lunedì 20 ottobre 2014

pc 20 ottobre - La giovane classe operaia cinese si prepara a fare i conti con i propri padroni


Cina – Niente è più come prima per gli operai nati negli anni ’90
in Internazionale /
http://appunticinesi.comunita.unita.it/files/2012/05/lavoratori-468x254.jpgNanfeng Chuang, Cina, traduzione a cura di Internazionale

La generazione di operai cinesi nati negli anni novanta non accetta di lavorare come i genitori. È insoddisfatta e protesta per ottenere condizioni di lavoro migliori

La Tangxia Lide è una fabbrica che produce componenti elettronici a Dongguang da ventun anni. Solo oggi ha preso una decisione rivoluzionaria: gli operai possono lavorare seduti. Finora decine di migliaia di lavoratori avevano sempre lavorato in piedi. Il merito è della generazione degli operai nati negli anni novanta, che hanno scioperato per far cambiare la regola. “Lavorando in quel modo ti si gonfiavano i piedi, ma chi lo vuole fare”, racconta A Lei, uno degli operai che hanno scioperato. “Se in un’azienda non ci sono condizioni di lavoro umane può succedere qualcosa di serio”, aggiunge.

Gli operai nati negli anni novanta sono cresciuti di numero e, gradualmente, sono diventati la componente principale della forza lavoro cinese. Così le aziende e il governo non possono rifiutare di introdurre regole che vadano incontro alle loro caratteristiche ed esigenze. In passato in Cina dominava la figura del “lavoratore migrante” (i contadini arrivati in città in cerca di lavoro), ma questa categoria è sparita. Oggi ci sono i figli dei contadini, che però non sanno cosa significhi coltivare un campo. I genitori hanno pagato la retta scolastica e l’alloggio nel dormitorio della scuola fino a quando i figli non sono riusciti più ad andare avanti con gli esami, sono stati bocciati e si sono ritrovati nei padiglioni di una fabbrica in una città sconosciuta.

Un pomeriggio di agosto siamo andati a Tangxia, vicino a Dongguang. Qui A Lei ha affittato un monolocale di circa trenta metri quadrati in un condominio accanto al mercato di Shitanpu. Quando lo incontriamo è seduto a torso nudo sul bordo del letto in compagnia di alcuni ragazzi del suo paese. Bevono birra e fumano sigarette. Si sente il rumore dei due ventilatori che sparano aria sulle loro pance gonfie. Per terra sono sparse molte bottiglie, alcune generosa- mente decorate con i mozziconi e la cenere delle sigarette.

Aprire un negozio on line

Questi ragazzi hanno in media 24 anni e arrivano tutti da un piccolo paese di montagna nella prefettura di Baise, nella regione autonoma del Guangxi. Ci raccontano del ruscello davanti a casa che attraversa il villaggio scorrendo calmo per quasi tutto l’anno. Ma questo è l’unico ricordo che hanno. Per il resto non sanno molto del loro villaggio, perché questi ragazzi si sono trasferiti nella città più vicina quando erano ancora piccoli per frequentare la scuola elementare. Si ritrovano a parlare del loro paese solo attraverso le notizie postate sul social network QQ, districandosi tra le varie identità online dei loro compaesani. Gli argomenti, però, non vanno oltre il divorzio di qualche conoscente.
A Lei paga 250 yuan (32 euro) al mese per un monolocale. La prima cosa che ha fatto dopo essere entrato in questa casa è stato attivare una connessione a internet e accendere il computer. Per la connessione spende 60 yuan al mese. Quando finisce di lavorare, torna a casa, si sdraia sul letto e comincia a giocare con il telefonino. Ma forse si potrebbe dire che è il cellulare a prendersi gioco di lui. Poco tempo fa su internet ha rimorchiato una ragazza che si è fatta fare una ricarica da 300 yuan sul cellulare e poi è sparita. I ragazzi come A Lei e i suoi amici sono stufi dei giorni in catena di montaggio, vogliono fare qualcosa di completamente diverso: vogliono aprire un ne gozio online.

