martedì 16 settembre 2014

pc 16 settembre - Turchia- Kurdistan.. Irak ..Intervista a Pinar Aydinlar, artista e militante comunista rivoluzionaria

Intervista a Pinar Aydinlar, artista e militante comunista rivoluzionaria

pc – vorrei che ci parlassi della tua scelta di mettere la tua arte al servizio del movimento rivoluzionario in Turchia e Nord Kurdistan. Come è nata, il suo significato, come la vivi quotidianamente, del prezzo che hai dovuto pagare …

Pinar – La prima cosa che voglio sottolineare è la realtà che si vive in Turchia, quella di una dittatura fascista, mascherata da democrazia parlamentare. Questa è la situazione che viviamo e subiamo e contro cui ci tocca prendere posizione là dove operiamo e lavoriamo. Io lo faccio da comunista.
Il sistema sviluppa campagne e attacchi di repressione ed eliminazione di ogni opposizione. Oltre al mio, ci sono altri 5 casi di altri incriminati, processati e condannati per aver cantato canzoni proibite, dedicate a IK o ad altri dirigenti comunisti, o per altre attività culturali di contenuto “sovversivo”.
Come rivoluzionaria e comunista è mio compito prendere posizione contro l’oppressione e la repressione. Come artista il mio lavoro è dare voce agli oppressi, mettere la mia arte al servizio delle alle masse di operai e studenti rivoluzionari, alle donne, al popolo curdo cui è negata l’identità, ai prigionieri politici rivoluzionari isolati in carcere per aver lottato in loro nome.
Per noi la cosa più importante deve essere come usare lo nostra arte, la nostra lotta nel campo della cultura, come strumento di lotta, senza badare alle conseguenze che possiamo subire per questo. E siamo in tanti ad aver fatti questa scelta, non soni certo la sola, né la più importante.
Io e tutti gli altri artisti rivoluzionari abbiamo scelto di schierarci dalla parte del popolo, di dargli voce. Di alzare la nostra voce contro la violenza e le torture.
Oltre al periodo che ho passato in carcere, mi è stato imposto il divieto di entrare ed esibirmi in diverse parti del paese, a Dersim e in altre regioni. Ma, se voglio continuare a essere una voce del popolo, non può essere ne sarà questo divieto a fermarmi,. Ho già disobbedito al divoeto e continuerò a farlo.
Nella storia ci sono stati tanti esempi illustri di scrittori, intellettuali e artisti rivoluzionari che hanno avuto il coraggio di dare voce agli oppressi con le loro opere, io mi considero solo l’ultima di questa tradizione gloriosa, sono solo una di loro.
Oltre a me, tanti artisti nuovi di recente hanno fatto la scelta di schierarsi dalla parte del popolo, in particolare, di recente, durante e dopo la rivolta per Taksim Square e Gezi Park. Il problema è che molti di loro, poi hanno fatto un passo indietro, sono rientrati nel sistema, hanno chiesto il dialogo con Erdogan.
Io non l’ho fatto, perché per me essere un attivista culturale non significa solo essere un artista, scrittore ecc., che dà voce al popolo. Per me significa essere un combattente del popolo su un fronte particolare,e un combattente non si arrende, non dialoga né accetta divieti, combatte senza compromessi.

pc – Nella riunione di Donna Nuova che ho seguito e a cui ho portato il saluto delle nostre compagne, ti ho sentito proporre una campagna internazionale a sostegno delle combattenti curde della regione di Rojawa/Kobane. Una lotta di cui nel nostro paese si sa poco. Potresti parlarmi meglio di questa lotta?

Pinar – A Rojawa c’è una guerriglia di liberazione nazionale che va avanti da molto tempo e che negli ultimi mesi sta vivendo una situazione molto difficile, sotto attacco congiunto delle forze dell’ISIS e degli altri eserciti che combattono nel Kurdistan siriano. Ma, rispetto ad altre guerriglie e lotte rivoluzionarie di liberazione nazionale, la particolarità di questa lotta è il ruolo importante che vi giocano le donne rivoluzionarie curde.
Donne che hanno rifiutato il ruolo subordinato, gli affetti familiari, per prendere le armi e combattere. E, cosa più importante, nessuna di loro si è mai arresa. Io, nel mio piccolo mi sento vicina a loro. Anche io ho scelto di essere qui, in questo campeggio a fare il mio lavoro di attivista culturale rivoluzionaria, invece di prendermi cura dei gemellini che ho avuto da poco, e sento di dover fare di più per queste rivoluzionarie, per questo voglio impegnarmi in una campagna internazionale a loro sostegno.
È una lotta antimperialista. L’imperialismo si oppone da sempre all’autonomia del popolo curdo nella regione e, soprattutto, perché sa bene che questo movimento è diverso dagli altri movimenti autonomisti, proprio grazie al ruolo in esso delle donne rivoluzionarie.
Quando son stata a Kobane, la regione turca al confine con Rojawa, ho conosciuto una situazione durissima e difficilissima, fatta di guerra, stupri, massacri di bambini, ma ho visto anche come a questo 300 compagne rivoluzionarie curde hanno fatto la scelta di attraversare la frontiera per unirsi alla guerriglia di Rojawa.
Nei prossimi giorni Partizan lancerà ufficialmente un appello internazionale per una campagna e una delegazione che vada a Kobane per realizzare un progetto concreto di solidarietà. Ma anche prima dell’appello, già ora è importante chiamare tutti a prendere posizione e realizzare iniziative di solidarietà. Sono lieta e ti ringrazio dell’opportunità che mi dai di comunicare alle compagne in Italia l’importanza di questa lotta, l’importanza di questa campagne.
Questa non è certo una campagna solo “delle donne”, ma, proprio per il ruolo che in essa vi svolgono le donne assume un grande valore per tutti i rivoluzionari, i comunisti, gli antimperialisti e, allo stesso tempo, chiama tutte le rivoluzionare a assumere l’iniziative e avere un ruolo in prima linea a sostegno di questa lotta antimperialista.
In questi giorni mi hai parlato della campagna fatta dalle compagne in Italia con il popolo di Gaza. Ho visto i vostri manifesti contro che chiedono di far pagare ai sionisti il sangue e le lacrime di donne e bambini palestinesi. Anche a per Rojawa vale lo stesso discorso, anche lì donne e bambini sono le prime vittime della guerra e dell’ideologia dell’ISIS, ma, molto più che a Gaza, le donne di Rojawa non sono solo le prime vittime, sono le prime combattenti.
Come a Gaza, riguardo ad Hamas, non contano le differenze che abbiamo con la direzione di questa lotta, che a Rojawa è dei peshmerga dell’YPG. Per noi conta che è una lotta di liberazione di un popolo che l’imperialismo vuole sottomesso e, soprattutto, che il ruolo in essa delle donne rivoluzionarie ne fa una lotta per la liberazione sociale, non solo nazionale.
Le donne che lasciano le case per combattere non lottano solo per l’autodeterminazione del loro popolo, lottano per la loro stessa liberazione.
Esse chiedono alle donne di non stare a casa, di prendere le armi e questo la rende una lotta rivoluzionaria. E se si guarda alla condizione delle donne nel resto del Medio Oriente e alla loro posizione all’interno della lotte che si sviluppano nella regione, risalta ancora di più l’importanza di questa lotta, che è una “rivoluzione di donne” potremmo dire.
Quanto a me è parte del mio lavoro di artista rivoluzionaria dare voce come posso a queste combattenti, e pagarne il prezzo, se occorre.

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