da
Lo
scorso 6 maggio si sono tenute le prime elezioni municipali della
storia della Tunisia, dopo essere state rinviate per circa due anni per
meri calcoli di equilibrio di potere tra i due principali partiti
governativi: Nidaa Tounes definito partito “laico” dalla stampa (fascio-laicista) e Ennahdha definito “islamista moderato” dalla stessa stampa (in realtà fascio-islamista).
Elezioni
a cui è stata data eccessiva importanza soprattutto da chi sostiene la
storiella della Tunisia come unico paese uscito con successo dal ciclo
di rivolte arabe del 2010/2011 entrando in una fase di cosiddetta
“transizione democratica”. Questa fase politica sarebbe iniziata, dopo
la caduta del regime di Ben Ali, con l’elezione dell’Assemblea
Costituente, le elezioni politiche e adesso, ulteriore tappa di
rafforzamento della neonata “democrazia”, con le elezioni municipali.
Il
“fronte” eterogeneo che condivide questa impostazione mette insieme
tutti i partiti politici istituzionali, oltre ai già citati partiti di
governo, il resto dei partiti parlamentari da destra fino alla
sedicente estrema “sinistra” rappresentata dai partiti revisionisti e riformisti del Fronte Popolare. Si aggiunge il mondo intellettuale considerato in maniera trasversale, dagli autoctoni agli stranieri residenti operanti nelle università, negli istituti di cultura e ovviamente ai “mercenari dello sviluppo”, pagati in valuta forte, del mondo delle ONG che tra un evento di “solidarietà” ed un aperitivo nei locali chic della capitale, spiegano all’indigeno quanto sia importante costruire la “democrazia”, fino all’ambasciatore americano… tutti uniti a sostenere la “giovane democrazia tunisina”.
sedicente estrema “sinistra” rappresentata dai partiti revisionisti e riformisti del Fronte Popolare. Si aggiunge il mondo intellettuale considerato in maniera trasversale, dagli autoctoni agli stranieri residenti operanti nelle università, negli istituti di cultura e ovviamente ai “mercenari dello sviluppo”, pagati in valuta forte, del mondo delle ONG che tra un evento di “solidarietà” ed un aperitivo nei locali chic della capitale, spiegano all’indigeno quanto sia importante costruire la “democrazia”, fino all’ambasciatore americano… tutti uniti a sostenere la “giovane democrazia tunisina”.
Nonostante
l’evento di portata “storica”, la maggior parte del popolo tunisino non
lo ha vissuto con questo spirito, e non a torto.
A
quanto pare il tunisino medio, quello che vive sulla propria pelle
tutti i problemi reali quotidiani del paese, non condivide
l’impostazione della retorica della “transizione democratica”. Gli
stessi tunisini che 8 anni fa hanno rovesciato il regime, che hanno
continuato a scendere in piazza con le stesse rivendicazioni di lavoro,
libertà e dignità nazionale, non sono cascati nella trappola della
retorica mainstream.
Oltre
il 66% degli aventi diritto ha boicottato le elezioni, non solo, a
parte poche zone in cui abita la medio-alta borghesia, queste elezioni
municipali è come se non avessero avuto luogo: non sono state nemmeno
argomento di discussione nei caffè e nei quartieri, in altri termini è
stato un evento lontano dalla vita reale delle masse popolari, di conseguenza le masse stesse se ne sono disinteressate boicottandolo.
Anche
se il boicottaggio tout court non è sufficiente per modificare la
situazione politica esso è un chiaro segnale politico di partenza: su
quasi 5 milioni e 370 persone di aventi diritto,
oltre 3 milioni e 567 mila persone hanno bocciato in primis il governo
Nidaa-Nahda e in secundis le finte opposizioni che si iscrivono nella
retorica della “transizione democratica” che altro non è che una
restaurazione progressiva, anno dopo anno, dell’ancient regime di Ben
Ali senza Ben Ali, con l’aggiunta della componente reazionaria
islamista.
Il
dato secondario di tutta questa faccenda è, quindi, chi “ha vinto”
queste elezioni; tutti gli sconfitti reclamano la vittoria: Ennahda ha
avuto una maggioranza relativa del 28,6% (ricordiamo il 28,6% del 30%
degli aventi diritto!) e proseguendo, Nida Tounes il 20,8% e il Fronte
Popolare il 3,6%. La prima si rallegra di questa maggioranza relativa
nonostante abbia perso una buona fetta del proprio elettorato in termini
assoluti, la seconda reclama la vittoria rallegrandosi della perdita di
terreno della prima, il Fronte Popolare si rallegra di aver racimolato
qualche seggio in alcuni municipi.
Il mondo intellettuale radical chic progressista delle università e delle ONG, si lagna dell’alto tasso di
astensionismo ma reclama che la “novità positiva” è la vittoria delle
liste civiche indipendenti con oltre il 32% delle preferenze
complessive: la transizione democratica è salva!
Il
32% del 33% degli aventi diritto a cui si arriva sommando le miriadi di
liste eterogenee e non collegate tra loro nei diversi municipi, spesso
liste ad personam espressione di esponenti della borghesia professionale
tunisina (avvocati, medici, accademici ecc.) che si sono potuti
permettere il lusso di giocare alla democrazia affrontando i costi della
campagna elettorale come scommessa per la conquista di una poltrona nei
consigli comunali (la tanto acclamata “società civile”).
Quindi non una vera e propria forza politica, ma i postmoderni esultano
per cio’ che si allontana, quantomeno formalmente, dalla forma partito
classica anche se nella sostanza non si tratta di niente di nuovo. Un
fenomeno che potremmo descrivere come una variante del “populismo di sinistra” che in certe forme vediamo in Europa.
Inoltre
al milione e 803 mila votanti bisogna sottrarre 100.000 schede bianche e
nulle che vanno ad aggiungersi al non voto di protesta.
Il
Manifesto ( sedicente quotidiano “comunista”) pubblica un’analisi che
riflette esattamente la impostazione della prima narrazione (quella
della “transizione democratica”), essa aggiunge un
ulteriore colore all’analisi: la maggioranza degli eletti sono giovani
(al di sotto dei quaranta anni) e donne. Come se di per sé queste due
qualità siano sinonimo di cambiamento. Ormai sempre più capi di governo
nel mondo sono giovani anagraficamente incarnando vecchie politiche
(compreso il primo ministro tunisino Chahed) e molte donne in politica
appartengono alla classe sociale dominante, basti pensare che il
prossimo sindaco di Tunisi potrebbe essere propria una donna, eletta con
oltre il 33% (conseguendo la maggioranza relativa) nelle file del
partito islamista di Ennahdha, non proprio un partito in prima linea per
i diritti delle donne…
L’aspetto
più interessante di questa vicenda è che alcuni militanti della
sinistra extraparlamentare legati ideologicamente al comunismo
rivoluzionario maoista hanno smascherato queste elezioni per quello che
sono: un rafforzamento del regime per autolegittimarsi tramite lo
strumento elettorale e hanno invitato al boicotaggio elettorale attivo
come passo iniziale che mira all’organizzazione di classe per invertire
il nefasto processo di restaurazione in corso da ormai 8 anni.
Nessun commento:
Posta un commento