Torniamo ad occuparci del carcere, perché anche in questi giorni si continua a morire nel carcere.
31 anni appena compiuti, di origini pakistane, in carcere da settembre ma ancora in attesa di giudizio, si è impiccato nella sua cella del carcere romano di Regina Coeli. Si sapeva che era un soggetto a rischio. Si parla di regime di grandissima sorveglianza per episodi di autolesionismo, ebbene dove era questa sorveglianza se il detenuto pakistano si è ucciso lo stesso?
Sono 38 dall'inizio dell'anno. Non c'è carcere che non ne venga toccato. Il carcere è diventato non un luogo di pena ma un luogo di morte e ad opera degli sbirri del carcere è molto spesso un luogo di massacri e di tortura.
Il garante dei detenuti del Lazio in occasione di quest'ultimo omicidio ha detto che “la verità è che il sovraffollamento da tutti denunciato, anche a livello europeo, in tutte le carceri, e in alcune superando quasi ogni limite, fa da sfondo a una situazione.…”. Nel carcere dove si è ucciso il giovane detenuto pakistano i posti disponibili sono 628 e i detenuti sono ora 1150, cioè più del doppio. Se si tiene conto che non solo nelle carceri, ma anche nei Cpr - in queste galere speciali per i migranti che non hanno commesso alcun reato - ci sono casi di suicidio, oltre che quelli soliti di trattamento disumano, indecente, come è venuto fuori da alcune inchieste giudiziarie.
Se si tiene conto che mentre si uccideva il detenuto pakistano di 31 anni a Regina Coeli, altri due tentativi di questo genere vi erano stati anche ad Avellino e a Rieti.
E invece di risolvere questi problemi, attenuare la condizione di detenzione dei detenuti, fermo restando tutto il giudizio che si può dare sul carcere in generale, sulla repressione in generale e sul fatto di fondo che nelle carceri c'è solo la povera gente, il governo e Salvini in testa con la Lega a fini anche elettorali e di concorrenza tra chi è più fascista, tra chi è più repressivo tra lui e Meloni, ha fatto presentare un decreto legge sulla sicurezza che come unico risultato avrà quello di riempire di più le carceri e legittimare l'uso della forza nei confronti dei detenuti nel soffocamento delle proteste, della rivolta e rendere ancor più il carcere un carcere assassino, un carcere tortura.
Anche su questo decreto vi è stata la contrarietà del collegio dei garanti dei detenuti che ha messo nero su bianco - nonostante si tratti di un collegio messo su dallo stesso governo Meloni - che questo decreto non va bene e che non affrontata la questione del sovraffollamento e delle rivolte, ma unicamente quella di dare più potere di repressione alle guardie carcerarie.
Noi diciamo che dobbiamo riprendere la lotta che non abbiamo mai interrotto e quando parliamo di "noi" intendiamo il movimento generale di lotta, dei lavoratori, dei proletari, delle masse e delle realtà che lottano contro la repressione e che portano avanti la battaglia sul carcere.
Il momento più alto quest'anno è stata la battaglia di Alfredo Cospito che, al di là della sua vicenda personale dell'opposizione al 41 bis, ha richiamato realmente con la lotta l'attenzione sulle carceri e non solo sui detenuti politici. In questo senso si può dire che Alfredo Cospito sia l'unico che abbia lottato realmente per migliorare la condizione dei detenuti e lo ha fatto dal carcere, mettendo a rischio la sua vita.
Noi pensiamo che occorre costruire un Fronte unito di tutti coloro che si occupano del carcere sia per difendere i prigionieri politici sia per lottare contro la repressione, ma soprattutto, in questa fase, per solidarizzare con le lotte dei detenuti e in particolare contro il nuovo decreto sicurezza che legittima la repressione e la tortura fino all'omicidio in occasione delle rivolte, dando mano libera, copertura, giustificazione, legittimità all'azione delle guardie carcerarie.
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