L'intervista ha toccato vari temi: uccisione compagne turche, intervento imperialista in Mali, sulla
scarcerazione di George Ibraim Abdallah, e sulla lotta alla Peugeot
Quale risposta c'è
stata in Francia dopo l'uccisione delle tre compagne turche?
Questo è un assassinio di
Stato, lo Stato turco è il responsabile.
La reazione è stata
immediata. Già la mattina di giovedì, appena appresa la notizia,
tra 600 e 1000 persone si sono concentrate davanti all'edificio dove
erano state trovate morte le compagne.
Un corteo improvvisato ha
raggiunto dal centro culturale curdo. “Stato turco Turco
assassino”, si gridava, tanti fiori e compagni che salutavano col
segno della vittoria.
Poi il sabato una grande
manifestazione di 50.000, in cui si sono riuniti rappresentanti delle
resistenze nazionali Tamil, Paese basco, Corsica, Armenia, le
organizzazioni rivoluzionarie turche, MLKP, TKP/ML, MKP.
Relativamente piccole le delegazioni di organizzazioni francesi, tra
queste il nostro Partito con lo striscione “Abbasso lo stato
fascista in Turchia”.
Molti venivano da altri
paesi europei, dove ci sono tanti immigrati e militanti di
organizzazioni democratiche curde. Altre manifestazioni ci sono state
a Lyone.
Che tipo di lavoro
facevano le compagne assassinate?
Una era tra le fondatrici
del PKK, erano molto note dentro la comunità curda e anche al di
fuori di essa. Erano impegnate nel lavoro di un'associazione
democratica e stavano per tornare in Belgio, il giorno dopo, dove
risiedevano abitualmente.
Tutto indica che è stata
opera di killer professionisti: l'ufficio dove sono state uccise non
era clandestino, ma neanche tanto noto; le compagne sono state
freddate con un colpo alla nuca, sparato da una pistola con
silenziatore e finora le indagini non hanno avuto nessun risultato.
Da parte sua, lo Stato
francese ha espresso condanna formale per l'assassinio, il parlamento
lo ha denunciato all'unanimità, ma si tratta di ipocrisia, niente di
ciò cambierà le ottime relazioni di amicizia tra lo Stato francese
e il regime fascista turco.
Ancora sulla
mobilitazione, c’è un seguito? Un comitato ecc.?
A Parigi, si sta pensando
di dare continuità alla mobilitazione con una giornata dedicata alla
resistenza del popolo curdo durante la tradizionale settimana
anti-colonialista che si tiene ogni anno alla fine di febbraio. È
sempre stata un'occasione di scambio di opinioni e informazione sulle
lotte dei popoli dipendenti e anche di quelli senza Stato. Anche noi
ci partecipiamo, quest'anno vi porteremo il sostegno alla guerra
popolare in India e la denuncia del ruolo della Francia imperialista.
Il vostro partito oltre
a partecipare alle prime manifestazioni ha fatto altre azioni?
Propaganda nelle
fabbriche, sono in programma altre iniziative.
Dove si tiene la
settimana anticolonialista?
In un palazzo del PCF con
discussioni, attività culturali. Ci sarà Attac, Popoli senza Stato,
il movimento 20/02 di Tunisia, i Baschi, associazioni ambientaliste.
Ci sarà anche una sessione sulle ultime colonie francesi come
Guadalupa e Martinica. Noi saremo presenti con un banchetto con
nostro materiale. Andremo lì per prendere nuovi contatti e proporre
una riunione sulla Guerra Popolare in India ad alcune organizzazioni
ambientaliste che hanno un loro punto di vista di tipo democratico
sulla questione.
Adesso parliamo
dell’intervento imperialista i Mali.
Sulla questione del Mali,
è ben nota la nostra posizione: è un'aggressione imperialista da
parte dell'imperialismo francese.
Il motivo vero
dell'intervento è la strategia di presenza nel continente da parte
dell'imperialismo francese, il controllo sulle fonti di uranio, di
cui il Mali è ricco, la competizione con Cina e India che di recente
stanno aumentando la loro presenza economia e strategica nel
continente con l'acquisto di grandi estensioni di campi.
Un intervento che rimanda
allo storico ruolo della Francia, ex-possessore coloniale della
regione, che da sempre vi svolge un ruolo di gendarme a protezione
dei regimi locali, chiunque ne minacci la stabilità.
Quello del terrorismo
islamico è chiaramente un pretesto. La stessa Francia ha appoggia le
forze islamiche in Siria, ma interviene militarmente contro di esse
in Mali.
Che reazioni ci sono
state da parte delle forze politiche?
