Giovedì
scorso a Londra, il Rapporteur delle Nazioni Unite per i diritti
umani e il contro-terrorismo, Ben Emmerson, ha annunciato
ufficialmente l'avvio di un'inchiesta dell'Onu relativa all'impatto
sui civili dell'uso dei droni e degli «omicidi mirati». L'annuncio
è importante, perché segnala una vera svolta nell'atteggiamento
delle Nazioni Unite, come ha ricordato tra gli altri Spencer
Ackerman, uno dei maggiori specialisti di sicurezza nazionale
americana sul web-magazine Wired. Con l'inchiesta di Emmerson, l'Onu
decide infatti di prendere di petto la tattica centrale degli Stati
Uniti (e non solo) nella «guerra al terrorismo», verificando la
legalità e la stessa legittimità del ricorso agli omicidi mirati,
effettuati con i droni - gli aerei senza pilota comandati a distanza
- o con altri mezzi. Uno degli obiettivi dell'inchiesta, i cui esiti
saranno resi noti nell'autunno 2013, è stabilire l'identità dei
militanti colpiti e certificare la relazione tra omicidi mirati e
vittime civili, cercando «prove fattuali» sul numero dei
non-combattenti coinvolti. I dati sulle vittime civili, anche se
parziali, sono preoccupanti.
Prendiamo il caso degli Stati Uniti, tra i 51 paesi che, come ha sottolineato Emmerson per non apparire unilaterale, posseggono droni o la tecnologia necessaria a usarli (tra questi, oltre a Inghilterra, Francia, ci sono anche Russia, Cina, Israele, Pakistan): in questo caso la gestione del programma è affidata alla Cia, per evitare di rispondere alla Convenzione di Ginevra. L'opacità che ne deriva impedisce di ottenere dati ufficiali sul numero delle vittime civili. Finora, sono stati i media ad accoglierne le denunce e a monitorare la situazione: tra il 2004 e il 2013, gli attacchi con droni in Pakistan da parte della Cia hanno ucciso 3.461 persone, di cui almeno 891 civili (tra cui circa 140 bambini), secondo le ricerche condotte dal Bureau of Investigative Journalism, che su questi temi conduce un ottimo lavoro, insieme ai giornalisti investigativi di Wired online.
Oltre a quella delle vittime civili, c'è un'altra questione fondamentale e più generale, che rimanda a ciò che Emmerson ha definito «la sfida alla cornice del diritto internazionale». Si tratta in altri termini di dirimere una controversia che va avanti da anni sulla legalità degli omicidi mirati: con quale legittimità il governo degli Stati Uniti (come altri) rivendica l'autorità di decidere, in modo opaco e arbitrario, quali siano i suoi nemici, uccidendoli anche al di fuori dei propri confini e dei «campi di battaglia» riconosciuti dalla comunità internazionale? Le posizioni sono radicalmente alternative: tempo fa John Brennan, consigliere capo del presidente Obama per il contro-terrorismo, in un discorso alla Harvard Law School ha rivendicato la legittimità degli omicidi mirati: «Siccome siamo coinvolti in un conflitto armato con al-Qaeda - ha sostenuto Brennan - riteniamo di essere nella posizione legale, in accordo con il diritto internazionale, di godere dell'autorità per compiere azioni contro al-Qaeda e le forze ad essa affiliate» anche fuori dagli «hot battlefields». Per Hina Shamsi, responsabile dell'American Civil Liberties Union (citata in un articolo di Bruce Ackerman), esiste invece «un'abissale mancanza di trasparenza e accountability nel programma del governo americano sugli omicidi mirati». E lo stesso US Council on Foreign Relations ha raccomandato a Obama di «garantire le necessarie informazioni al pubblico, al Congresso e al Rapporteur dell'Onu - senza svelare informazioni sensibili - sulle procedure che esistono per evitare vittime civili». E a ben guardare l'inchiesta di Emmerson - sotto esame 25 casi tra Pakistan, Afghanistan, Yemen e Territori palestinesi (qui è l'esercito israeliano e gli omicidi mirati di esponenti di Hamas a essere criticato) - è un colpo duro soprattutto per il presidente Obama. È proprio il democratico Obama, premio Nobel per la pace, ad aver avallato l'intensificazione della tattica degli omicidi mirati e dei droni nel corso del suo mandato. Di più: secondo un'inchiesta del 2012 dei giornalisti del Bureau of Investigative Journalism Chris Woods e Christina Lamb (Obama Terror Drones), dal suo primo insediamento alla Casa Bianca fino al febbraio 2012 le vittime civili degli omicidi mirati in Pakistan sarebbero tra le 282 e le 535 (inclusi più di 60 bambini). Mentre sarebbero almeno 50 i civili morti mentre prestavano soccorso alle vittime di un primo attacco mirato. E alcune decine gli individui deliberatamente uccisi durante funerali o preghiere funebri. Anche per questo nella conferenza stampa Emmerson ha voluto sottolineare che parte dell'inchiesta sarà dedicata agli attacchi double tap, quando coloro che prestano soccorso alle vittime di un primo attacco vengono colpiti nuovamente. Per le convenzionali internazionali, si tratta di un crimine di guerra. Per molti osservatori, una tattica simile a quella adottata dai terroristi più feroci in Afghanistan come altrove. Ed è proprio l'Afghanistan l'epicentro della guerra americana con i droni. Non lo Yemen, il Pakistan o la Somalia. Dalle statistiche della US Air Force, nel 2012 l'esercito Usa ha lanciato in Afghanistan 333 attacchi con droni. Più o meno lo stesso numero - ricorda Noah Shachtman, editor del blog sulla sicurezza nazionale di Wired - degli attacchi lanciati in territorio pachistano da quando la Cia ha inaugurato, otto anni fa, la strategia dei droni. La tendenza non farà che aumentare: la crescita di attacchi con droni è legata alla riduzione delle truppe sul terreno. In Afghanistan, la nuova strategia per il dopo 2014 - quando i soldati sul terreno verranno ritirati - è già cominciata.
