
Un dramma annunciato che si è consumato nel silenzio assordante di un sistema che si ostina a voltarsi dall’altra parte. Sanderson Mendoza, per gli amici Sandro, ha smesso di lottare dopo sei giorni di agonia, portandosi via i suoi 26 anni e lasciando dietro di sé il rumore sordo dell’indignazione.
Il suo nome si aggiunge alla lunga lista di chi esce di casa per guadagnarsi da vivere e non torna più. Lavorava per la Tapojärvi, la ditta che gestisce le scorie dell’acciaieria, un ingranaggio di un meccanismo che, ancora una volta, si è rivelato letale. A Terni il lutto si mescola alla rabbia: un'altra vita sacrificata sull’altare della produzione.
La dinamica dell’incidente
L'incidente si è verificato il 10 marzo all’interno del polo siderurgico, in un contesto dove la produzione non si ferma mai e il ritmo del lavoro impone margini di rischio troppo spesso ignorati. Sanderson Mendoza era al volante di un Klingher, un veicolo impiegato per movimentare le siviere, contenitori in cui si raccolgono scorie d’acciaio fuso a temperature estreme. Qualcosa è andato storto: il mezzo è stato investito dalle fiamme, probabilmente a causa di una fuoriuscita di metallo incandescente
entrato in contatto con il suolo. Un attimo e l’inferno si è scatenato intorno a lui.L’operaio ha riportato ustioni gravissime sul 77% del corpo. I soccorsi sono scattati immediatamente: il trasporto in ospedale a Terni, poi il trasferimento disperato al centro grandi ustionati di Roma. Sei giorni di battaglia contro ferite impossibili da sanare. Alla fine, il corpo ha ceduto.
Il giorno dopo l’incidente, i sindacati avevano chiamato alla mobilitazione per otto ore, un segnale chiaro che il clima dentro l’acciaieria era ormai infuocato. Poi è arrivata la notizia che nessuno voleva sentire: Sanderson Mendoza non ce l’ha fatta. E la rabbia è esplosa.Le rappresentanze sindacali non hanno perso tempo: sciopero immediato, stop alle attività per i lavoratori di Tapojärvi dalle 20:00 del 16 marzo fino alle 22:00 del 17 marzo. Anche il personale diretto di Ast e Tubificio, insieme alle aziende appaltatrici, si fermerà appena completate le operazioni di messa in sicurezza degli impianti. Il messaggio è chiaro: il lavoro si ferma perché così non si può andare avanti.
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