sabato 14 luglio 2018

pc 14 luglio - IL RAZZISMO NON E’ UN’OPINIONE E’ UN CRIMINE – LO DICE ANCHE LA CASSAZIONE

“Mangiati a colazione” da Salvini, i fascisti Fratelli d’Italia ogni giorno ne tirano fuori una, hanno necessità per far sentire che esistono di spararla più grossa. La cosa non sarebbe da segnalare in maniera particolare se non per il fato che in questo parlamento c’è di tutto, sia in maggioranza che in opposizione e quindi certe proposte di legge, agitate anche dai fratelli d’Italia, possano trovare anche più spazio di quanto ne meritano.
L’ultima della giornata “difendiamo chi difende”, due proposte di legge per aumentare le pene a chi aggredisce un Pubblico ufficiale, vale a dire un poliziotto, e per impedire che ci sia il reato di tortura “che impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro”.
E’ roba grave, sapendo che nella polizia, nei carabinieri ci sono tanti che la pensano esattamente così, e appena possibile lo dimostrano.

Ha trovato poco spazio una sentenza della Cassazione di qualche giorno fa, che invece è giusta e sacrosanta. Espressioni come “dovete andare via” che denotano disprezzo verso gli stranieri, anche se
generiche e senza riferimento esplicito alla razza, ma pronunciate per manifestare pubblicamente e diffondere odio, possono comportare l’aggravante della finalità di ”discriminazione razziale”.
La Cassazione ha confermato, con il relativo aumento di pena, la sentenza con condanna in via definitiva di due razzisti di Gallarate che nel 2010 hanno provocato lesioni ai danni di due bengalesi che insieme ad altri connazionali si ritrovavano fuori di un circolo. La V sezione penale della Cassazione sottolinea che pere applicare l’aggravante dell’odio razziale è irrilevante l’esplicita manifestazione di superiorità razziale, l’aggravante riguarda anche le espressioni generiche di disprezzo. Uno degli imputati, secondo testimoni aveva detto: “che venite a fare qua, dovete andare via”. L’imputato aveva chiesto la riduzione della pena ma, ricorda la Cassazione, l’aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, non ricorre solo quando l’espressione riconduca alla manifestazione di un pregiudizio, nel senso dell’inferiorità di una determinata razza, ma anche quando la condotta per come si manifesta e per il contesto “risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio etnico” e a dar luogo nell’immediato o in futuro “al concreto pericolo di comportamenti discriminatori”.

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