venerdì 1 febbraio 2013

pc 1 febbraio - "...FU SOLO VIOLENZA SESSUALE..." - QUESTO STATO NON E' LA SOLUZIONE MA IL PROBLEMA

L'AQUILA. "Non fu tentato omicidio, ma solo violenza sessuale: condanna a 8 anni di carcere con le attenuanti generiche". È la sentenza del tribunale dell'Aquila a carico di Francesco Tuccia, l’ex militare campano giudicato responsabile delle stupro, nel piazzale della discoteca «Guernica» di Pizzoli, di una studentessa universitaria. Il pm aveva chiesto 14 anni e il tentato omicidio perché la giovane fu lasciata tramortita e sanguinante per le gravi lesioni subìte. "Otto anni non sono una inezia, ma rispetto la sentenza", commenta l’avvocato Enrico Maria Gallinaro, legale della ragazza.
La condanna. Oltre agli otto anni di carcere con le attenuanti generiche, il Tribunale ha condannato Tuccia anche alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e a quella dell’interdizione legale per la durata della pena principale inflitta. I giudici, inoltre, hanno condannato l’imputato al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Tuccia è stato condannato anche al pagamento di una provvisionale di 50mila euro in favore della parte civile (la studentessa universitaria di Tivoli) e altri 2mila in favore del Centro Antiviolenza per le Donne dell’Aquila.
Tuccia non ascolta la sentenza. Quando il collegio ha fatto ingresso in aula, Tuccia, che è agli arresti domiciliari, e la famiglia hanno subito abbandonato l’aula, uscendo da una porta laterale. Dopo la lettura nessun commento da parte dei legali dell’imputato.
La vittima: otto o dodici anni, la mia vita non cambia. "Davanti a questa sentenza la mia vita non cambia, nel senso che otto anni, dieci o dodici per me non sarebbero mai stati abbastanza". Così la giovane studentessa vittima dello stupro. "Mi aspettavo di avere una reazione personale interna diversa, e cioè provare un senso di liberazione visto che è tutto finito. Invece - ha proseguito la giovane - non ho provato questo sollievo, forse è troppo presto, forse bisogna aspettare, intanto continuo a vivere e a fare le cose avendo comunque una prospettiva e cercando di dimenticare giorno dopo giorno". La giovane laziale non ha voluto aggiungere altro, i genitori della ragazza, invece, si sono detti piuttosto delusi dall’epilogo del rito immediato: «Forse ci voleva una sentenza più severa», hanno spiegato. Il legale della giovane, l’avvocato Enrico Maria Gallinaro, ha invece sottolineato che «speriamo che la condanna sia confermata anche in Appello e poi in Cassazione, spiegando anche che comunque il rito immediato non dà diritto a una pena alternativa a quella del carcere».
La rabbia dei presenti nell'aula. La sentenza ha creato malumore in aula da parte delle donne appartenenti a gruppi di solidarietà femminili. Sempre dopo la lettura del dispositivo ci sono stati anche momenti di tensione con i giornalisti presenti alla lettura della sentenza. Per tutelare l’immagine della vittima presente in aula insieme allo stesso Tuccia, alcune donne del Centro antiviolenza dell’Aquila hanno alzato teli e giacche, fino a quando agenti della Procura non hanno invitato tutti a uscire. Dopo la sentenza anche fuori dall’aula ci sono stati dei momenti concitati con alcune persone che hanno gridato contro il condannato, mentre altri sono stati visti piangere.
Lo stupro davanti alla discoteca. La studentessa fu massacrata e abbandonata dietro un cumulo di neve in una notte, quella tra l’11 e il 12 febbraio dello scorso anno, in cui le temperature erano bassissime. A salvarla (intorno alle 4) era stato l’intervento dei «buttafuori» della discoteca, gli stessi che, dopo averle prestato i primi soccorsi e allertato il 118, avevano bloccato l’auto con la quale Tuccia, sui cui vestiti erano visibili delle macchie di sangue, stava andando via in compagnia di alcuni amici, due ragazzi e una ragazza risultati poi estranei alla violenza e al massacro.
L'arresto e il carcere. Tuccia, all’epoca militare all’Aquila, era stato arrestato il 22 febbraio e rinchiuso al carcere di Teramo, nella stessa cella in cui si trovava Salvatore Parolisi, il militare poi condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie Melania Rea. Tre mesi e mezzo dopo, il 22enne aveva ottenuto i domiciliari. Una decisione, questa, che aveva provocato pesanti polemiche.

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