Stiamo realizzando un
dossier in cui abbiamo raccolto tutte le reazione di tutti i partiti
e organizzazioni politiche. Oltre allo scontato sostegno da parte
della destra e del PS, da notare la posizione del “fronte della
sinistra” che si è opposta all'intervento ma solo per la procedura
perché non è stata autorizzata dal parlamento e perciò sarebbe
“antidemocratica”.
La sinistra rivoluzionaria
si oppone, ma nel maggior parte dei casi manca una chiara analisi e
denuncia delle ragioni dell'aggressione.
I giovani comunisti
marxisti-leninisti che si sono separati dalla loro organizzazione e
che sono venuti alla Conferenza Internazionale di Amburgo a sostegno
della Guerra Popolare in India hanno la nostra stessa posizione.
La macchina della
propaganda si è messa in moto, in particolare in occasione del primo
morto dell'operazione, sacralizzato come “morto per la Francia”.
A livello di massa abbiamo
realizzato un volantinaggio all'università di St Demi, dove abbiamo
trovato reazioni anche sorprendenti, molti ripetono le fandonie della
propaganda, ma c'era comunque molto interesse e, se si discute e si
spiega come stanno le cose, spesso scopriamo che non è difficile
convincere che abbiamo ragione.
Comunque, al momento
l'opposizione all'intervento non ha ancora espresso abbastanza forza
da organizzare manifestazioni di massa.
Nei quartieri popolari, a
Montreil in particolare, dove si concentrano comunità maliane e dove
ci sono anche esperienze di occupazioni collettive di case, in
passato abbiamo avuto rapporti con loro, ci prepariamo a tornare a
intervenire tra loro contro l'intervento. Ancora non ci sono state
manifestazioni di massa a Parigi.
Informaci sulla
situazione della scarcerazione di George Ibraim Abdallah, comunista
rivoluzionario libanese
Abdallah era prigioniero
politico dal 1984 a oggi, una detenzione più lunga di quella di
Nelson Mandela. Per anni i giudici si sono sempre opposti alle
istanze di scarcerazione. Quando finalmente un giudice l'ha
accettata, il pubblico ministero è ricorso in appello, e dopo la
conferma della decisione di liberalo, condizionata al fatto che fosse
espulso dal territorio francese, il ministro dell'interno francese ha
rifiutato di firmare il decreto di espulsione per tenerlo ancora in
carcere. Questo nonostante il governo libanese avesse ufficialmente
dichiarato di essere pronto ad accoglierlo.
È evidente che dietro la
decisione del ministro francese ci sono le pressioni di USA e Israele
G.I. Abdallah è un
comunista rivoluzionario libanese, membro della Forza Rivoluzionaria
Armata del Libano, formazione combattente. È in carcere accusato
dell'uccisione di un diplomatico israeliano e dell'addetto militare
dell'ambasciata USA, ai tempi dell'invasione del Libano. Ma un
recente libro scritto da un ex agente dei servizi segreti francesi ha
rivelato quello che il vasto movimento di solidarietà con G.I.
Abdallah sapeva da sempre. Quelle accuse erano false: era solo il
soggetto politicamente ideale da condannare: comunista,
anti-sionista, solidale con la causa del popolo palestinese. Se in
queste anni non avesse mantenuto la sua posizione politica
rivoluzionaria e se l'avesse pubblicamente ripudiata di certo
sarebbe libero.
Per questo da colpevole
ideale per i sionisti e gli imperialisti USA, in questi ani G. I.
Abdallah è stato un simbolo di tutto il movimento di solidarietà
coi prigionieri politici in Francia e non solo. Che non hanno smesso
di chiederne la liberazione.
In tante città di tutto
il paese, e anche del Belgio, in questi giorni ci sono state
manifestazioni di protesta di fronte alle carceri e agli uffici del
ministero degli Interni. Vi hanno partecipato militanti di ogni
tendenza.
Pensiamo che, come per
tanto tempo è G.I Abdallah è stato capace di resistere, anche il
movimento per liberarlo si prepara a continuare la lotta fino alla
sua liberazione. A queste mobilitazioni hanno partecipato
principalmente francesi, pochi arabi, anche operai che ricordano
Action Direct.
La questione è che non ha
mai abbandonato i suoi ideali, non si è arreso ed è per questo che
non vogliono liberarlo.
Quali saranno le
prossime attività del comitato?
Vi sono pressioni al
ministero dell’interno, se non lo libereranno entro il 28/01 data
in cui il ministro dell’interno può firmare la scarcerazione; poi
il comitato deciderà cosa fare in base alla situazione.
Andiamo alla situazione
di lotta alla Peugeot.
