Gli ex operai della
Marlane-Marzotto di Praia a Mare, in provincia di Cosenza, continuano a morire
per gli effetti dell’amianto, ma il processo va a rilento. Iniziato
ufficialmente il 19 aprile 2011, a causa di errori di notifica
degli atti e legittimi impedimenti invocati dagli avvocati della difesa, ha
subito 5 rinvii in soli 10 mesi. Lo scorso 8 giugno il giudice ha accolto la
richiesta dei Pm di una perizia suppletiva sulle cause dei decessi. La nuova
udienza è fissata per domani.
19 luglio 2012 -
17:30
COSENZA – Un
enorme scheletro di amianto, circondato da ammassi di ferraglia arrugginita e
carcasse di auto abbandonate. Alle spalle il cimitero, di fronte la ferrovia,
poi la strada provinciale. Tutt’intorno campi verdi, forse ancora coltivati. Si presenta così
l’ex stabilimento tessile Marlane-Marzotto di Praia a Mare (Cosenza), una
struttura dove ancora oggi i tetti sono in amianto, nonostante la fabbrica sia
dismessa ormai dal 2004.
La
chiusura della struttura risale a 8 anni fa,
quando la produzione venne spostata in Repubblica Ceca. Marlane oggi significa
soprattutto amianto, di cui è ricoperto da cima a fondo quello stesso capannone
che negli anni ’60 impiegava circa 400 operai. Da qui venivano prodotte
lenzuola, tovaglie e fazzoletti distribuiti in tutta Italia. Al momento però la
fabbrica, situata quasi al centro di Praia a Mare, è totalmente abbandonata. E
oggi non si parla più di tovaglie e lenzuola, ma di processi e
udienze.
Le
decine di decessi per tumore di ex dipendenti dello stabilimento tessile hanno
portato all’apertura di tre diversi filoni di indagine, il primo dei quali
risale al 1999. Successivamente sono state aperte altre due inchieste, la prima
nel 2006 e la seconda nel 2007. Infine le inchieste sono confluite nel processo
attualmente in corso nel Tribunale di Paola (Cosenza), che vede 15 ex dirigenti
e tecnici (due dei quali nel frattempo deceduti), rinviati a giudizio per
omicidio colposo plurimo e disastro ambientale.
Proprio
come all’Eternit di Casale Monferrato,
alla Marlane gli operai lavoravano a stretto contatto con l’amianto, che si
sprigionava dai freni delle macchine e si diffondeva sugli altri impianti.
Infatti, come hanno più volte affermato le associazioni dei parenti delle
vittime, la sottile polverina del materiale cancerogeno veniva spazzata via con
una pistola ad aria compressa, che però spargeva i frammenti dappertutto. Ma a
Praia non c’era solo l’amianto. Nello stabilimento Marlane è stato rinvenuto
anche il cromo esavalente, causa prima di leucemie e altri tipi di
tumori.
Lo
stabilimento venne rilevato nel 1987 dai
Marzotto, storica famiglia di industriali
veneti. Conosciuti nel vicentino per la loro attività tessile, l’anno scorso
hanno festeggiato i 175 anni di attività, con un fatturato di 316 milioni di
euro e oltre 4mila dipendenti. Oggi però, due persone chiave del Gruppo, Pietro
Marzotto e Antonio Favrin, sono coinvolte nel processo di Paola per la morte di
oltre 80 ex lavoratori dello stabilimento di loro proprietà a Praia a Mare e per
altri 60 operai oggi malati di tumore, dopo aver lavorato per anni nella stessa
fabbrica.
