L'industria dell'auto va riconvertita in funzione della
guerra e viceversa. Negli scorsi giorni, un'ipotesi che nell'ambito della
borghesia, dei padroni, delle Istituzioni europee era già abbastanza avanzata,
è diventata pubblica.
Partiamo da dove questa cosa fa più effetto, la Germania.
La capitalizzazione di mercato del produttore di armi Rheinmetall
ha superato quello del colosso automobilistico Volkswagen. Un segno del
passaggio economico della Germania dalle auto alla Difesa. Alla chiusura di
ieri alla borsa di Francoforte, Rheinmetall si è attestata su 57,24 miliardi di
euro rispetto ai 54,81 miliardi di euro della Volkswagen. Il valore della Rheinmetall
è più che triplicato da quando Donald Trump è diventato Presidente degli Stati
Uniti.
Assieme a altre aziende europee della difesa, la Volkswagen
e Rheinmetall operavano con tendenze diverse e invece ora diventano una sola
cosa. Il produttore di armi sta beneficiando dell'impennata della spesa europea
per il riarmo mentre la Volkswagen attraversa quella che è la crisi dell'auto.
In questa congiuntura la scelta quindi – se di scelta si può parlare - è di convertire in sostanza buona parte dell'industria dell'auto in eccedenza in industria bellica e permettere alle grandi multinazionali belliche di fondersi con l'industria dell'auto. Questo aiuto ha avuto un effetto immediato anche in Italia
dove il governo, tramite il ministro Urso si è fatto subito attivo, portavoce e agente di questa tendenza a far riconvertire parte dell'industria dell'auto in industria bellica.I padroni lo vedono dal solo lato in cui lo possono vedere, da nuove opportunità industriali, perché i profitti vanno dove il mercato tira, il mercato dell'auto invece no. Saremmo nella normalità del sistema capitalista e in particolare della sua fase imperialista. Ma chiaramente non vogliono sentirne parlare. Scrive infatti un giornale molto vicino agli industriali e al governo, come Il Messaggero: “Nessuno parli di economia e di guerra o di produzione bellica”. Il termine Difesa, poi, viene utilizzato nell'accezione più ampia, cioè guardando alla sicurezza, all'aerospazio e così via. Il governo punta a incrociare il destino dell'industria dell'auto. I fornitori, prima ancora che i costruttori, e quella della difesa, puntando a una ricollocazione anche di ingegneri, operai specializzati, delle quattro ruote che eccedono nel settore dell'auto. Quindi nel 2025, infatti, l'industria dell'auto chiude con numeri catastrofici: mezzo milione - altro che un milione di auto prodotte! - siamo di fronte invece a mezzo milione di veicoli prodotti meno e questo ha influenze rilevantissime sulle aziende della componentistica e dell'indotto che nel nostro paese occupano 170.000 operai.
La Difesa invece vola, il fatturato dell'industria della Difesa
ha chiuso sopra i 40 miliardi dei quali la metà riconducibili alle soluzioni
belliche, cioè a nuovi armamenti adatti alla fase di acutizzazione della
tendenza alla guerra e del riarmo che ha trovato con la presidenza Trump e la
reazione “europea” del piano von der Layen un suo punto di sbocco, un punto
d'arrivo di quello che bolliva in pentola e un punto di partenza di quello che
ci risolverà il futuro.
Il Ministro Urso perlomeno parla chiaro: “incentiviamo
questa azienda e a diversificare e a riconvertire le proprie attività verso
settori ad alto potenziale di crescita come la Difesa”.
Come si vede il governo, gli Stati, diventano sempre più
quello che sono, cioè comitati di affari a supporto delle multinazionali e dei
padroni e gli Stati nazionali, i governi nazionali, a supporto dei propri
padroni nella contesa internazionale che si sviluppa nella guerra commerciale,
nel nuovo piano di riarmo.
È chiaro che questo non è certo un piano studiato a
tavolino, nasce come risposta alle contraddizioni reali del capitalismo e
dell'imperialismo e nasce non in un quadro di visione comune ma di guerra di
alta e bassa intensità tra i diversi padroni.