Prendiamo il caso degli Stati Uniti, tra i 51 paesi che, come ha sottolineato Emmerson per non apparire unilaterale, posseggono droni o la tecnologia necessaria a usarli (tra questi, oltre a Inghilterra, Francia, ci sono anche Russia, Cina, Israele, Pakistan): in questo caso la gestione del programma è affidata alla Cia, per evitare di rispondere alla Convenzione di Ginevra. L'opacità che ne deriva impedisce di ottenere dati ufficiali sul numero delle vittime civili. Finora, sono stati i media ad accoglierne le denunce e a monitorare la situazione: tra il 2004 e il 2013, gli attacchi con droni in Pakistan da parte della Cia hanno ucciso 3.461 persone, di cui almeno 891 civili (tra cui circa 140 bambini), secondo le ricerche condotte dal Bureau of Investigative Journalism, che su questi temi conduce un ottimo lavoro, insieme ai giornalisti investigativi di Wired online.
Oltre a quella delle vittime civili, c'è un'altra questione fondamentale e più generale, che rimanda a ciò che Emmerson ha definito «la sfida alla cornice del diritto internazionale». Si tratta in altri termini di dirimere una controversia che va avanti da anni sulla legalità degli omicidi mirati: con quale legittimità il governo degli Stati Uniti (come altri) rivendica l'autorità di decidere, in modo opaco e arbitrario, quali siano i suoi nemici, uccidendoli anche al di fuori dei propri confini e dei «campi di battaglia» riconosciuti dalla comunità internazionale? Le posizioni sono radicalmente alternative: tempo fa John Brennan, consigliere capo del presidente Obama per il contro-terrorismo, in un discorso alla Harvard Law School ha rivendicato la legittimità degli omicidi mirati: «Siccome siamo coinvolti in un conflitto armato con al-Qaeda - ha sostenuto Brennan - riteniamo di essere nella posizione legale, in accordo con il diritto internazionale, di godere dell'autorità per compiere azioni contro al-Qaeda e le forze ad essa affiliate» anche fuori dagli «hot battlefields». Per Hina Shamsi, responsabile dell'American Civil Liberties Union (citata in un articolo di Bruce Ackerman), esiste invece «un'abissale mancanza di trasparenza e accountability nel programma del governo americano sugli omicidi mirati». E lo stesso US Council on Foreign Relations ha raccomandato a Obama di «garantire le necessarie informazioni al pubblico, al Congresso e al Rapporteur dell'Onu - senza svelare informazioni sensibili - sulle procedure che esistono per evitare vittime civili». E a ben guardare l'inchiesta di Emmerson - sotto esame 25 casi tra Pakistan, Afghanistan, Yemen e Territori palestinesi (qui è l'esercito israeliano e gli omicidi mirati di esponenti di Hamas a essere criticato) - è un colpo duro soprattutto per il presidente Obama. È proprio il democratico Obama, premio Nobel per la pace, ad aver avallato l'intensificazione della tattica degli omicidi mirati e dei droni nel corso del suo mandato. Di più: secondo un'inchiesta del 2012 dei giornalisti del Bureau of Investigative Journalism Chris Woods e Christina Lamb (Obama Terror Drones), dal suo primo insediamento alla Casa Bianca fino al febbraio 2012 le vittime civili degli omicidi mirati in Pakistan sarebbero tra le 282 e le 535 (inclusi più di 60 bambini). Mentre sarebbero almeno 50 i civili morti mentre prestavano soccorso alle vittime di un primo attacco mirato. E alcune decine gli individui deliberatamente uccisi durante funerali o preghiere funebri. Anche per questo nella conferenza stampa Emmerson ha voluto sottolineare che parte dell'inchiesta sarà dedicata agli attacchi double tap, quando coloro che prestano soccorso alle vittime di un primo attacco vengono colpiti nuovamente. Per le convenzionali internazionali, si tratta di un crimine di guerra. Per molti osservatori, una tattica simile a quella adottata dai terroristi più feroci in Afghanistan come altrove. Ed è proprio l'Afghanistan l'epicentro della guerra americana con i droni. Non lo Yemen, il Pakistan o la Somalia. Dalle statistiche della US Air Force, nel 2012 l'esercito Usa ha lanciato in Afghanistan 333 attacchi con droni. Più o meno lo stesso numero - ricorda Noah Shachtman, editor del blog sulla sicurezza nazionale di Wired - degli attacchi lanciati in territorio pachistano da quando la Cia ha inaugurato, otto anni fa, la strategia dei droni. La tendenza non farà che aumentare: la crescita di attacchi con droni è legata alla riduzione delle truppe sul terreno. In Afghanistan, la nuova strategia per il dopo 2014 - quando i soldati sul terreno verranno ritirati - è già cominciata.
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