esteri e poi primo ministro, che di dedicò a tessere relazioni con i paesi nelle immediate vicinanze, quelli del Sud Asia meridionale (Pakistan escluso).
Il primo dei suoi cinque principi afferma che “…a vicini come Nepal, Bangladesh, Bhutan, Maldive e Sri Lanka, l'India non chiede reciprocità, ma dà tutto ciò che può con  buona fede e fiducia”. Sarebbe istruttivo notare che è potuto ascoltare l'eco di queste parole nelle magniloquenti promesse di munificenza indiana fatte da Modi alla sua Delhi Durbar dove tutti i capi di Stato del Sud Asia sono stati chiamati a essere testimoni della sua incoronazione e poi ripetute in occasione del vertice SAARC di Kathmandu. Ancora più istruttivo è che quasi tutto i commentatori politici della classe dominante hanno evitato qualsiasi richiamo a quelle vecchie promesse nell’ansia di affermare l’atteggiamento di Modi è come un inizio del tutto nuovo. Hanno ragione su questo. La logica di fondo della dottrina Gujral, come ha spiegato nientemeno che il suo stesso autore nella sua autobiografia, era: “… dato che dovevamo fronteggiare due vicini ostili a Nord e ad Ovest, dovevamo essere ‘totalmente in pace’ con tutti gli altri paesi limitrofi, allo scopo di contenere l'influenza di Pakistan e Cina nella regione”. La portata espansionista delle relazioni di buon vicinato non avrebbero potuto essere spiegata più crudamente – la logica non è neppure quella di prevenire ogni minaccia diretta all'India. È quella di tutelare, bloccando gli altri, quello che dalle classi dominanti indiane è arrogantemente considerato il proprio cortile di casa. Come è facile comprendere, tra i vicini dell'India, non c'erano acquirenti per la “buona fede e fiducia” di Gujral. Il crescente appetito dell’espansionismo indiano lo rendeva sempre più ambizioso. Pranab Mukherjee, suo avatar predecessore come ministro degli esteri, aveva modestamente delineato questo come uno dei “circoli di espansione”, che iniziavano dal Sud Asia per poi estendersi alle regioni limitrofe. Altri strateghi della classe dominate li hanno definiti “cerchi concentrici”. L’assunto è che assicurarsi il dominio in Sud Asia e diventare una forza significativa nelle regioni circostanti avrebbe loro un posto tra le grandi potenze imperialiste, a livello mondiale. Nel corso degli anni a questo pensiero è stato dato muscolo militare ed economico. Il posto di comando congiunto indiano di Andaman e Nicobar è stato costruito come un formidabile avamposto, con 15 navi, due basi navali, quattro basi aeree e di aviazione navali e una brigata dell'esercito. L’India gestisce una base aerea in Tagikistan.
Due nuove divisioni dell'esercito sono state schierate Lungo la frontiera settentrionale e ci sono piani per allestire un corpo d’attacco di montagna specificamente rivolto contro la Cina. Lo stato indiano è un attore importante nell’addestramento e rifornimento dell'esercito fantoccio afghano messo su dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. In tutto l'Afghanistan si estende una vasta rete uffici governativi e para-governativi, che moltiplicano le capacità operative dei suoi servizi segreti. L'India è anche un importante fornitore di armi al Vietnam e Myanmar. Attraverso società statali e private, ha costruito una rete diffusa in tutta l’Africa, spesso in competizione con l'espansionismo cinese. Sta inoltre promuovendo attivamente la propria presenza in Sud America.
C’è dunque tutta una serie di mosse strategiche e tattiche che hanno al loro centro il dominio sul Sud Asia. Il passaggio ad est è un tentativo di aggirare la Cina per contrastarne le spinte in Sud Asia, così come un passo necessario per garantire “l’interesse principale” di proiettarsi nella regione circostante. Questa rielaborazione della politica estera indiana ha una sua specifica logica interna espansionista. Non si deve ignorare né questa né la continuità da Nehru a Modi per poi porre la questione semplicemente nei termini di “India intrappolata nei piani americani” o “abbandono della politica estera indipendente dell'India da parte del BJP” come hanno fatto i dirigenti leader del PC Marxista e del PCI. Anzi occorre anche capire che ciò è stato reso possibile proprio grazie al riallineamento che ha avuto luogo nella geopolitica di entrambe le regioni, del Sud Asia e del Sud-est asiatico. Questo riallineamento è emerso in seguito al collasso del social-imperialismo e alla crescita della potenza economica e militare della Cina. Negli ultimi due decenni ha fatto salire il valore strategico di queste regioni per l'imperialismo USA e, di conseguenza, l'utilità di promuovere l’espansionismo indiano. Disegnata e applicata da diversi anni, la strategia USA è stata ora formalizzata come la “Svolta verso Pacifico-Asia' di Obama, definita anche “riequilibro verso l’Asia”. Essa richiede che l'espansionismo indiano si muova al passo.
