Mercoledì prossimo, 6 ottobre si apre il processo di appello sul ricorso della Fiat contro la sentenza a favore dei 3 operai licenziati della Sata di Melfi. E' necessario esserci, perchè ancora una volta la mobilitazione di classe possa strappare una nuova vittoria giudiziaria.
Ma chiaramente il fronte principale di lotta resta la fabbrica e su questo le cose non vanno bene.
La scorsa settimana 5mila e 800 operai della Sata e 2mila dell'indotto sono stati messi in cassintegrazione e una nuova cig partirà dal 25 ottobre.
Ma è soprattutto sulle condizioni generale di lavoro degli operai e sull'effettiva possibilità che i tre operai licenziati tornino al lavoro che guardando alla fabbrica la realtà non è affatto incoraggiante; e quindi questo pone l'assoluta necessità di fare della fabbrica il terreno di scontro, non solo a parole ma nei fatti, contro padron Marchionne e contro i suoi servi.
Vincenzo Tortorella segretario regionale della Uilm di Potenza venerdì durante l'assemblea a Napoli di Cisl e Uil ha dichiarato: “(quella dei 3 licenziati) è una vicenda ormai prettamente giudiziaria... credo che su questa storia siano stati usati toni eccessivi e ci sia stata una spettacolarizzazione della vicenda... è necessario tornare alla normalità e lavorare per dare certezza ai lavoratori”
Tortorella sembra la classica persona che fa dello spirito al funerale: parla di “tornare a lavorare” quando anche gli operai di Melfi non vengono fatti lavorare normalmente! perchè messi tutti per settimane in cassintegrazione – tra l'altro proprio alla Sata, dove Marchionne aveva chiesto quest'estate più carichi di lavoro, e dove proprio contro questo aumento di lavoro vi erano stati gli scioperi che hanno poi portato al licenziamento dei tre operai. Tortorella parla di “tornare alla normalità” ma la normalità che vogliono padroni e sindacati di regime è quella per cui gli operai devono piegarsi e zitti, devono rinunciare ai diritti; è la “normalità” della galera, in cui chi esce fuori dalle righe è giusto, per questi servi, che venga allontanato.
Per questo occorre tornare a fare della Fiat di Melfi il terreno principale di un nuovo scontro, anche per il legittimo ritorno al lavoro dei tre operai e delegati licenziati; tornare in fabbrica per impedire questa normalità di supersfruttamento che vogliono imporre.
In questo senso, se l'ultima decisione del giudice del lavoro - che ha dichiarato la sua incompetenza per far rientrare in fabbrica in modo forzoso i tre operai – è una assurda contraddizione: lo stesso giudice non può da un lato emettere una sentenza di reintegro al lavoro e poi dall'altro affermare che non è competente a farla applicare e di fatto dare ragione a Marchionne che dice: io li riprendo ma non devono entrare in fabbrica; nello stesso tempo dobbiamo purtroppo dire che l'indicazione che il giudice dà alla Fiom è quella che serve se si vuole effettivamente far rientrare in fabbrica gli operai:
“il giudice ha detto – spiega Landini segr. nazionale Fiom – che se la Fiom vuole raggiungere questo obiettivo, deve produrre un atto forzoso nei confronti della Sata... e se l'atto non viene rispettato, deve allora ricorrere al giudice delle esecuzioni”.
Vale a dire che i 3 licenziati devono essere portati in fabbrica con la forza, che lo voglia o no la Fiat!
Questo si sarebbe dovuto fare fino dal giorno dopo la sentenza; chiamare su questo gli operai (che hanno dimostrato all'inizio di essere con i 3 licenziati al di là delle tessere sindacali) a portare in fabbrica i loro compagni di lavoro. Questo avrebbe già creato un clima diverso in fabbrica, un atteggiamento diverso dei capi e verso i capi, ma anche un clima diverso di più fiducia nella lotta, tra gli operai e le operaie della Sata.
Questo è quello che si deve fare ora. Landini ora dice che lo farà, ma non ci voleva certo un giudice (incoerente di suo) a dire quello che deve essere normale (questa volta, il “normale” ci va, ma nel senso giusto) in una battaglia sindacale.
Ma non viene posta ancora nei termini giusti questa battaglia, che chiaramente non è solo dei 3 operai di Melfi – il 1 ottobre si è aperto il processo a Torino contro il licenziamento dell'altro lavoratore delegato di Mirafiori, vi è il licenziamento dell'operaio dello slai cobas di Termoli, e soprattutto il segnale per tutti i lavoratori Fiat che o si piega la testa o si è fuori - ; perchè vi sono tanti esponenti democratici, e in primis proprio il segretario della Fiom Landini, che dicono che questa è una questione di “democrazia”.
Metterla così è sbagliato per due motivi:
perchè in questa maniera la lotta viene spostata di fatto fuori dallo scontro in fabbrica, e i riferenti principali non sono gli operai della Sata;
perchè si trasfigura il segno di questa lotta, che è di classe, che esprime uno scontro sempre più duro ma più evidente e necessario tra gli interessi della classe padronale e gli interessi della classe operaia, tra la classe capitalista, e il suo comitato d'affari del governo, che vuole imporre uno moderno fascismo non solo in fabbrica ma in tutta la società, e la classe dei proletari che deve impedire in tutte le maniere questo disegno, per difendere i suoi interessi immediati e i suoi interessi futuri.
Col discorso della lotta democratica, la realtà di questo scontro si nasconde, e diventa una richiesta di salvaguardia dei diritti prevalentemente nelle aule giudiziarie, una rincorsa a difendere le regole democratiche, quando il padronato, il suo governo, il suo Stato stanno ormai giorno per giorno stravolgendo e cancellando quelle stesse “regole” e “diritti” della democrazia.
I tre operai devono rientrare in fabbrica insieme ai loro compagni di lavoro.
Occorre alla Sata riprendere la lotta contro le condizioni di lavoro e per la difesa del lavoro.
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