domenica 20 settembre 2015

pc 20 settembre - Le menzogne di Renzi-Giannini sulla scuola e la realtà dei precari scuola

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Le menzogne sulle cifre e sul presunto superamento del precariato.
Le menzogne governative hanno riguardato innanzitutto le cifre relative alle assunzioni. Il governo ha parlato infatti di oltre 102000 stabilizzazioni, da effettuarsi attraverso un piano che consta nel complesso di quattro fasi, denominate rispettivamente “0”, “a”, “b” e “c”. In realtà, quella che il governo chiama “fase 0”, e che era finalizzata ad immettere in ruolo entro la fine di agosto 36627 docenti, si riferisce a un contingente di stabilizzazioni già preventivate e relative al normale (si fa per dire) turn over annuale.
Non contando dunque gli insegnanti immessi in ruolo in fase 0, cioè quelli stabilizzati indipendentemente dall'intervento del governo in carica, ci accorgiamo che il piano dell'esecutivo prevede in realtà la stabilizzazione di circa 67000 docenti. Di questi, solo le 10849 stabilizzazioni della fase a hanno previsto l'assunzione – come è sempre avvenuto - su base provinciale e regionale. Le altre decine di migliaia di docenti da stabilizzare, cioè

quelli che ricadono nella fase b (fase chiusa pochi giorni fa e finalizzata ad assegnare i posti rimasti non coperti nelle fasi 0 e a) e nella fase c, saranno stabilizzati non a livello locale ma su scala nazionale, problema su cui ci soffermeremo fra poco. E i docenti stabilizzati in fase c, in particolare, saranno immessi in ruolo non su regolari cattedre, ma su posti di “organico di potenziamento”, novità introdotta dalla legge 107 e dai contorni ancora non chiari (2).
Il tutto mentre diverse categorie di precari, ad esempio decine di migliaia di docenti abilitati attraverso tfa e pas, nonché il personale ata (personale ausiliario, tecnico, amministrativo), sono stati esclusi dal piano di assunzioni.
Qualcuno potrà obiettare che comunque 67000 stabilizzazioni non sono poche. Intanto, diverse migliaia di questi posti rimarranno alla fine scoperti, e dunque le relative stabilizzazioni solo sulla carta, non solo perché tanti insegnanti si sono rifiutati di fare la domanda per l'immissione in ruolo (per i motivi che spieghiamo più avanti), ma anche perché in questi anni i governi che si sono alternati – incluso quello attuale - hanno palesato, fra l'altro, incompetenza e superficialità, dimostrando di non conoscere nemmeno la situazione reale della scuola italiana e la mappatura delle risorse disponibili: col risultato che sono stati banditi concorsi per classi di concorso (termine tecnico con cui ci si riferisce alle discipline insegnate) che risultano in esubero (anche a causa dei tagli effettuati negli ultimi anni) piuttosto che per altre discipline rispetto alle quali scarseggiano gli insegnanti. Ecco perché, quando fra qualche settimana – con la fase c - la procedura del piano di assunzioni sarà ultimata, faremo il conteggio definitivo delle migliaia di posti rimasti vacanti per assenza di insegnanti disponibili per alcune discipline. Possiamo già dire tuttavia che dei 16000 posti messi a disposizione dal Miur in fase b, quasi la metà non sono stati assegnati.
Il “piano di stabilizzazione” fra procedure oscure e guerre fra poveriPer ottenere l'immissione in ruolo nelle fasi b e c (quelle su scala nazionale) gli insegnanti precari hanno dovuto inviare entro metà agosto una domanda online al ministero, indicando ben 100 province in ordine di preferenza. La domanda andava fatta praticamente a occhi chiusi, nel senso che la normativa non chiariva esattamente quale procedura sarebbe stata utilizzata dal computer del ministero per assegnare a ogni docente la eventuale provincia, e relativo posto, di destinazione. E da parte del ministero è stata fatta una pressione enorme, ai limiti del terrorismo psicologico, per convincere i docenti a fare questa domanda, paventando conseguenze catastrofiche per chi avesse deciso di non farla.
Senza contare che in quei giorni concitati i rappresentati del Miur che, sotto la pressione degli insegnanti, provavano a rispondere ai loro quesiti (e il Miur stesso nelle apposite faq), fornivano – in merito a questioni importanti relative alle procedure - risposte in contrasto fra loro ed anche in contrasto con quanto scritto nella legge 107!
Questa procedura farraginosa e per niente trasparente ha alimentato tra l'altro le solite guerre fra poveri. Ha destato polemiche ad esempio il fatto che gli immessi in ruolo in fase b (sui posti rimasti liberi nelle due fasi precedenti) sono stati stabilizzati in province lontane centinaia o migliaia di chilometri da casa (dopo dieci o venti anni di precariato sulle spalle!), mentre quelli che – a novembre, stando ai i piani ministeriali - entreranno in ruolo in fase c avranno maggiori possibilità di evitare di allontanarsi dalla propria regione, pur avendo un punteggio inferiore rispetto ai colleghi stabilizzati in fase b (3).
Ricatti e deportazione dei precari L'intento del governo è quello di piazzare in qualsiasi modo i precari ovunque capita. Ecco perché, dopo la notte fra l'1 e il 2 settembre, cioè la notte in cui il cervellone elettronico ha mandato la fatidica mail ai destinatari di proposta di assunzione in fase b, si è materializzato l'esodo che facilmente in tanti avevano pronosticato. Le regioni più colpite in tal senso sono state quelle meridionali, e in particolare Sicilia e Campania, dove maggiore è il numero di docenti e minore, in proporzione, la quantità di posti messi a disposizione dal governo. Ecco come il governo Renzi intende affrontare la “questione meridionale”, che pur dice essere uno dei punti principali nella sua agenda!
Tantissimi insegnanti (non più giovani tra l'altro, si tratta di persone di età media superiore ai 40 anni) sono stati immessi in ruolo a migliaia di chilometri da casa, senza possibilità di rifiutare perché, come previsto dalla legge 107, la rinuncia alla proposta di assunzione avrebbe comportato l'esclusione da ogni graduatoria e dunque l'espulsione dal mondo del lavoro (il 97% dei destinatari di proposta di assunzione in fase b ha accettato infatti per i suddetti motivi; solo un 3%, cioè 244 insegnanti, ha scelto nonostante tutto di rifiutare la proposta, sperando in futuro di poter rientrare in gioco tramite concorso).

