Anche
se le trattative riguardanti la costruzione di un Esercito Europeo in
questi anni si sono svolte nel completo silenzio dei media e nella
riservatezza delle stanze dei bottoni ormai non è più un segreto, è
stato messo a bilancio. Le cifre sono poco chiare ma l’Action Plan
presentato dalla commissione nel 2016 per il bilancio quinquennale
2017-2021 parlava di 25 milioni di euro da dedicare esclusivamente alla
ricerca in campo bellico e di ben 3.5 miliardi da investire su progetti
militari congiunti.
Ma
cos’è l’Esercito Europeo? Esso nasce sostanzialmente dalla necessità
che ha l’UE di rispondere in maniera compatta alle spinte
inter-imperialistiche risultanti del nuovo assetto globale. Lo stesso Junker ha affermato:
-“Un esercito come questo ci aiuterebbe a coordinare meglio
le nostre politiche estere e di difesa, e di adottarle collettivamente
su responsabilità dell’Europa nel mondo”.-Inoltre con un esercito comune dell’UE, il blocco potrebbe “reagire in modo più credibile alla minaccia alla pace in uno Stato membro o in uno Stato vicino”.
La
formazione di tale organismo non è lineare, infatti, bisogna
considerare che
storicamente gli stati appartenenti all’UE sono anche
membri della NATO. Ed è ovvio pensare che le due strutture possono
essere considerate equivalenti. Tuttavia dopo l’elezione di Trump sia da
parte del presidente degli USA che dei rappresentanti europei sono
state fatte delle dichiarazioni che sciolgono ogni dubbio. Da una parte Trump
mette in discussione l’art. 5 del trattato atlantico. Articolo in cui
si afferma l’impegno della NATO alla difesa collettiva e all’assistenza
militare dei partner coinvolti in un conflitto, soprattutto in relazione
al fatto che tra gli stati europei, pur avendo formalmente accettato di
destinare il 2% del PIL alla NATO, solo in 5 hanno rispettato
l’accordo. D’altro canto è sempre Junker a dire: “gli
americani, ai quali dobbiamo tanto, a lungo termine non garantiranno la
sicurezza europea. Dobbiamo farlo da soli. Ecco perché abbiamo bisogno
di un nuovo slancio nel campo della difesa europea, con l’obiettivo di
creare un esercito europeo”. Allo stesso tempo, di là dalle
dichiarazioni di Trump, il segretario generale della NATO afferma che
con l’E.E. ci dovrà essere piena complementarità e soprattutto i due
“sistemi di difesa” non dovranno avere duplicazioni sul terreno militare
reale. A conferma del fatto che nessuno mollerà l’osso facilmente.
Anche all’interno della stessa UE ci sono spinte a favore dell’E.E. e
spinte a favore della NATO. L’esercito europeo è fortemente voluto dai
paesi più rilevanti dell’unione, ovvero la Germania, la Francia,
l’Italia ma anche la Spagna. Mentre, soprattutto la Polonia e i paesi
baltici (anche in funzione antirussa) tenderebbero a rafforzare la NATO
piuttosto che spendere soldi pubblici per finanziare l’esercito europeo.
La Gran Bretagna con la brexit ha potuto chiarire meglio la sua
contrarietà a proposito, preoccupata di perdere quella posizione
vantaggiosa che le ha permesso per anni di fare da ponte tra USA e stati
europei. Queste contraddizioni rientrano pienamente all’interno della
competitività capitalistica, alla fine saranno i rapporti di forza (che
si esprimono in prima battuta economicamente) a decidere la direzione
verso la quale si andrà.
Sul piano ideologico la formazione di questo strumento di guerra è giustificata da:
-Terrorismo in medio oriente;-Controllo delle frontiere assediate da profughi;
-Minaccia Russa.
Temi all’ordine del giorno su ogni giornale in maniera che si possa creare consenso popolare intorno al progetto dell’E.E.
Mentre
sul piano meramente strutturale è chiaro che l’U.E. si sta proponendo
sempre più come polo indipendente dagli Stati Uniti, è per questa
ragione che ha bisogno di un sistema difensivo altrettanto indipendente e
libero di agire in maniera tale che si salvaguardino gli interessi
europei, senza cedimenti a potenziali competitor.
Con
tutte le contraddizioni, le accelerazioni e le frenate che subisce
questo progetto, ormai è diventato una realtà che anche le università
che frequentiamo si trovano ad affrontare. Tanto reale che sono stati
espressi chiaramente i punti sui quali la ricerca deve concentrarsi,
ovvero:
-Rifornimento aerei da caccia in volo;
-Sistema di droni europeo;-Rifornimento aerei da caccia in volo;
-Generazioni di satelliti uso bellico;
-Difesa cyber spazio;
-Produzione di Nitruro di Gallio (per la costruzione di nuovi sensori ad uso bellico);
-Fibre tessili intelligenti per le nuove tute dei militari sul fronte.