Appena usciti dal rigido controllo del sistema scolastico, questi ragazzi desideravano fortemente essere delle persone libere. Ma la realtà gli ha tolto subito l’entusiasmo che si prova quando si va via di casa per la prima volta. Sono caduti dalla padella nella brace. In fabbrica, oltre al normale orario di lavoro, fanno sempre tre o quattro ore di straordinario al giorno, e nel periodo di fine produzione lavorano anche fino alle due di notte. A Lei ci racconta come si lavora alla Tangxia Lide: “Ogni giorno, prima delle otto del mattino, appena arrivati in fabbrica dobbiamo ripetere ad alta voce ‘i cinque no e i cinque sì’: quello che è ammesso fare, per esempio memorizzare le procedure standard, e quello che non è ammesso fare, cioè dormire. Poi dobbiamo ascoltare il caposquadra e rispondere alle sue domande”. I problemi di A Lei sono gli stessi di altri giovani operai che lavorano in fabbriche diverse. “Durante le ore di lavoro è vietato parlare e usare il cellulare. Biso- gna lavorare sempre in posizione eretta, altrimenti il caposquadra sbraita così forte che lo si sente in tutto il padiglione”.

In molte fabbriche la tensione con i capisquadra è alta proprio perché i dipendenti non si sentono rispettati. Il conflitto provoca dimissioni, multe e trasferimenti. Quando decidono di lasciare il posto, poi, gli operai restano invischiati in uno scaricabarile tra il caposquadra, che sostiene di aver bisogno dell’approvazione del direttore per lasciarli andare, e il direttore, che a sua volta dice di dover ottenere il consenso del caposquadra. Ma mentre le generazioni dei lavoratori nati negli anni sessanta e settanta subivano in silenzio, i nuovi operai reagiscono diversamente. Le ragazze cercano di convincere i capisquadra, chieden- dogli pazientemente di risolvere il problema, ronzandogli intorno ogni giorno. I ragazzi cercano di intimidirlo chiamando gli amici o la gente del loro paese e aspettandoli fuori dalla fabbrica. Sono pochissimi quelli che si rivolgono all’ufficio per la tutela del lavoratore, all’interno delle fabbriche, perché non si fidano. Dato che è complicato rassegnare le dimissioni, per i giovani operai è diventata ormai una consuetudine normale comportarsi in questo modo.

Un grande favore

Oggi le fabbriche devono affrontare diversi problemi di organizzazione interna, perché gran parte delle norme seguite finora non sono più efficaci. In passato, quando un operaio violava le regole, la direzione sfoderava un deterrente molto potente: gli vietava gli straordinari, cosa che pesava non poco sul salario. Con la nuova generazione, invece, lo stesso procedimento è diventato il più grande favore che si possa fare agli operai. I loro padri hanno accettato vent’anni di duro lavoro e sacrifici per costruirsi una casa e assicurare una buona base economica a se stessi e alla loro famiglia. I nuovi operai, invece, nascondono un disagio e un’insoddisfazione che finora non sono riusciti a risolvere. Eppure, osservando il loro modo di vestire o di comunicare si potrebbe concludere che non hanno niente di diverso dagli impiegati dei grandi uffici e che in Cina siano scomparse le differenze sociali. Siamo stati a Shenzhen, a Guangzhou, a Huizhou e infine a Dongguang. Abbiamo incontrato ragazzi simili ad A Lei e ci siamo resi conto che il disagio in fabbrica è vissuto in modo più intenso dai maschi nati negli anni novanta. Le ragazze continuano in gran parte a essere soddisfatte, a prescindere dalle condizioni salariali e sociali. Si accontentano dell’aumento degli stipendi registrato negli ultimi anni: nel 2009 un operaio del settore elettrico guadagnava duemila yuan al me se (257 euro), mentre oggi può arrivare a 3.500.