In questo momento è in
corso l’occupazione delle fabbriche, ci sono stati alcuni episodi
in cui di mattina presto gli operai sono andati sotto casa del
padrone svegliandolo facendo pressioni per le trattative. Ci sono 200
lavoratori che occupano comprese le fabbriche dell’indotto.
Che appartenenza
sindacale hanno gli operai?
Principalmente sono della
Cgt, a sud sono più combattivi. Un mese fa alcuni lavoratori non
organizzati in sindacati hanno bloccato un reparto. C’è anche un
sindacato che è parte della lotta, storicamente fascista, ma mette
molta enfasi sulla negoziazione, non per salvare il lavoro attuale ma
per avere ipotetiche garanzie per un futuro lavoro una volta che la
fabbrica chiuderà definitivamente. C’è stato il festival
dell’automobile a Parigi e sono andati operai da 20 fabbriche con
l’obiettivo di disturbarne lo svolgimento con lo slogan “questa è
casa nostra”. Il governo ha mandato molti sbirri e ci sono stati
scontri a cui hanno partecipato molti lavoratori che spingevano per
entrare, lanciando slogan quali “contro il governo
socialdemocratico, tutti fascisti”.
Nella fabbrica la Cgt ha
una leadership troskista (loutte ouvriere). C’è un comitato di
lotta ma diretto da sindacati, poi ci sono singoli comitati di lotta
nei singoli reparti. C’è una pressione dalla base per azioni più
radicali come la devastazione di uffici della direzione o
l’occupazione della fabbrica. È stata grazie a questa pressione
che è avvenuta l’occupazione e hanno bloccato la produzione.
Qual è la composizione
etnica, sessuale e di età degli operai?
In gran parte francesi
(anche figli di immigrati di varie generazioni) poi ci sono cinesi,
tamil, africani. Età media 40 anni. Principalmente uomini ma anche
donne. molti vengono dalle banlieues e considerano illusoria la
riqualificazione dopo tanti anni di lavoro in fabbrica e sono
diffidenti verso le agenzie interinali.
Alla Renault ci sono stati
7500 licenziamenti e adesso questi guardano alla lotta della Peugeot
che sono 11000.
Come intervenite?
Andiamo in fabbrica e
distribuiamo volantini, portiamo striscioni, e partecipiamo alle
manifestazioni di solidarietà e lotta.
Quali parole d’ordine
adottate?
“Contro i licenziamenti
occupate la fabbrica, organizzate comitati di lotta senza sindacati
ufficiali ma tra lavoratori, fare un fronte operaio rivoluzionario,
alza la testa e prendi in mano i tuoi interessi”
Qual è la prospettiva
della lotta?
Estendere la lotta in
altre fabbriche anche di altri gruppi con simili problemi. Alla
prossima manifestazione altre fabbriche si uniranno perchè hanno gli
stessi problemi.
Come venite accolti
quando andate con le vostre bandiere e parole d’ordine?
Ci vedono come
rivoluzionari e ci dicono con piacere “siete anche voi qui!”.
Attualmente non sono pronti per uscire dai sindacati ma quando
parliamo loro della nostra proposta di comitati accolgono la proposta
anche se attualmente è difficile organizzarli. I più combattivi ci
invitano quando ci sono iniziative in fabbrica.
C’è differenza nel
modo di partecipare alla lotta tra operai vecchi che si presuppone
abbiano più esperienza e quelli giovani che dovrebbero essere più
combattivi?
No, non c’è una grossa
differenza.
Sono fabbriche
tradizionalmente di sinistra con presenza di Pcf o Cgt?
Negli anni hanno sempre
condotto lotte per difendere i propri diritti. Si trova in una
banlieue. Spesso intercettiamo gli operai al parcheggio o alla
fermata dell’autobus. Tutto questo perchè ci sono controlli da
parte dei vigilantes.
Qual è il ruolo dello
Stato, degli sbirri?
A parte l’episodio della
fiera dell’auto non c’è stato un diretto intervento militare,
dopo certi atti di protesta radicali cercano di risalire in un
secondo momento agli operi protagonisti tramite video. Almeno per il
momento lo Stato si limita a questo, c’è repressione all’interno
da parte del padrone.
Anche i sindacalisti
ufficiali collaborano alla repressione? In Italia spesso ciò
avviene.
No, al massimo la Cgt ha
provato ad opporsi all’occupazione ma poi è stata obbligata ad
accodarsi.
C’è qualche forma di
solidarietà esterna dalla banlieues o dalle famiglie?
Si, portano caffè e altri
beni di questo tipo. Spesso raccolgono anche dei soldi e sono in
molti che ne danno.
Qual è il ruolo dei
media?
Vanno a vedere e seguono
la vicenda, non hanno ancora criminalizzato. È una lotta molto
popolare in Francia che raccoglie grande solidarietà in generale.
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