Eppure tutto poteva far sembrare che i due settori andassero
in direzione diversa, per molto tempo si è parlato di come rilanciare il
settore auto, di come permettere che gli sviluppi tecnologici che porteranno
alla transizione green fossero compatibili con la situazione mondiale e fossero
compatibili anche con il calo della domanda che è molto incentivato dalla crisi
economica che si riversa sui proletari e sulle masse popolari che certamente
hanno visto crollare la loro spinta ad acquistare nuove auto nonostante
incentivi, nonostante propaganda selvaggia fatta dai padroni e dai governi come
soluzioni della crisi dell'auto.
Quindi è evidente che, in contrasto con quello che è stato
detto ai lavoratori, agli operai fino a qualche mese fa, ora si dice
esplicitamente: “fatevene una ragione, la crisi dell'auto non ha soluzione se
non un ridimensionamento dettato dai rapporti di forza delle dell'industrie
dell'auto a livello europeo e mondiale e delle spinte protezionistiche, vale a
dire “prima di tutto l'America”, poi “prima di tutto l'Europa”, poi,
all'interno di esso, “prima di tutto l'Italia” eccetera, che tutto producono
tranne che sviluppo e occupazione nel settore auto.
Ora invece con un cambio di passo repentino tutto è
concentrato sul riarmo e quindi sul rapporto tra industria bellica e industria
dell'auto. Tutto è indirizzato verso la riconversione e non certo verso l'economia
green, ma verso l'economia di guerra, di guerra in senso pieno della parola e
non soltanto come visione. Su questo l'industria bellica tira le file, c'è poco
da fare, tanto è vero che la Leonardo - che comunque è il più grande industria
bellica del nostro paese, del combinato di industrie belliche - che è impegnata
soprattutto sul fronte mondiale, quindi nell'alleanza con la Rheinmetall, è
cauto in questo tipo di questione. Cingolani, l'amministratore di Leonardo, ha
frenato l'ipotesi sull'acquisto di Iveco che peraltro era già il suo partner ed
è stato John Elkann, la Fiat, che ha proposto esplicitamente di essere presa
dalla Leonardo. Questo stato di cose si riversa in tutto l'insieme della
vicenda. Leonardo è alla ricerca continua di alleanze nei diversi settori in
cui si può posizionare.
Nello stesso tempo, non c'è solo la Leonardo, anche altre
realtà dell'industria bellica hanno potenziato la produzione di armamenti: L'Oto
Melara a La Spezia è inutile dire tutto il processo più che di riconversione,
di spostamento sul bellico che va facendo la Fincantieri.
Quindi il sistema dominante all'interno dell’industria
capitalistica diventa sempre più la produzione bellica, l'economia di guerra.
Proprio Rheinmetall si dice disponibile in Germania a
prendersi gli stabilimenti in dismissione della Volkswagen e i suoi operai e
quindi a promettere nuova occupazione in questo campo. Innanzitutto che non si
tratta di nuova occupazione, non siamo di fronte a una nuova stagione di
sviluppo industriale, economico che porta all'incremento dell'occupazione, perché
proprio le vicende del settore auto spiegano meglio di ogni altro che più che
nuova occupazione si tratta di utilizzare operai specializzati all'interno
dell'industria bellica che eccedono nell'industria dell'auto.
Come si vanno posizionando i sindacati che sono la prima
trincea nel mondo degli operai, di quello che è il piano in questa direzione?
Nell'incontro con i sindacati, quando Urso ha parlato, direttamente
o indirettamente, di questo abbiamo avuto attitudini molto diverse,
apparentemente diverse, dai sindacati.
