Intervista a Pinar Aydinlar, artista e militante comunista rivoluzionaria
pc – vorrei che ci
parlassi della tua scelta di mettere la tua arte al servizio del
movimento rivoluzionario in Turchia e Nord Kurdistan. Come è nata,
il suo significato, come la vivi quotidianamente, del prezzo che hai
dovuto pagare …
Pinar – La prima cosa che
voglio sottolineare è la realtà che si vive in Turchia, quella di
una dittatura fascista, mascherata da democrazia parlamentare. Questa
è la situazione che viviamo e subiamo e contro cui ci tocca prendere
posizione là dove operiamo e lavoriamo. Io lo faccio da comunista.
Il sistema sviluppa campagne e attacchi
di repressione ed eliminazione di ogni opposizione. Oltre al mio, ci
sono altri 5 casi di altri incriminati, processati e condannati per
aver cantato canzoni proibite, dedicate a IK o ad altri dirigenti
comunisti, o per altre attività culturali di contenuto “sovversivo”.
Come rivoluzionaria e comunista è mio
compito prendere posizione contro l’oppressione e la repressione.
Come artista il mio lavoro è dare voce agli oppressi, mettere la mia
arte al servizio delle alle masse di operai e studenti rivoluzionari,
alle donne, al popolo curdo cui è negata l’identità, ai
prigionieri politici rivoluzionari isolati in carcere per aver
lottato in loro nome.
Per noi la cosa più importante deve
essere come usare lo nostra arte, la nostra lotta nel campo della
cultura, come strumento di lotta, senza badare alle conseguenze che
possiamo subire per questo. E siamo in tanti ad aver fatti questa
scelta, non soni certo la sola, né la più importante.
Io e tutti gli altri artisti
rivoluzionari abbiamo scelto di schierarci dalla parte del popolo, di
dargli voce. Di alzare la nostra voce contro la violenza e le
torture.
Oltre al periodo che ho passato in
carcere, mi è stato imposto il divieto di entrare ed esibirmi in
diverse parti del paese, a Dersim e in altre regioni. Ma, se voglio
continuare a essere una voce del popolo, non può essere ne sarà
questo divieto a fermarmi,. Ho già disobbedito al divoeto e
continuerò a farlo.
Nella storia ci sono stati tanti esempi
illustri di scrittori, intellettuali e artisti rivoluzionari che
hanno avuto il coraggio di dare voce agli oppressi con le loro opere,
io mi considero solo l’ultima di questa tradizione gloriosa, sono
solo una di loro.
Oltre a me, tanti artisti nuovi di
recente hanno fatto la scelta di schierarsi dalla parte del popolo,
in particolare, di recente, durante e dopo la rivolta per Taksim
Square e Gezi Park. Il problema è che molti di loro, poi hanno fatto
un passo indietro, sono rientrati nel sistema, hanno chiesto il
dialogo con Erdogan.
Io non l’ho fatto, perché per me
essere un attivista culturale non significa solo essere un artista,
scrittore ecc., che dà voce al popolo. Per me significa essere un
combattente del popolo su un fronte particolare,e un combattente non
si arrende, non dialoga né accetta divieti, combatte senza
compromessi.
pc – Nella riunione
di Donna Nuova che ho seguito e a cui ho portato il saluto delle
nostre compagne, ti ho sentito proporre una campagna internazionale a
sostegno delle combattenti curde della regione di Rojawa/Kobane. Una
lotta di cui nel nostro paese si sa poco. Potresti parlarmi meglio di
questa lotta?
Pinar – A Rojawa c’è una
guerriglia di liberazione nazionale che va avanti da molto tempo e
che negli ultimi mesi sta vivendo una situazione molto difficile,
sotto attacco congiunto delle forze dell’ISIS e degli altri
eserciti che combattono nel Kurdistan siriano. Ma, rispetto ad altre
guerriglie e lotte rivoluzionarie di liberazione nazionale, la
particolarità di questa lotta è il ruolo importante che vi giocano
le donne rivoluzionarie curde.
Donne che hanno rifiutato il ruolo
subordinato, gli affetti familiari, per prendere le armi e
combattere. E, cosa più importante, nessuna di loro si è mai
arresa. Io, nel mio piccolo mi sento vicina a loro. Anche io ho
scelto di essere qui, in questo campeggio a fare il mio lavoro di
attivista culturale rivoluzionaria, invece di prendermi cura dei
gemellini che ho avuto da poco, e sento di dover fare di più per
queste rivoluzionarie, per questo voglio impegnarmi in una campagna
internazionale a loro sostegno.
È una lotta antimperialista.
L’imperialismo si oppone da sempre all’autonomia del popolo curdo
nella regione e, soprattutto, perché sa bene che questo movimento è
diverso dagli altri movimenti autonomisti, proprio grazie al ruolo in
esso delle donne rivoluzionarie.
Quando son stata a Kobane, la regione
turca al confine con Rojawa, ho conosciuto una situazione durissima e
difficilissima, fatta di guerra, stupri, massacri di bambini, ma ho
visto anche come a questo 300 compagne rivoluzionarie curde hanno
fatto la scelta di attraversare la frontiera per unirsi alla
guerriglia di Rojawa.
Nei prossimi giorni Partizan lancerà
ufficialmente un appello internazionale per una campagna e una
delegazione che vada a Kobane per realizzare un progetto concreto di
solidarietà. Ma anche prima dell’appello, già ora è importante
chiamare tutti a prendere posizione e realizzare iniziative di
solidarietà. Sono lieta e ti ringrazio dell’opportunità che mi
dai di comunicare alle compagne in Italia l’importanza di questa
lotta, l’importanza di questa campagne.
Questa non è certo una campagna solo
“delle donne”, ma, proprio per il ruolo che in essa vi svolgono
le donne assume un grande valore per tutti i rivoluzionari, i
comunisti, gli antimperialisti e, allo stesso tempo, chiama tutte le
rivoluzionare a assumere l’iniziative e avere un ruolo in prima
linea a sostegno di questa lotta antimperialista.
In questi giorni mi hai parlato della
campagna fatta dalle compagne in Italia con il popolo di Gaza. Ho
visto i vostri manifesti contro che chiedono di far pagare ai
sionisti il sangue e le lacrime di donne e bambini palestinesi. Anche
a per Rojawa vale lo stesso discorso, anche lì donne e bambini sono
le prime vittime della guerra e dell’ideologia dell’ISIS, ma,
molto più che a Gaza, le donne di Rojawa non sono solo le prime
vittime, sono le prime combattenti.
Come a Gaza, riguardo ad Hamas, non
contano le differenze che abbiamo con la direzione di questa lotta,
che a Rojawa è dei peshmerga dell’YPG. Per noi conta che è una
lotta di liberazione di un popolo che l’imperialismo vuole
sottomesso e, soprattutto, che il ruolo in essa delle donne
rivoluzionarie ne fa una lotta per la liberazione sociale, non solo
nazionale.
Le donne che lasciano le case per
combattere non lottano solo per l’autodeterminazione del loro
popolo, lottano per la loro stessa liberazione.
Esse chiedono alle donne di non stare a
casa, di prendere le armi e questo la rende una lotta rivoluzionaria.
E se si guarda alla condizione delle donne nel resto del Medio
Oriente e alla loro posizione all’interno della lotte che si
sviluppano nella regione, risalta ancora di più l’importanza di
questa lotta, che è una “rivoluzione di donne” potremmo dire.
Quanto a me è parte del mio lavoro di
artista rivoluzionaria dare voce come posso a queste combattenti, e
pagarne il prezzo, se occorre.
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