dal reportage della Stampa
INVIATO A LAMPEDUSA
Passa la madonna di Porto Salvo e arrivano altri ragazzi dal mare, altre facce stravolte, altre bocche da sfamare. Ancora una volta succede tutto insieme, dentro una serata di luce stupenda, piena di preghiere da ogni parte dell’orizzonte. Alle sei l’isola è quasi svuotata. L’ultimo aereo militare, carico di immigrati tunisini, lascia la sua scia sulla processione per la santa patrona di Lampedusa.
L’intero paese cammina nella via centrale fra urla propiziatorie, inginocchiamenti e rosari stretti in pugno. Ci sono autorità, ufficiali in alta uniforme, tacchi alti, quattro preti in prima fila. E ci sono, fra gli altri, i quaranta lampedusani della rivolta di mercoledì mattina, quando con botte, sassi e bastoni hanno fatto capire come la pensano.
Uno di loro, con una grande catena d’oro che luccica sul torace, regge la statua della madonna. Si chiama Giacomo Sanguedolce, qui gestisce un ristorante famoso, e a tutti ripete le stesse parole. «Adesso sono avvisati - dice - a Lampedusa non faremo arrivare più nessuno. Andiamo a prenderli noi in mezzo al mare, con le nostre barche. Basta. Finito. Sbarriamo il porto. E quando succederà, voi giornalisti cercate di non esserci: è meglio». Lo ripete fra cenni di soddisfazione, sorrisi e pacche sulle spalle, mentre incomincia a circolare la notizia. Una piccola imbarcazione di legno è stata avvistata al largo. Sono altri migranti, ignari di tutto, ancora in balia di un mare incerto. Il sindaco Bernardino De Rubeis riassume la questione con queste parole: «C’è un obiettivo con 64 immigrati a bordo. C’è la Guardia di Finanza nei pressi. L’impegno del Governo è di trasferirli a Porto Empedocle, così mi ha garantito il ministro Maroni. Così dovrà essere in futuro. Ma attendiamo notizie, il mare è un po’ agitato. Il ministero deciderà la linea da seguire».
Qualcuno dice che li faranno attraccare sull’altro versante, di nascosto, lontani dalla festa e dalla rabbia. Altri che saranno scortati fino alle coste siciliane. E nella notte il barcone sarà proprio soccorso e dirottato a Porto Empedocle. Una prima vittoria per il sindaco. Adesso la processione è in discesa verso il mare. Suona la banda del paese. Un’anziana legge una preghiera che risuona perfetta: «Per i derelitti, per gli esiliati, per i vecchi che chiedono di riposare nelle loro case, noi ti chiediamo la pace». Scoppiano petardi. Banchetti di torroni e semi di zucca sui marciapiedi. Il sole lentamente incomincia a declinare. Alle sette di sera il parroco, don Stefano Nastasi, ferma la processione davanti al benzinaio del porto. Qui, mercoledì mattina, sono stati raccolti i feriti. Qui un ragazzo tunisino, per scappare, è caduto e si è spaccato la testa sulla banchina. E’ ancora in coma. «Dobbiamo chiedere perdono - dice il parroco al microfono- perdono per tutti».
La signora Silvana Lucà resta dietro al bancone del Caffè Mediterraneo sulla piazza del municipio, mentre il paese sfila davanti ai tavolini. Il suo bar era pieno di tunisini anche quando nessuno li voleva per le strade. Lei stessa è andata a soccorrere ragazze e ragazzi in mare durante il naufragio di Pasqua: «Non credo alle parole del sindaco - dice -. Non credo che Lampedusa possa davvero cambiare il suo destino. E’ un fatto geografico: noi siamo i più vicini. Ma è anche un fatto economico e strategico. Lampedusa fa comodo a molti. Meglio concentrare i problemi qui, lontani dal resto del mondo».
Non è rassegnazione, piuttosto una specie di amara consapevolezza: «L’isola è invasa di agenti. Mangiano al ristorante, dormono in albergo, escono con le lampedusane, fanno a gara per farsi mandare qui. Io non ci credo che adesso trasferiranno tutto il baraccone a Porto Empedocle. Resta il problema: noi li paghiamo e loro non ci difendono». Nel bar di fronte, l’imprenditore Salvatore Palillo è addirittura euforico: «Noi abbiamo già dato, amen. Oggi è la fine di un’epoca. Lo ha detto il sindaco: qui non attraccheranno più. Siamo pronti a difendere le nostre coste da subito e con ogni mezzo».
Tutto questo oggi è Lampedusa. Un misto di generosità, sofferenza e insofferenza, guerra e pace, catene d’oro al collo e catene di solidarietà. Un giovane prete, sussurra: «Quei ragazzi che sbarcano e ci chiedono da bere sono come Cristo. Abbiamo il dovere di accoglierli e dissetarli. Ma tutti devono fare la loro parte, anche il Governo». Alle nove di sera si scruta l’orizzonte dal molo principale. Adesso il mare sembra calmo, un grande mare buono. E i fuochi d’artificio della Madonna di Porto Salvo indicano la rotta.
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