Il
capitale, il suo sistema economico, politico, è come una piovra che
con la sua voracità per difendere il profitto, intensifica ogni
aspetto dello sfruttamento operaio, e travolge ogni cosa che ostacoli
questa strada, compresa la salute, la sicurezza degli operai, la
salute delle masse popolari che vivono intorno alla fabbrica, spesso
famiglie di quegli stessi operai.
Questa
è la natura, la legge stessa del capitale, è solo il tipo di
produzione che rende più o meno intense e pesanti le conseguenze
sulla sicurezza e sulla salute: una fabbrica siderurgica metterà a
rischio la vita, la salute degli operai, inquinerà l’ambiente
sicuramente di più di una fabbrica di cioccolatini, ma, appunto,
solo di più; nessuna fabbrica, fermo restando il sistema di
produzione capitalista, e quindi il lavoro salariato, lo sfruttamento
degli operai, la riduzione al massimo dei costi “superflui” per
il capitalista, potrà oggi garantire la eco compatibilità della sua
produzione; e nello stesso tempo in ogni settore - considerato
stupidamente “alternativo” - da quello dell’agricoltura, al
turismo, ecc., vigono le stesse leggi di sfruttamento e/o distruzione
anche di terra, aria, mare, ecc. del capitale
I
“figli” di questo sistema capitalista, la media borghesia, i
settori più benestanti della piccola borghesia, i borghesi
“ecologisti”, che non vogliono mettere in discussione questo
sistema, che anzi difendono come “naturale” la proprietà
(appropriazione) privata capitalista di una produzione che è
sociale, si accorgono delle brutture del capitalismo (ma loro parlano
di brutture della fabbrica) solo e quando tocca loro.
Questo
sta accadendo in maniera quasi esemplare nella vicenda Ilva di
Taranto.
Quando
i morti per infortuni, per amianto, per altri tumori toccavano - e
toccano - gli operai, nessun ambientalista ha alzato alte grida,
nessuno ha organizzato manifestazioni, nessuno è andato in
televisione a denunciare; eppure i morti sono stati tantissimi in
tutti questi decenni… le stesse famiglie degli operai dei Tamburi
si ammalavano e tanti morivano.
Ma
quando l’”orrore” dell’Ilva ha lambito anche la vivibilità
di settori della borghesia, ecco che le alte grida si alzano, si
fanno manifestazioni, si pone con veemenza l’improrogabile
necessità di fermare questo “genocidio” portato avanti
dall’Ilva. Ma come? Chiudendo la fabbrica! E privando del lavoro
quasi 15 mila operai e le loro famiglie!
In
tutto questo clamore, su come era ed è tuttora la condizione, la
vita, la salute degli operai invece c’è silenzio.
Ma,
cari signori ambientalisti, si tratta di quegli operai che ogni giorno entrano
nell’”inferno” dell’Ilva, che ogni giorno respirano, ingoiano
il pulviscolo di minerale che riempie l’aria, che respirano i fumi
tossici; si tratta degli operai che devono fare anche 16 ore di lavoro –
lo sanno gli ambientalisti doc che significa lavorare 16 ore, in una
fabbrica siderurgica in cui se ti distrai puoi anche perdere la vita?
Però
si tratta anche degli stessi operai che hanno fatto grandi scioperi, grandi lotte per la sicurezza, la salute, per mettere in sicurezza la fabbrica, quando tutti gli altri avevano la faccia voltata dall'altra parte e gli occhi chiusi e le orecchie tappate; sono gli stessi operai, che oggi bene che vada sono considerati "vittime" o "colpevoli" anch'essi, che invece hanno mostrato come si fa, e si può fare, a fermare un mega impianto e a mettere in ginocchio la produzione, e lo hanno fatto in passato, prendendosi repressione in fabbrica e fuori, visibili per l'azienda ma invisibili per la città; sono gli stessi operai che col loro lavoro sostengono
l’economia della città, che fanno “mangiare” dal commerciante
al ristoratore, ecc.