Più
gli atenei saranno aderenti a questi punti e più potranno beneficiare
dei fondi europei. A tal proposito ci avvaliamo dello studio pubblicato
sul blog di Antonio Mazzeo “Università del nord Italia e principali progetti con forze armate italiane, USA e NATO e con il complesso militare industriale”.
Per quanto limitato alle università del Nord Italia, che sono comunque
quelle più proiettate a livello internazionale, ci sembra descriva bene
la situazione e soprattutto mostri come i progetti universitari
corrispondano esattamente ai punti precedentemente definiti.
Infatti, se al Politecnico di Milano
con i progetti Horizon2020 e Clean Sky2 si studiano sistemi innovativi
di aeromobili capaci di decollare come elicotteri e volare come aerei,
mentre sull’IEEE si pubblicano importanti articoli sul monitoraggio da
parte dei droni dei sistemi fotovoltaici, droni che ovviamente potranno
monitorare qualsiasi altra cosa. Alla Cattolica si
organizzano visite al quartier generale della NATO in Europa, e si
studia, nei quaderni di Scienze politiche, “L’evoluzione militare della
NATO alla luce del nuovo Concetto Strategico”.
Al Politecnico di Torino
con TORSEC (operativo ormai da 20 anni), Secured ma anche grazie al
Narus Cyber Innovation Center si approfondiscono i temi della cyber
security. Questo ateneo è molto attivo anche per quanto riguarda la
formazione scientifica dei militari, la protezione delle fonti
energetiche (ricordiamo che il sistema energetico è da anni unico e
indivisibile su scala continentale) e la ricerca nel campo
aereospaziale. E se è il Politecnico ad occuparsi della formazione
scientifica dei militari, per quanto riguarda la parte giuridico –
amministrativa è l’Università di Torino che se ne
occupa, ateneo questo che nel 2009 inaugura la SUISS prima scuola
direttamente collegata al Ministero della difesa. A Torino non c’è solo
formazione teorica, nell’aprile del 2016 gli studenti dall’Interregional
Crime and Justice Research Institure partecipano all’esercitazione Safe
Endeavour dello Stato Maggiore dell’Esercito. Mentre nell’anno
accademico 2017-2018 si moltiplicano corsi di laurea e i Master del tipo
“Laurea in Scienze Strategiche e della Sicurezza” dedicati ovviamente
ai militari. L’ateneo è anche molto attento alla condizione sociale dei
militi-studenti tanto da proporre addirittura il “Military Erasmus”, non
sia mai che si sentano esclusi dai loro coetanei.
Anche a Bologna
la formazione militare è molto pratica e puntuale, tanto che nella sede
di Scienze Politiche di Forlì in questi giorni si organizzano convegni
come “Vincere la pace. L’integrazione europea e la stabilizzazione post bellica”,
o la Simulazione di gestione di una crisi internazionale – NATO Model
Event. Nell’ateneo bolognese oltre alle iniziative di questi giorni si
aggiungono l’evento dello scorso giugno dal nome “Scoprire le
applicazioni dei velivoli pilotati da remoto” del corso di laurea
d’ingegneria aerospaziale e il workshop “The NATO-Unibo Summer Workshop
and Nato Model Event 2016”.
A Urbino
la collaborazione tra università e forze dell’ordine è talmente reale
che il 17 Novembre gli studenti l’hanno provato sulla loro pelle,
vedendosi escludere l’accesso agli spazi della loro sede universitaria
in occasione dell’ennesima cerimonia in favore delle FFOO. Nulla da
invidiare hanno le università di Bolzano, Reggio Emilia, Modena, Pavia, Genova, sono tutte ben consapevoli dei punti strategici sui quali concentrarsi e non mancano gli appuntamenti importanti.
Tutto
ciò s’inquadra nel progetto di ridefinizione del sistema formativo
italiano; la scienza, la filosofia, la tecnica e le arti non sono
affatto neutre, ma servono gli interessi di chi ci governa e per questo
sempre più si portano avanti tematiche come la guerra anche nei nostri
atenei, i quali andranno esattamente di pari passo alle evoluzioni o
alle involuzioni che la nostra società sta subendo. È chiara
l’importanza che assumono quelle realtà come SCT (Studenti contro il Technion,
progetto di collaborazione sullo sviluppo di tecnologie militari tra
l’Università di Torino e quella di Haifa in Israele) che si oppongono
alla deriva intrapresa dalla nostre università, come è necessaria
l’attività sul piano politico ed ideologico degli studenti. Altrimenti
il rischio è di essere immersi in un meccanismo del quale non si è
neppure consapevoli.
da NOI restiamo- Contropiano
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