Se la politica di Guardare a Est e le mosse per attuarla sono state la base della politica estera indiana degli ultimi decenni, essa non ci è certo riuscita causa delle convulsioni politiche affrontate dai successivi governi. Ora che il BJP ha una chiara maggioranza che rende irrilevante la politica di coalizione e che Modi ha l'appoggio di quasi tutte i settori delle classi dominanti, l'espansionismo indiano ce la sta mettendo tutta per recuperare il tempo perduto. Eppure, anche lo slogan reso popolare da Modi per significare la sua spinta energica, la pretesa di “Agire a Est”, invece che limitarsi a “Guardare a Est”, manca miseramente di qualsiasi originalità. Modi non fa che scimmiottare Hillary Clinton, che già alcuni anni fa, da Segretario di Stato durante il primo mandato di Obama, catechizzava i governanti indiani a “non solo guardare a Est ma anche impegnarsi a Est e agire a Est”. Niente più di questo dimostra come Modi sia il gancio perfetto per la catena americana. E, per la stessa ragione, di come i fascisti brahminici RSS del “Hindu Rashtravad” (nazionalismo indù) siano servi fedeli dell'imperialismo.
La dichiarazione di Visione Strategica diffusa durante la visita di Obama ripete quanto già detto nel 2014.
È piuttosto interessante la definizione geografica della “visione strategica” indo-statunitense – dall'Africa all’Asia Orientale. Rassomiglia alla strategia dei “circoli di espansione” dell’espansionismo indiano e indica la posizione l'imperialismo USA gli ha assegnati. Il senso immediato delle loro mosse è resa esplicita dalla puntuale riferimento alle controversie tra la Cina e gli altri paesi costieri del Mar Cinese Meridionale e dall’insistenza sul “garantire la libertà di navigazione e di volo”.
Le mosse strategiche della Cina, i suoi progetto di “Via della Seta” e “Via Marina della Seta”, trovano un puntuale contro-piano: la “integrazione economica della regione” che connette Sud, Sud-Est, e Centro Asia e la Nuova Via della Seta targata USA e il loro corridoio economico Indo-Pacifico. Il ruolo dell’India è delineato anche in relazione all'alleanza imperialista esistente tra USA e Giappone.
L'ampio piano americano prevede la costruzione di una stretta cooperazione politica e militare, se non un'alleanza, con Giappone, Australia e India sotto tutela USA. Diverse strutture sono già attive, costruite con l’attiva partecipazione dei precedenti governi indiani. Queste prevedono esercitazioni navali congiunte regolari delle forze di questi paesi e consultazioni bilaterali e multilaterali. Spronato dagli USA, Modi ora vuole rendere più stretti questi legami, in particolare nel settore della difesa. L'apertura dell’India ad una più vasta e profonda penetrazione del capitale monopolistico giapponese ha alta priorità. In considerazione delle crescenti tensioni tra Giappone e Cina, i compradores indiani calcolano che una sezione importante degli investimenti giapponesi può essere attratto verso l'India. Da parte sua, l’ascesa dei salari in Cina la rende sempre meno attrattiva per le multinazionali imperialiste. Questo è un fattore importante alla base progetto “Fare in India” di Modi, che è piuttosto esplicito nel promettere una forza lavoro qualificata e a basso costo, con accento su quest'ultimo. Le riforme avviate durante il precedente governo UPA per eliminare ogni protezione giuridica che i lavoratori avevano contro i loro sfruttatori vengono sospinte a livello centrale. Tutti i governi BJP dei diversi stati presieduti dal RSS scalpitano per applicarli. Il governo del Rajasthan lo ha già fatto. Possiamo qui vedere il nesso tra la politica estera di “Agire a Est” di Modi e la sua politica economica. Essa hanno origine comune nel carattere di classe delle classi dominanti. Quasi tutte le visite all’estero di Modi e le visite in India di leader stranieri ricadono nei parametri dell’ampia alleanza fissati dagli Stati Uniti. L'ascesa delle relazioni indo-giapponesi al livello di vendita e collaborazione nella produzione di un aereo quadrimotore anfibio, lo Shin Maywa US2, è significativa. Naturalmente, implica una più stretta integrazione dell'India nel legami strategici USA in Asia-Pacifico. A parte ciò, essendo la prima vendita all’estero di armamenti giapponesi e la prima collaborazione allo sviluppo di armi in un altro paese dopo la Seconda Guerra Mondiale, segna un importante passo avanti della militarizzazione dell'imperialismo giapponese. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Costituzione giapponese aveva imposto a Tokyo pesanti restrizioni alla produzione militare. Una Costituzione scritta sotto l'egida degli Stati Uniti.
