lunedì 15 aprile 2013

pc 15 aprile: IL SOLO TERRORISMO E' L'IMPERIALISMO

Guantanamo raid contro i detenuti in sciopero della fame. Almeno un ferito
I militari Usa sparano "proiettili non letali" nel Campo 6: "Avevano coperto finestre e telecamere, si sottraevano al controllo". I legali e l'Onu denunciano violazioni dei diritti umani. Il presidente Obama ha promesso di chiudere il centro di detenzione per presunti terroristi a Cuba, ma il Congresso lo ostacola. E diverse aziende perderebbero il business dei servizi
E’ sempre più drammatica la situazione nel carcere di Guantanamo. I soldati Usa sono entrati nelle ultime ore negli spazi comuni del Campo 6, dove da settimane decine di detenuti sono in sciopero della fame. Hanno sparato “quattro proiettili non mortali”, secondo la descrizione offerta dalle autorità militari, e quindi sgomberato l’area. I detenuti sono stati condotti nelle rispettive celle, in stato di isolamento, e  gli spazi comuni sono stati chiusi sino a nuovo ordine. Le autorità di Guantanamo hanno giustificato il raid, che avrebbe fatto almeno un ferito, con la necessità di vigilare sui detenuti in sciopero della fame. Questi avrebbero infatti nelle ultime settimane coperto telecamere e finestre del Campo 6, sottraendosi al controllo delle guardie.
Se la speranza di Obama e della sua amministrazione era far dimenticare all’America e al mondo la situazione di Guantanamo, le ultime vicende sembrano aver fatto tramontare ormai definitivamente quella speranza. La settimana scorsa l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navy Pillay, aveva definito il carcere “una chiara violazione del diritto internazionale” e invitato gli Stati Uniti a rispettare “le leggi internazionali e gli standard legali”. Un’ispezione della Croce Rossa Internazionale, conclusa sabato 13 aprile, ha evidenziato elementi “di preoccupazione”, tanto da rendere necessario un ritorno dei medici della Croce Rossa nel carcere nelle prossime settimane. Soprattutto, non è dato prevedere quando cesserà lo sciopero della fame di decine di prigionieri: 43, secondo le autorità della prigione; molti di più, sino a 130, sui 166 detenuti che ancora si trovano a Guantanamo, secondo gli avvocati dei detenuti stessi.
Le ragioni del clamoroso sciopero collettivo sono state spiegate nei giorni scorsi da Jason Wright, uno degli avvocati d’ufficio assegnati ai detenuti. Wright parla di “condizioni di vita terribili”, anche nel Campo 6, con celle ghiacciate e accesso alle aree di ricreazione negato ai detenuti. Negli ultimi tempi ci sarebbe stata anche una stretta da parte delle guardie carcerarie, con frequenti perquisizioni alla ricerca di oggetti di contrabbando. Durante queste perquisizioni, secondo Wright, sarebbero state “profanate copie del Corano”, dove gli agenti pensavano di trovare materiale di contrabbando. “Ma i musulmani non nasconderebbero mai nulla nel Libro Sacro”, ha spiegato Wright.
Un’altra ragione della protesta starebbe nella decisione delle autorità della prigione di negare acqua in bottiglia ad alcuni detenuti per almeno tre giorni. I detenuti, tra cui Musaab al-Madhwani, cittadino yemenita, sarebbero stati invitati a bere l’acqua del rubinetto dei bagni, notoriamente non potabile. Alle condizioni di vita precarie, si aggiunge il senso di frustrazione per una detenzione indefinita, spesso senza che sia stata formalizzata alcuna accusa. Una task-force del Dipartimento alla Sicurezza Nazionale ha da tempo chiesto il trasferimento e la liberazione per decine di detenuti, che restano però ancora in carcere.
Le autorità americane hanno sinora respinto le accuse relative alle condizioni di vita a Guantanamo. Robert Durand, direttore dei Public Affairs della prigione, ha detto che lo sciopero della fame cerca di guadagnare ai detenuti simpatia e appoggi internazionali, aggiungendo che “i detenuti del Campo 6 vivono in un ambiente comunitario. Non sono chiusi nelle loro celle la notte. Hanno la TV satellitare, videogames, lettori Dvd e la stampa internazionale”. Secondo Durand, “gran parte delle perquisizioni del Corano” non sono state condotte dalla guardie carcerarie, ma affidate agli interpreti, che sono sempre musulmani. Da parte sua la Casa Bianca ha spiegato di “monitorare da vicino la situazione”, senza aggiungere altro.
Il caso Guantanamo resta comunque estremamente spinoso per l’amministrazione. Uno dei primi atti da presidente di Obama, nel 2008, fu la promessa chiusura di Guantanamo, che però non è mai arrivata per la riluttanza del Congresso a spostare sul suolo americano decine di prigionieri accusati di terrorismo. Molti di questi, accusati di nulla, non possono neppure essere rimandati nei Paesi d’origine, per timore che vi subiscano torture e maltrattamenti. Il “carcere della vergogna” è quindi rimasto un imbarazzo e un peso politico per Barack Obama, obiettivo delle critiche sia dei gruppi per i diritti umani sia dei repubblicani, che lo considerano troppo “debole” sulla questione del terrorismo.
La speranza di Obama e della autorità militari di Guantanamo, a questo punto, è che lo sgombero degli spazi comuni e l’isolamento dei prigionieri in celle singole fiacchi la loro resistenza e li spinga ad accettare il cibo. Anche perché, a dispetto delle condanne internazionali e delle sempre più drammatiche condizioni di vita e tensioni interne, Guantanamo non è destinato a chiudere nel breve periodo. Il Pentagono ha autorizzato alcuni giorni fa lo stanziamento di 49 milioni di dollari in nuovi fondi per costruire un altro edificio detentivo sull’isola. Dovrà ospitare 106 prigionieri, anche se il numero non è ancora certo. Una delle ragioni per continuare a versare denaro pubblico in una struttura che il presidente degli Stati Uniti aveva detto di voler chiudere 5 anni fa sembrano essere soprattutto le aziende private che hanno in carico gran parte dei servizi della prigione: sorveglianza, manutenzione, edilizia, forniture alimentari, sanitarie e di abbigliamento. Per questo mondo di “private contractors” la chiusura di Gitmo significherebbe la chiusura di sostanziosi contratti con il governo federale.


