Tre anni fa era entusiasta. Si era intestato la vittoria
su Twitter e l’aveva collegata ad altri suoi successi. Lo definì un
accordo
“strategico” e
Piombino era
“un pezzo di futuro dell’Italia”. Di più:
“Progetto ambizioso che
rilancia crescita e lavoro”. Insomma, “un’altra buona news”. Era il
9 dicembre 2014 e
Matteo Renzi da Palazzo Chigi esultava per la cessione delle
acciaierie ex Lucchini all’imprenditore algerino
Issad Rebrab.
Adesso che il destino di 2mila operai è in bilico e il ministero dello Sviluppo Economico
è a un passo dal riprendersi l’impianto perché alle promesse sono
seguiti pochi fatti e il siderurgico è sostanzialmente fermo, l’ex
presidente del Consiglio ha cambiato versione: “Rebrab? Furono Rossi e Landini a volerlo. Io penso che l’operazione con Jindal, che avevo conosciuto a Firenze, andasse fatta 3 anni fa”. Insomma, “abbiamo fatto una cazzata a fidarci di Rebrab”,
ha detto incontrando i rappresentanti del Circolo delle Fabbriche Pd di
Piombino a bordo del suo treno. La colpa è degli altri, insomma. Anche
se la scelta – come avviene sempre in questi casi – non spetta né ai
sindacati né ai presidenti di Regione, ma al governo.“Renzi dice che su Piombino è tutta colpa mia e di Maurizio Landini. Lo ringrazio per avermi messo in coppia con Landini, uno degli uomini più credibili e rispettati dai lavoratori. Quanto al merito, inutile ricordare che la scelta delle imprese commissariate viene effettuata con gara da una commissione tecnica presso il Ministero dello Sviluppo Economico”, ha risposto su Facebook Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e fondatore di Articolo Uno. Poi, spiegando che Rebrab “è stato scelto attraverso una regolare procedura sulla quale non ho avuto alcuna influenza”, annuncia: “Le affermazioni su Piombino, così come riportate dai giornali, meritano una sola risposta: la querela.
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