Invece, negli ultimi decenni, il superamento di questa restrizione è un punto importante nell'agenda USA in Asia-Pacifico.
Gli Stati Uniti vorrebbero che Giappone (e Australia) si assumano una parte ben maggiore di compiti militari. La classe dominate giapponese non è contraria.
Comunque, dietro la facciata di un’innocua Forza di Difesa sono già state costruite formidabile forze di terra, mare e aerea. La capacità industriale del paese permette un’accelerazione abbastanza rapida, anche nell’ottenimento di armi nucleari. Ciò che pone un grosso ostacolo a questo piano è la forte opposizione del popolo giapponese alla militarizzazione. La classe dirigente giapponese utilizza scientemente le crescenti contraddizioni con la Cina per fomentare lo sciovinismo e creare un’opinione pubblica che possa indebolire e minare questa opposizione. Modi ha deliberatamente fatto dell'India una pedina in questo sporco gioco.
Abbiamo visto che il dominio sul Sud Asia è il centro della politica estera dell’espansionismo indiano. All’interno di ciò, il Pakistan, o meglio la sua soppressione, è rimasto il primo punto all’ordine del giorno dal 1947. La disponibilità di armi nucleari la rende una forza che i governi indiani proprio non possono ignorare.
Inoltre, gode di una relazione particolare e di lunga data con la Cina che risale alla sua nascita, nel 1947. lo stesso vale per la relazione USA-Pakistan.
Per quanto gli Stati Uniti tengano a coccolare gli interessi espansionistici indiani, non lasceranno cadere il Pakistan, che ha una grande importanza geopolitica nei loro piani. A ciò va aggiunta l'intensificazione della resistenza in Afghanistan che seguirà inevitabilmente il ritiro statunitense. Perciò, le autorità statunitensi condanneranno pubblicamente il governo pakistano, insisteranno per l’adozione di misure contro questa o quella organizzazione “terrorista”, ma il loro sostegno e le forniture non cesseranno. Le classi dominanti indiane hanno costantemente cercato di interromperle ma, a parte il conforto di qualche parola un po’ più dura nei confronti dei governi pakistani, non hanno fatto alcun passo avanti notevole. Questo dato rimane, nonostante la tanto propagandata “chimica personale” tra Modi e Obama. I suoi strateghi dell’immagine hanno esibito la lista di diverse organizzazioni (come Lashkare Tayyiba e Jaishe Mohammad) definite “terroriste” nella dichiarazione congiunta rilasciata durante la visita di Obama come un importante passo avanti in questo senso. Ma era solo una dichiarazione di facciata; queste organizzazioni sono state incluse da tempo dall’ONU e dagli Stati Uniti nelle loro liste nere. Ma nonostante tutti i bandi e liste nere, la CIA si avvalsa anche dei servizi di loro quadri per le sue operazioni. Questo è venuto alla luce col caso Hayden. Ma nonostante tutti gli accordi pubblici e segreti di collaborazione tra i due paesi, alle agenzie indiane non è stato dato il permesso di interrogarlo.