Molti di questi docenti, inoltre, sono stati immessi in ruolo su classi di concorso e ordini di scuole su cui non avevano mai lavorato prima d'ora (insegnanti di scuola media stabilizzati alle superiori e viceversa, oppure insegnanti da anni impegnati su posto comune, cioè nell'insegnamento della propria specifica disciplina, stabilizzati invece su sostegno), proprio perché il governo non ha rivolto alcuna intenzione alla didattica, all'interesse degli alunni e all'impiego al meglio delle risorse disponibili, ma ha mirato soltanto a piazzare, come pacchi, i docenti in qualsiasi luogo e modo possibile 
Il trenta percento circa degli insegnanti precari aventi diritto si è rifiutato di inviare la domanda al buio, col risultato che – calcolano alcuni sindacati – decine di migliaia di docenti resteranno nelle graduatorie provinciali ad esaurimento (gae), preferendo continuare a lavorare come precari sulle supplenze annuali o brevi nella propria provincia. Del resto, tanto più in considerazione dello stipendio medio degli insegnanti, complessivamente modesto (anche in relazione alla gran quantità di ore di lavoro non retribuito che nei fatti vengono loro imposte), vivere lontano da casa propria comporterebbe senza dubbio un netto peggioramento delle condizioni materiali di vita, nonostante la “stabilizzazione” formale.
Il governo ha fallito dunque l'obiettivo sbandierato ai quattro venti di svuotare le gae e di azzerare il precariato della scuola. Va detto inoltre – cosa che gli organi di “informazione” di sistema omettono di dire – che i docenti precari hanno il diritto, sulla base delle normative varate negli anni precedenti, di essere immessi in ruolo sulla loro provincia di riferimento (per quanto riguarda gli insegnanti presenti nelle gae) o sulla loro regione (i vincitori di concorso, che sono collocati per l'appunto in apposite graduatorie di merito su base regionale), per cui il progetto renziano costituisce l'ennesimo cambio delle regole in corsa, e come sempre a spese dei lavoratori.


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