Antifascismo oggi
Proviamo a tenere insieme due
temi che in questi giorni hanno ricevuto molta attenzione – e molte
letture – sul nostro giornale: le ipocrisie criminali sulla “giornata
del ricordo” e l'annunciato show di Diego Fusaro nella tana di
Casapound.
Entrambe riguardano il nodo del fascismo e il modo di “rapportarsi” con quanto di lì proviene: idee, uomini, strutture.
Ci sembra di poter dire che entrambi i
filoni di discussione hanno evidenziato la presenza di un'”area grigia” -
diciamo così – o una “terra di nessuno” nella quale pascolano individui
o gruppi che passano indifferentemenre da un lato all'altro di un
fossato gigantesco costruito dalla Storia nel '900: quello che separa il
campo comunista e persino quello della democrazia liberale dal
nazifascismo. Gente che pretende, soprattutto, di poter esercitare un
“diritto” a frequentare entrambi i campi. “Rosso-bruni”, è giusto
definirli. Con gruppi, siti, giornaletti e argomentazioni; “luoghi”
entro cui uno può entrare da fascista conclamato e uscirne
“ultrasinistro”. Centri di riciclaggio, insomma.
La cosa divertente – diciamo ancora così –
è che anche i fascisti pretendono il “rispetto” dell'identico
“diritto”, usando gli stessi argomenti.
Non è la prima volta che affrontiamo una
situazione del genere. Ricordiamo perfettamente Fausto Bertinotti che,
da presidente della Camera, presenziò a un raduno di Atreju (area
Alleanza Nazionale, prima dell'implosione), Stefano Sansonetti – allora
direttore di Liberazione - andare proprio da Casapound, e altri “sinistri minori” fare aperture simili.
Domanda: questa “disponibilità” è servita
a mutare, anche minimente, ideologia e comportamenti dei vari gruppi
fascisti? A ridurre – non diciamo azzerare – le aggressioni a compagni o
semplici ragazzi che “sembravano” di sinistra?
No.
Quindi ci sfugge, se non altro, l'utilità
“politica” di queste frequentazioni che vorrebbero essere “originali” e
“spiazzanti”, ma che – alla centesima volta – non possono più
pretendere nemmeno questo charme.
Sul piano filosofico, storico, valoriale,
invece, i conti sono stati chiusi dal mondo intero con la Seconda
guerra mondiale; per quanto riguarda l'Italia, con il 25 aprile 1945. Il
fascismo come “male assoluto” non è un'invenzione dei soli comunisti,
né un punto di arrivo recente. Cosa fatta, capo ha. Nessun rimorso,
nessun ripensamento.
Certo, il capitalismo ha resuscitato
sempre – e mantenuto finanziariamente – i fascisti come “carta di
riserva” utilizzabile nella logica della “guerra fredda”. Ma, per
l'appunto, questo ha chiarito ancora meglio la loro natura, il loro
ruolo reazionario e servile e – soprattutto – la loro unica funzione:
l'anticomunismo “manuale”, ovvero manovalanza della “guerra a bassa
intensità”.
Un fossato invalicabile, anche solo per “distrazione”. Chi decide di varcarlo fa dunque un'operazione politica consapevole: quella di moltiplicare i sentieri nella “terra di nessuno”, attraverso cui i fascisti si infiltrano “a sinistra”.
È una constatazione con decenni di esempi
alle spalle, di sigle e simboli comunisti o antimperialisti ripresi e
utilizzati senza alcuna vergogna: “Ordine Nuovo” (il giornale fondato da
Gramsci), “Fronte della gioventù” (i giovani comunisti nella prima metà
del '900), persino “Olp” (un gruppetto che si definiva “nazi-maoista”
capeggiato da Stefano Delle Chiaie, malamente occultato sotto lo stesso
acronimo del movimento palestinese). Si potrebbe andare avanti
all'infinito, con i tentativi di appropriarsi di Rino Gaetano, Corto
Maltese, Bobby Sands, Che Guevara, movimenti di liberazione nazionale
decisamente “di sinistra” (dall'Ira all'Eta), ecc. Ci deve essere un
interruttore, nella testa dei fascisti, che impedisce la formulazione di
un proprio “pantheon” di idee o icone “presentabili”; o perlomeno
alternativo alle maschere d'orrore del loro '900.
I fascisti tentano sempre di infiltrarsi a sinistra. È una costante.
Perché lo fanno?
Per raccogliere informazioni da passare
ai servizi segreti, per organizzare depistaggi criminali (Mario Merlino
ed altri, in occasione della strage di Piazza Fontana), per depotenziare
movimenti antagonisti allo stato nascente (quando la “cultura diffusa” è
ancora scarsa quanto a memoria storica, o debole sul piano teorico).
Per mille altre ragioni che non sempre è possibile decrittare prima, ma
che si rivelano sempre – senza eccezioni – un danno devastante per i
compagni o i gruppi che, più o meno ingenuamente, sono rimasti
“contaminati”.
Con i fascisti non si parla, dunque, perché non c'è nulla da dire; ma soprattutto perché “prevenire è meglio che curare”.
Di questa impostazione metodologica,
nella discussione sulla “giornata del ricordo” e la vicenda delle foibe,
si sono fatti interpreti decine di compagni, intellettuali, gruppi
organizzati, circoli culturali. Su questo giornale abbiamo ospitato
diversi interventi sul tema, e altri vogliamo qui citare perché molto
interessanti (Wu Ming, Senza Soste, Infoaut), scusandoci con tutti gli autori di altri testi che non ci sono capitati sotto gli occhi.
Ci sembra esistere, dunque, un'esigenza
culturale comune – battaglia sulla Storia e battaglia ideale – che
chiede una risposta altrettanto comune. Così come esiste un'esigenza
politica – l'antifascismo come componente permanente nella mobilitazione
di massa – cui non si può realisticamente rispondere “ognun per sé”.
La proposta che avanziamo è dunque semplice e senza carte coperte.
È giunto il momento di avvicinare
capacità, competenze, intelligenze e differenti punti di vista nella
creazione di un ambito unitario di battaglia culturale, storiografica,
filosofica, specificamente antifascista.
È giunto il momento di riappropriarci del
25 Aprile e del Primo Maggio. Resistenza antifascista e movimento dei
lavoratori – di tutte le professioni, sotto ogni tipologia contrattuale,
con o senza occupazione – sono un unico fiume.
Proviamoci.
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