I rapporti degli Stati Uniti con il Pakistan restano quindi importante motivo di irritazione per le classi dominanti indiane. Lo è ancora di più per il fascista brahminico RSS. Per questa organizzazione, che controlla il governo Modi, l'odio verso i musulmani, e per estensione la soppressione del Pakistan, è il perno centrale, il vero principio organizzazione, del suo sciovinismo comunitario, del suo progetto di “Hindu Rashtra”. Da lungo tempo l'RSS è orientato a ingraziarsi gli USA e a integrare l'India nella loro orbita. Per molti decenni, nel periodo del “non allineamento” filo-imperialismo russo, è stata una voce fuori dal coro dell'orientamento generale delle classi dominanti indiane. La ridefinizione della politica estera indiana causata dagli sviluppi mondiali hanno rovesciato le parti. Ha permesso la riduzione delle differenze tra i diversi settori delle classi dominanti. Il passaggio a una posizione filo-USA ha conquistato il consenso. Ma è solo ora, con il governo Modi, che l’RSS sta avendo l'opportunità di imporre senza ostacoli la sua agenda. Tuttavia, i limiti sono fissati dagli USA, che hanno le loro priorità. Come abbiamo visto, tra queste ci sono tanto il sostegno allo Stato pakistano quanto la gratificazione e rafforzamento dell'espansionismo indiano. Se l'agenda RSS di integrare India nell'orbita statunitense come mezzo per spingere i suoi piani espansionisti sta avanzando, il governo Modi deve comunque inchinarsi agli imperativi degli interessi USA. Le restrizioni che questo impone al cuore antimusulmano, antipakistano, alla linea sciovinista brahminica dell’RSS, sicuramente produrranno molte oscillazioni nelle politiche estera e interna di Modi.
Se ne avuto un saggio nelle reazioni al discorso di commiato di Obama. Dimenticando opportunamente l’islamofobia dilagante negli Stati Uniti e la persecuzione assassina delle masse di colore sotto il suo governo, si è dato il compito di tenere per presenti una lezione sulla garanzia costituzionale riconosciuta dall'India del diritto di professare una religione. Evidentemente, voleva usare il bastone dei “diritti umani”, spesso usato dagli Stati Uniti per minacciare altri Stati e tutelare i propri interessi. La recrudescenza degli attacchi dei fascisti brahminici indù contro le minoranze religiose, comprese le conversioni forzate, cui si è assistito negli mesi dopo la salita al potere Modi ha dato agli UDSA molte opportunità per farlo. I commenti di Obama erano un’arrogante ingerenza negli affari interni dell'India e contro si sarebbe dovuto protestare. Se fosse stato al governo il Congresso o qualche altro partito l’intero branco dei Sangh Parivaristi sarebbe ipocritamente chiesto il suo sangue. Ma non si è visto nulla del genere. Anzi, il loro organo ufficiale, “the Organizer”, ha fornito un esempio classico della logica compradora servile del Sangh Parivar: “la comprensione degli USA dell’ethos religioso dell'India non è certamente in linea con il modo in cui noi, in quanto indiani, pensiamo la società multireligiosa, ma il loro modo di pensare sarà un punto di riferimento per coloro che stanno cercando di investire in India con un’ottica di lungo termine”. Il messaggio era chiaro: nella cosiddetta nazione indù che si sforzano di instaurare , tutti “Rashtravadis” (nazionalisti) dovrebbero imparare meglio ad assecondare “il modo pensare di coloro che stanno cercando di investire”, altrimenti i dollari non arriveranno. Molto prima che uscisse questo articolo, i vertici del BJP era già seguito queste istruzioni, usando ogni occasione per dichiarare il loro appoggio alla laicità. Ma non tutti sono stati d'accordo.
Altri dirigenti della Sangh Parivar hanno preso posizione contro i commenti di Obama, anche se non così veementi come sarebbero stati se non fossero stati al potere. Questa contraddizione è anche utilizzato nelle liti interne al Sangh Parivar e tra le varie sezioni del più ampio campo fascista brahminico indù. Brahmanesimo si piega a ogni bassezza pur di accattivarsi i favori di quelli che vede come superiori. È capace di voltafaccia opportunisti e si tende al massimo per contenere queste contraddizioni. Tuttavia, alcuni di questi esercizi potrebbero rivelarsi un gioco che indigna qualcuno.
Un altro fattore da considerare è quello dei rapporti Cina-USA e le sue oscillazioni. Per entrare in argomento dobbiamo prima esaminare i BRICS, in cui India e Cina sono partner. Questi paesi, insieme con il Brasile e il Sud Africa, fanno ancora parte del terzo mondo. Eppure, hanno economie considerevolmente grandi e relativamente diversificate che li collocano molto più avanti di altre nazioni oppresse. Il BRICS esprime la confluenza l’interesse comune di questi paesi a negoziare con le potenze imperialiste, in particolare l'imperialismo americano, e quello dell’imperialismo russo a dare impulso alla sua capacità di competere con gli altri imperialisti. Dopo il crollo del social-imperialismo sovietico, gli USA sono rimasti l'unica superpotenza.