Ma avviene in questo periodo anche un capovolgimento: mentre gli “amici del popolo non inquinato” non parlano degli operai, del loro futuro, o ne parlano in maniera fastidiosamente stupida; sono i padroni che parlano degli operai, sono Riva e Ferrante che dicono al governo, alla Procura, alle Istituzioni: guardate che ci sono gli operai… che la loro sorte dipende da voi…
Ma
perché lo fanno?
I
capitalisti hanno sempre in disprezzo gli operai, per loro sono solo
delle macchine – anzi, come Marx spesso ci ha ricordato, verso le
macchine hanno una maggiore considerazione, cercano di tenerle in
buona efficienza, vi fanno manutenzione, se ne liberano solo quando
ne sono costretti dall’usura; tutt’altra cosa verso gli operai,
di cui alla prima “non efficienza” si liberano, tanto possono
essere sostituiti da altri operai – per i capitalisti gli operai
sono come tutte le altre merci, diversa dalle altre perché, a
differenza delle altre, è l’unica che produce pluslavoro , fonte
dei loro profitti.
Per
il capitalista, quindi, gli operai non sono persone – se mai lo
diventano quando gli operai si ribellano e lottano, ma allora è
l’odio il sentimento più genuino dei padroni verso di essi.
Riva è uno dei più degni rappresentanti di questo disprezzo unito al cinismo verso la vita degli operai. Citiamo solo alcuni esempi.
Quando
poco dopo essere arrivato a Taranto sequestrò 79 lavoratori che non
accettavano i suoi diktat, nel reparto confino della Palazzina Laf,
privandoli di tutto, con un trattamento teso ad annullare la loro
dignità anche umana e producendo gravi conseguenze psicofiche, con
lavoratori che tentarono il suicidio, in uno di questi casi il
commento di Emilio Riva fu: “…
mandatelo da me che gli insegno io come fare: prende una bella pietra
e va sul molo di Taranto… Ma le pare che uno può sbagliare due
volte persino di ammazzarsi?”;
sulle assunzioni dei figli degli operai: “certo
– disse
Riva in un intervista
- voglio sapere chi assumo e, se posso, do la precedenza al figlio
dell’operaio che va in pensione… Dicono che qui si muore al
lavoro. Ma se è così, perché il 90 per cento di coloro che
lasciano l’Ilva chiedono che i loro figli siano assunti qui?”;
sulle morti operaie: “ma
l’Ilva è come un paese con 20mila abitanti
– spiegò tempo fa seccato, sempre Emilio Riva – anche
in un paese capita che una casalinga si tagli mentre sta sbucciando
le patate… Non dimentichiamo che questa è pur sempre una fabbrica
siderurgica. O vogliono solo prati e oliveti? Tutto il mondo non può
essere la California…”;
e a proposito dei familiari degli operai morti: dal Giornale ‘Mondo
Libero’ finanziato dai Riva: “Amianto…
per il decesso del marito la vedova inappagata sessualmente ottiene
risarcimento… Il fatto che qualche vedova vanti centinaia di
miliardi per desideri sessuali non appagati dal marito defunto la
dice lunga sulla persecuzione di cui l’azienda e i suoi titolari
sono oggetto…”,
ecc. ecc.
Ma sempre in nome della legge del profitto, quest’anno improvvisamente questi operai, considerati da Riva solo usa e getta, sono diventati buona massa da utilizzare per contrapporsi alla magistratura e per non mettere miliardi per la messa a norma di quegli impianti che uccidono, ammalano gli stessi operai e producono morte fuori dalla fabbrica. Nei disegni di Riva gli operai devono diventare dei burattini che lui può tirare dove vuole con i fili, salvo spezzarli, se questo disegno si dovesse rompere.
Ciò
che tutti – dagli “ambientalisti” borghesi, ai padroni - non
vogliono vedere, ciò che cercano di nascondere anche a sé stessi, è
che sono gli operai come classe che tirano i fili della storia e che
inevitabilmente saranno gli operai a far sentire alte molto alte le
loro grida e a far vedere alte e minacciose le loro mani, perché
sono questi operai e solo questi i “becchini” del capitale e del
suo sistema di sfruttamento e morte. E la classe operaia saprà
liberarsi anche di tutte le “belle anime” che vogliono ostacolare
il suo difficile cammino.
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