Ora vogliono affossare l'inchiesta e trovare un colpevole per salvare la caserma e il corpo
L’agente allontanato dai Nocs
ha protetto i big della Terra
Sarà il prefetto Stefano Berrettoni, numero uno della direzione centrale della polizia di prevenzione, a coordinare l'inchiesta interna sulle violenze nella caserma dei Nocs. "Premesso che ci fidiamo ciecamente del prefetto Berrettoni denuncia Gianni Ciotti, segretario provinciale del sindacato Silp Cgil ritengo che chi è parte in causa in un procedimento, non possa essere, al tempo stesso inquirente. Riteniamo che l'ispezione all'interno dei Nocs, proprio per la credibilità della nostra amministrazione, doveva essere assegnata a un'altra direzione".
La nomina di Berrettoni, che per il Viminale è una decisione da manuale "in quanto la direzione centrale della polizia di prevenzione è l'unico organismo che, per rango, supera il Nocs" lascia perplessità nel sindacato di polizia Silp Cgil. A stabilire, con una relazione circostanziata, "l'incompatibilità ambientale" dell'agente del Nocs che, con la sua denuncia alla Digos e in procura, ha sollevato il velo sulla situazione interna alla caserma di Spinaceto, fu proprio Stefano Berrettoni. Fu lui a decidere che chi aveva denunciato la pratica dell'anestesia, il rito a metà tra il sadismo e il nonnismo che stando a quanto raccontato da alcuni agenti non allineati veniva utilizzato dal "sottocomando" che si è andato formando negli anni per "battezzare" i nuovi arrivati, non era più idoneo al Nocs.
"L'agente ha assunto nel tempo atteggiamenti polemici sfociati in un'ostilità nei confronti di superiori e colleghi così si legge nella relazione datata 26 luglio 2011 determinando l'insorgenza di forti tensioni nell'ambito lavorativo che hanno inciso negativamente sul corretto e sereno svolgimento dei delicati compiti istituzionali affidati al nucleo". Nel rapporto, redatto a sette mesi dalla denuncia dell'ex Nocs, viene citata la rissa avvenuta nel dicembre del 2010 nella mensa della caserma, episodio per il quale la procura di Roma ha rinviato a giudizio per minacce e lesioni Fernando Olivieri, l'aggressore e leader del sottocomando, sottolineando come l'assistente capo fu punito "con pena pecuniaria con decurtazione di 1/trentesimo dello stipendio, ovvero il minimo previsto in ragione della dovuta provocazione del denunciante". Berrettoni conclude la relazione motivando l'allontanamento dal corpo speciale dell'agente. "Il rapporto di fiducia (del poliziotto) con la dirigenza si è irrimediabilmente rotto con l'invio di una nota riservata a questo ufficio in cui lui ha dichiarato di non avere alcuna possibilità di essere ascoltato con attenzione, imparzialità ed equità da funzionari e dirigenti".
In poche parole, stando a quanto scritto, dopo le rimostranze e le richieste di aiuto rispetto a comportamenti borderline del sottocomando, la dirigenza non aveva più fiducia in lui. Una diffidenza retrodatata, che risalirebbe almeno al 2007. Singolare, a questo punto, capire come un comando possa aver deciso di mettere in mano a un uomo "che crea tensione nel gruppo" e ha "inciso negativamente sullo svolgimento di delicati compiti" la vita di tutti i capi di stato che dal 2008 in poi sono passati per l'Italia. Da Barack Obama a Shimon Peres, da Gheddafi a Blair lui, l'agente "incompatibile" era sempre il primo uomo della scorta, quello che, col suo corpo, avrebbe dovuto pararsi davanti ai leader in caso di attentati e rischiare la propria vita.
(19 settembre 2011)
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