L’inchiesta
principale è durata dieci anni ed è stata
coordinata dal procuratore Bruno Giordano (lo
stesso che istruì l’indagine sulle navi dei veleni). Nell’ottobre 2009 vennero
chiuse le indagini e nel Novembre 2010 furono rinviate a giudizio 15 persone tra
ex funzionari e dirigenti dello stabilimento, chiuso dal 2004. Il processo è
cominciato ufficialmente il 19 aprile 2011 a Paola, ma – a causa di errori
di notifica degli atti e legittimi impedimenti invocati dagli avvocati della
difesa – ha subito ben 5 rinvii in soli 10 mesi.
Del
collegio difensivo fa parte anche l’onorevole-avvocato Niccolò
Ghedini, noto legale dell’ex Premier Silvio Berlusconi. Nell'udienza dello
scorso 8 giugno è stata disposta una nuova perizia tecnica dello stabilimento
della fabbrica Marlane-Marzotto, ormai dismessa nel 2004. Il giudice ha accolto
la richiesta del pm Bruno Giordano in merito alla necessità di predisporre una
perizia suppletiva, in grado di accertare meglio le cause delle morti che
continuano a verificarsi tra ex dipendenti ed operai dello stabilimento, e che
potrebbero essere collegate alla loro attività all'interno della fabbrica. La
nuova udienza è stata fissata per domani.
Durante
un’udienza dello scorso ottobre, nella quale
stava per essere fissato l’ennesimo rinvio, la seduta venne interrotta dalla
notizia della morte per tumore di Franco Morelli, 70enne ex impiegato del
reparto filatura della Marlane, entrato come operaio ed uscito come
caporeparto.
Tra
gli imputati risulta anche l’attuale sindaco di Praia a
Mare Carlo Lomonaco del Pdl, accusato
di omicidio colposo plurimo e disastro ambientale, per aver ricoperto la carica
di responsabile del reparto tintoria e dell’impianto di depurazione dal 1973 al
1988. Lomonaco è imputato anche in qualità di responsabile della fabbrica dal
2000 al 2003.
Paradossalmente
il 28 marzo 2011 il Comune di Praia a Mare ha deciso di costituirsi parte
civile nel processo in corso di svolgimento presso il tribunale di Paola. In
pratica la Giunta ha votato a favore di un provvedimento che, all’interno dello
stesso processo, vedrà l’amministrazione comunale contrapposta al sindaco
imputato.
A
parte il sindaco Lomonaco, Pietro Marzotto e Antonio
Favrin, gli altri imputati sono:
Silvano Storer, Vincenzo Benincasa,
Attilio Rausse, Ernesto Fugazzola, Salvatore Cristallino, Giuseppe Ferrari, Jean
De Jaegher, Lamberto Priori e Lorenzo Bosetti. Tutti gli imputati sono accusati
di omesso controllo sulla sicurezza all’interno dell’ ex fabbrica dei Marzotto,
mentre alcuni di loro sono chiamati a rispondere anche di delitto e omicidio
colposo.
Pietro
Marzotto gestisce ancora direttamente le
fabbriche e i dipendenti dell’ omonimo
Gruppo, Favrin è vicepresidente vicario di Confindustria Veneto, Storer è stato
dirigente di marchi importanti come Benetton e De Jaegher è consigliere di Hugo
Boss e Zucchi. E’ quello che riportano Francesco Cirillo, Giulia Zanfino e Luigi
Pacchiano nel libro Marlane: la fabbrica dei
veleni (editore Coessenza). Inoltre, gli autori scrivono
nel libro che Calabria e Sicilia non hanno ancora fornito una mappatura del
rischio amianto all’interno dei loro territori.
A
parte il quotidiano Il
Manifesto, che ha seguito spesso la vicenda
dell’ex stabilimento tessile di Praia a Mare, il processo per le decine di morti
di ex operai della fabbrica del cosentino è stato ignorato dai media nazionali,
probabilmente anche a seguito dei numerosi rinvii del dibattimento. Tuttavia
Praia a Mare arriva dopo Casale Monferrato, quasi a voler ricordare che la
storia dei processi per amianto in Italia è ancora tutta da scrivere e da
seguire.
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