DAGLI USA A ISRAELE A TUTTO IL MONDO



Arrivato ad un passo dalla morte, il prigioniero politico palestinese Issawi si rivolge agli intellettuali israeliani e li sferza. Oggi una prima, seppur debole risposta da parte di alcuni scrittori.
Qualcuno lo chiama il 'Bobby Sands palestinese', rievocando il guerrigliero irlandese lasciatosi morire in una galera britannica nel 1981 nel corso di un duro braccio di ferro con il governo coloniale britannico. ''Sono lo spettro che resterà con voi, che non andrà via'' ha scritto dall'ospedale Kaplan (Rehovot) di Israele Samer Issawi, 44 anni, un combattente del Fronte democratico per la liberazione della Palestina, una delle organizzazioni marxiste della resistenza palestinese. ''Venite a trovarmi, a vedere uno scheletro legato al letto di ospedale, circondato da tre guardiani esausti'', stupiti - nota - nel vedere quel corpo ancora in vita.
E oggi alcuni intellettuali israeliani di fama internazionale - fra cui Amos Oz e A.B. Yehoshua - prendono a loro volta la penna in mano per implorarlo di ''non commettere un suicidio''. Un esito estremo che - affermano - coprirebbe di ''vergogna'' lo Stato ebraico e accrescerebbe soltanto la disperazione fra quanti, in entrambi i popoli, si ostinano a cercare la pace. Nessuna critica però alla politica di annichilimento che Israele adotta contro i palestinesi nella risposta degli scrittori israeliani.
Nel 2002 Issawi fu riconosciuto colpevole da un tribunale d'occupazione israeliano di aver partecipato a ripetuti attacchi contro veicoli militari israeliani in transito in Cisgiordania, e di aver confezionato ordigni. Condannato a 26 anni di detenzione, é tornato in libertà nel 2011, grazie allo scambio di prigionieri concordato con Hamas per il rilascio del caporale Ghilad Shalit. Riacquistata la libertà, Issawi aveva fatto molti progetti, racconta. Voleva voltare pagina, studiare, sposarsi. Ma nel luglio 2012 é stato nuovamente arrestato. Formalmente, per una infrazione tecnica alle limitazioni di spostamento imposte dal tribunale alla sua liberazione. Nel frattempo nessuna ulteriore udienza, nessun processo. A quel punto Issawi ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame a oltranza. ''Io sono Samer Issawi - scrive con fierezza - l' 'Arabush' '', un termine ebraico con valore spregiativo nei confronti degli arabi. ''Il mio nobile spirito vi dichiara disobbedienza. Forse un giorno comprenderete che la consapevolezza di libertà supera la consapevolezza della morte'', avverte. Israele, secondo la stampa, gli ha offerto alla fine d'essere scarcerato e confinato a Gaza, o di esiliarsi in qualche paese dell'Unione Europea. Di togliersi di mezzo. Ma lui non si piega e replica: ''Non accetterò di essere espulso dalla mia terra''. Nella lettera agli intellettuali si chiede sbigottito come mai essi non abbiano, in questi mesi, fatto sentire la loro voce. E il suo grido, rilanciato da Haaretz col titolo 'Lettera da uno spettro', ha effettivamente scosso scrittori ed accademici che oggi pubblicano a loro volta con ''un appello e una protesta''.
''La sua morte - sentenziano all'unisono figure come gli scrittori Yoram Kanyuk e Sami Michael, lo storico della Shoah Yehuda Bauer, l'ex presidente della Knesset Avraham Burg, o il politologo Zeev Sternhell - sarebbe una vergogna per Israele. Esprimiamo tutto il nostro disgusto''. Una presa di posizione che non si può certo definire coraggiosa. Nell'Inghilterra della Thatcher furono molti di più e coraggiosi gli intellettuali che si schierarono contro il loro governo e a difesa dei diritti dei prigionieri politici irlandesi.
Solo una scrittrice, Ilana Hamerman, ha anche cercato di raccogliere l'invito di Issawi e di visitarlo in ospedale. Muovendosi di soppiatto é riuscita oggi a entrare: ma é stata subito scoperta e trascinata via a forza dagli aguzzini Israeliani. Chi sa se si vergognano anche di questo i suoi colleghi Oz e Yehoshua...




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