Da un lato abbiamo avuto la Fiom che dice “assurda dal punto
di vista etico, industriale e occupazionale”. Questo è stato il primo giudizio
che è un giudizio morale, francamente, non è certo un giudizio basato sugli
interessi dei lavoratori perché sul piano etico è tutta l'economia
capitalistica/imperialistica che va marciando verso la guerra proprio perché il
capitalismo/imperialismo produce guerre e quindi siamo dentro a uno sviluppo
normale del capitalismo in una fase di crisi economica e di contesa
interimperialista mondiale. E certo che moralmente, ma “moralmente” significa
che il sistema capitalistico/imperialistico è arrivato al suo stadio in cui
produce guerra e parassitismo ed è un sistema immorale dal punto di vista degli
interessi di trasformazione sociale verso un altro sistema della classe operaia
e del movimento operaio.
La Uilm è da sempre un sindacato aziendalista, anche se questo
non significa di per sé collaterale con padroni e governo - questo ruolo ormai
lo assume apertamente la Fim Cisl, che anzi si è detta immediatamente
entusiasta di questo, favorevole a cogliere questa opportunità - la Uilm parte
dal basso profilo: “non è realistico”, cioè non è realistico perché
evidentemente ci sono contraddizioni nel tradurre poi nei fatti questo processo
di riconversione. Ma dire “non è realistico” significa dire che se fosse
realistico sarebbe da appoggiare?
Le forze politiche della piccola e media borghesia della
cosiddetta sinistra parlamentare, subito la spostano sul terreno che gli è congeniale.
La forza più a sinistra, AVS, parla di “trovata agghiacciante” o per i 5 Stelle
invece è una “follia”. La verità è che invece è l'unico piano possibile per
padroni e governi nello stadio attuale.
Come vedere la questione dal punto di vista degli operai? è
chiaro che la classe operaia non ha nessun interesse alla guerra imperialista, alle
guerre capitalistiche, alle guerre reazionarie in generale, i costi delle
guerre vengono pagati dai proletari delle masse popolari con il grande
spostamento della spesa pubblica - perché di questo si tratta, di questo parla
il piano von der Layen con buona pace della Lega nel nostro paese - dalle spese
sociali, dalle spese ordinarie dello Stato, oggi in sostanza da quelle che
vengono considerate dei costi per lo Stato in senso negativo della parola:
sanità, scuola, per indirizzarle invece verso l'industria bellica e quindi i
padroni che fanno i profitti contano sull'aiuto dello Stato, che è lo Stato che
glieli permette attraverso i finanziamenti chiamati investimenti che di fatto
permettono ai padroni di poter utilizzare i fondi dello Stato a proprio uso e
consumo, e oggi in funzione della guerra. Ma i fondi dello Stato sono sempre i
fondi dei cosiddetti cittadini, cioè dei proletari e delle masse popolari,
quindi sarebbero i proletari e le masse popolari che già di per sé pagano, sono
loro che pagano il riarmo attraverso il meccanismo della spesa pubblica e sono
loro che lo pagano perché su di essi ricadono i costi di tutto quello che il
riarmo toglie, quindi la sanità, la salute, i fondi per il lavoro ecc. ecc.
Quindi è su questa base che gli operai non possono che dire NO
al riarmo, NO al piano di riconversione dell'auto in funzione dell'economia
bellica. E questo lo si può fare solo se si ha una visione, una coscienza di
classe, perlomeno la sua avanguardia, la sua parte organizzata, perché è questa
la base materiale perché poi le organizzazioni dei lavoratori, in primo luogo i
sindacati, possono essere espressione degli interessi dei lavoratori e quindi
dei loro interessi immediati ma soprattutto futuri e agire autonomamente nei
confronti dei piani di padroni e governo. Questo è bene che sia stato posto sul
tappeto ed è bene che in tutte le fabbriche si facciano assemblee per
denunciare il piano e si chiamino gli operai a lottare. Questo significa
innanzitutto riorganizzare le file della classe secondo gli indirizzi del
sindacato di classe e secondo gli indirizzi di inserire la lotta sindacale nel quadro
più generale dello scontro di classe nel nostro paese che ha nelle fabbriche
uno dei punti centrali e che può diventare, se gli operai si mobilitano, il
punto di forza della risposta proletaria a riarmo, alla guerra e allo stato
delle cose dell'economia capitalistica/imperialistica oggi.
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