Come le ragazze, anche gli operai con più anni d’esperienza hanno ancora abba- stanza fiducia nelle fabbriche. Anzi, l’appagamento li spinge anche alla partecipazione politica. Alcuni dei più anziani hanno cominciato a interessarsi al sistema politico cinese e alle sue vicissitudini. Si informano sulla lotta alla corruzione e ritengono che bisogna “eliminare molte tigri” (i grandi corruttori), anche se la loro formazione culturale non è sufficiente per comprendere certe logiche del potere. Grazie alle misure contro la corruzione, sembra che la classe dirigente si sia già assicurata un ampio consenso sociale sulle questioni di politica interna.

http://www.inventati.org/cortocircuito/wp-content/uploads/2014/10/101573730_10-770x512.jpgI ragazzi nati negli anni novanta, invece, non sono soddisfatti. Provano una sensazione che non riescono a esprimere. Molti avvertono che “niente è più come prima”, diffidano dello status quo e non sopportano le scorrettezze commesse dai politici ai danni della società civile. Certamente ritrovarsi chiusi nella morsa delle grandi città riduce la curiosità verso la politica. In campagna i nuovi operai possono avere una vita relativamente comoda, ma il processo di urbanizzazione delle città mediopiccole gli ha fatto toccare con mano i problemi causati dall’arrivo del consumismo, generando in loro nuove richieste e desideri. Molti ormai hanno lasciato la campagna e hanno comprato casa nella città più vicina al paese d’origine o in una grande città. I ragazzi di questa nuova generazione sono costretti a partecipare in modo aggressivo alla competizione urbana per non essere etichettati come “quelli rimasti in campagna” o diventare degli outsider che vivono nell’estrema periferia, dimenticati da tutti e senza la speranza di costruire una famiglia. Incontrandoli ci siamo resi conto che desiderano una vita dignitosa e vogliono preservarla il più a lungo possibile. Per questo hanno bisogno di un buon livello di reddito, garantito dal lavoro fisso in città. Le difficoltà emergono soprattutto per i lavoratori delle grandi aziende che non hanno un posto fisso. Al centro c’è la contraddizione insolubile tra le speranze dei nuovi operai, le deboli possibilità di realizzarle e l’incapacità di mettersi in gioco.

L’ansia e la profonda inquietudine generate da tutto questo ricadono sul principale luogo di aggregazione, cioè sulla fabbrica. Il disagio potrebbe estendersi alla società intera quando le nuove generazioni riusciranno a inserirsi in altri spazi. Alcuni segnali confermano che il processo è già in corso. Gli operai più giovani hanno un complesso d’inferiorità e pensano di essere disprezzati dalle classi più ricche e dai colletti bianchi. A causa del lungo orario di lavoro la fabbrica è l’unico ambiente che frequentano. Non hanno nessun canale per entrare in contatto con persone della classe media, per non parlare di quelle delle classi ricche. La soluzione più facile è chiudersi in se stessi. Anche perché, se provano a confrontarsi con persone di altre classi sociali, spesso sono accusati di servilismo dai loro amici. Se telefonano a qualcuno con una posizione sociale più alta e questa persona non risponde (magari solo perché non ha sentito lo squillo), pensano che l’abbia fatto perché non vuole avere niente a che fare con loro. Se questa sensibilità dovesse esplodere, sarebbe distruttiva. “Se ci fossero delle ribellioni in fabbrica, i primi a farne le spese sarebbero i capisquadra”, dice un ragazzo che si lamenta di essere stato umiliato dal suo superiore mentre era esausto a fine turno.

Quando ricevono un rimprovero, di solito i giovani operai fanno finta di niente. Ma poi, senza farsi vedere dal caposquadra, distruggono qualcosa all’interno dello stabilimento. Se l’ordine sociale dovesse essere scardinato, questi ragazzi potrebbero diventare delle schegge impazzite. A farne le spese, però, sarebbero prima di tutto i loro capisquadra, cioè persone che dal punto di vista sociale non sono molto distanti da loro.

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