Hanno cercato di approfittare di questa situazione per imporre quello che è stato definito un “mondo unipolare”. Ciò è stato particolarmente evidente nelle sue azioni dopo gli attentati del World Trade Centre, la “guerra al terrorismo”. Invece che costruire una coalizione sotto la sua direzione, come era prassi precedente, hanno preparato e dichiarato da soli la guerra in Iraq. Con arroganza dichiararono che non avrebbero aspettato nessuno, neanche i loro alleati. Il dominio quasi totale degli Stati Uniti ha costretto le altre potenze imperialiste ad accodarsi, nonostante le differenze e preoccupazioni per essere stati scavalcati nel prendere quelle decisioni. Queste azioni USA hanno mostrato l'ONU come un organismo inefficace. Anche questo è stato motivo di preoccupazione per quelle potenze e governi reazionari che spesso vi avevano trovato uno strumento utile. Perciò, tanto le altre potenze imperialiste quanto i principali paesi del terzo mondo, come Cina e India, si sono opposti ai disegni “unipolari” statunitensi.
Gli stessi sviluppi mondiali hanno dato loro la possibilità comprenderlo. Comunque la pensassero gli americani, il mondo era di fatto sempre “ multipolare”, dato che la contesa tra i paesi imperialisti e le contraddizione tra i popoli oppressi e l'imperialismo sono una caratteristica permanente di questo sistema. La realtà multipolare del sistema imperialista fu presto e con forza resa evidente dalla forte resistenza armata che gli USA hanno dovuto affrontare in Iraq e Afghanistan. L’invischiamento in queste guerre di aggressione iniziò ad indebolire gli Stati Uniti.
Altre potenze imperialiste, in particolare la Russia, approfittarono di questa situazione per recuperare posizioni e spingere indietro gli Stati Uniti. Nacquero diverse nuove organizzazioni internazionali, espressione della nuova situazione.
Tra queste vi sono raggruppamenti strategici, come l'Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO). La situazione di stallo nel WTO apriva ulteriori spazi, portando alla formazione di organizzazioni di scambi come l'Asia Pacific Economic Cooperation (APEC). Costretti a recedere dall’aggressività unilaterale, anche gli Stati Uniti hanno partecipato a questa attività di costruzione di nuove istituzioni multilaterali. Il BRICS va collocato in questo contesto mondiale. Ovviamente, ha la sua propria particolarità.
Per le classi dominanti indiane, il BRICS serve a mantenere e creare un maggiore spazio di manovra e trarre vantaggio il più possibile dalle contese interimperialiste. In questo senso è simile al NAM. Il NAM era espressione della nascita e l'evoluzione delle relazioni internazionali a seguito della rottura del vecchio ordine coloniale nel periodo post seconda guerra mondiale e della sua sostituzione con legami neocoloniali con le nazioni oppresse. Sotto la globalizzazione imperialista, questi legami, e il sistema internazionale degli stati, si sono ulteriormente evoluti, aprendo lo spazio per un’istituzione come i il BRICS.
Da un lato è preponderantemente terzo mondo, essendo la Russia l'eccezione. Dall'altro, le loro priorità da terzo mondo sono nettamente diverse da quelle degli altri paesi oppressi. Ad esempio, in forum come il WTO, i BRICS hanno dimostrato che sono pienamente disponibili a sottoscrivere nocive politiche imperialiste dove fa comodo anche a loro per sfruttare altri paesi del terzo mondo.
Il BRICS non è dunque semplicemente la materializzazione casuale di un acronimo coniato da qualcuno. È un prodotto delle relazioni internazionali contemporanee. Tutti i suoi partecipanti del terzo mondo hanno un interesse comune a garantire la posizione che hanno raggiunto ed espandere lo spazio che hanno guadagnato. Ma, tra questi, la Cina gioca in un campionato diverso.
Ha una posizione decisiva, determinante, se non altro per il suo peso economico. Nel mondo attuale, senza la Cina, una tale istituzione non potrebbe esistere.
Per le classi dominanti indiane, questo è qualcosa di sgradevole, ma anche inevitabile. Il BRICS diventa così un altro luogo di contesa con la Cina. Qui Modi e i suoi pensano di poter giocare una partita intelligente – usare il legame con gli USA per contenere la Cina e usare il BRICS per ottenere gli UDA offerte migliori. Perciò il ministro degli esteri Bushman Swart è volato a Pechino, appena conclusa la visita di Obama. Le classi dominanti indiane sono abili in questo gioco. Lo hanno giocato con qualche buon risultato durante il periodo della contesa tra i blocchi USA e URSS di allora. Ma quali sono le loro prospettive nel mondo attuale? Per anni i governi americani hanno promesso di fare tutto il possibile per vedere l'India nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Riconoscono regolarmente l’india come un attore importante a livello mondiale. Questo alletta l’espansionismo indiano. L'appartenenza al gruppo G8 esteso, il G20, è stata celebrata dalle classi dirigenti indiane come un riconoscimento del loro “arrivo”. C'è del vero in questo. Però, come abbiamo appena visto, anche se l'India è in una posizione diversa rispetto alla maggior parte degli altri paesi del terzo mondo, è minimamente vicino la Cina, né economicamente né militarmente. Questo dà a quel paese un peso politico ben al di sopra dello stato indiano. Lo colloca in una categoria superiore a quella dell’India nelle relazioni estere USA. Gli Stati Uniti ci tengono a rafforzare l'espansionismo indiano proprio perché gli serve per tenere in scacco la Cina. Per gli Stati Uniti, ciò che è principale determinante in Asia-Pacifico sono le sue relazioni con la Cina, non con l'India. Dunque, i termini delle loro relazioni con l'India sono determinati da questa preoccupazione generale. In effetti, ciò significa che lo stato indiano è secondario nell'ordine delle priorità USA. Evidentemente ciò offende i governi indiani nella loro visione esagerata di essere “arrivati” nelle relazioni mondiali. Ma non c'è nulla che possano fare al riguardo. Anche se l'India ha un grande valore strategico geopolitico per l'imperialismo USA, non è dello stesso peso di quello che ha avuto in passato per il social-imperialismo sovietico. Allora l'India era un elemento decisivo per il social- imperialismo nella contesa con il blocco americano e nelle minacce verso la Cina socialista. Oggi l'India è solo un elemento complementare, strategico ma non fattore decisivo, nei piani dei giochi degli americani nell’Asia-Pacifico, dove ha diversi e sperimentato alleati e lacchè.
Che cosa comporta questo per la politica estera di Modi? Il governo Modi ha fatto di tutto per soddisfare le richieste politiche, militari ed economiche USA, aspettandosi il riconoscimento dello status di potenza mondiale, con un pieno sostegno agli interessi espansionistici indiani, in particolare in Sud Asia e a spese del Pakistan. Tanto la sua politica interna quanto quella estera servono a questo scopo. Dagli USA Ci si può aspettare qualche gesto, ma molto meno di quanto sogna. soprattutto, invece che dare maggiore spazio di manovra alle classi dominanti indiane, queste si vincolano a sempre più strette relazioni di dipendenza dagli USA. E questo ha conseguenze terribili per il paese. Già la povertà delle masse viene usata per spingere i nostri giovani a spezzarsi la schiena negli accampamenti delle truppe di occupazione USA in Iraq e Afghanistan nella costruzione delle loro fortificazioni. Questo oscuro servigio reso alle operazioni militari Usa diventerà presto partecipazione aperta, facendo del nostro popolo carne da cannone per l'aggressione imperialista. L’anno scorso, prima di partire per andare a incontrare Obama, Modi aveva modificato norme di concessione dei brevetti a misura delle multinazionali farmaceutiche americane. Oggi si è piegato alle pretese dei costruttori di impianti nucleari, sollevandoli da ogni responsabilità in caso di inUna campagna internazionale per la sua liberazione dal 1 al 28 luglio

Chi è Ajith 
dalla dichiarazione del Comitato Internazionale di Sostegno  alla guerra Popolare in India - Afghanistan

..Il crimine del compagno Ajith è di aver dedicato più di quarant’anni della sua vita alla lotta implacabile contro un sistema brutale e reazionario che sfrutta, opprime, piega e succhia il sangue di centinaia di milioni di dannati in terra ...

..Il crimine del compagno Ajith è di aver pensato, immaginato e lottato per un mondo migliore, in cui tutte queste atrocità diventino solo un ricordo. Ma per lo Stato reazionario indiano, che spudoratamente si spaccia per “la più grande democrazia nel mondo”, questo è un reato ...
Il compagno Ajith è un ideologo del PCI (Maoista), che dirige una guerra popolare rivoluzionaria per demolire il sistema di oppressione e di sfruttamento semifeudale, capitalista e imperialista e per instaurare la nuova democrazia e il socialismo. Il compagno ha dedicato più di quarant’anni della sua vita a questa causa.cidente in qualsiasi centrale elettrica costruita con la loro tecnologia. Via via che le gemme velenose delle politiche di Modi fioriscono, c’è da aspettarsi sempre nuove mosse servili di questo tipo.

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