Lo stato italiano ha deciso la strada della
vendetta. Per chi ancora crede che la parola giustizia significhi
qualcosa nei tribunali dei nostri paesi, sarà dura da mandar giù la
sentenza che prevede condanne durissime per 10 persone coinvolte nelle
giornate della contestazione al G8 di Genova nel 2001. 10 persone
pescate nel mucchio e punite perché bisogna mandare un messaggio a
quanti nel 2001 avevano fatto delle giornate del G8 un momento di una
più generale lotta internazionale per cambiare questo sistema fradicio
in cui viviamo. Ma è un monito anche per chi lotta oggi, che forse a
Genova non c’era e che magari era troppo piccolo anche per capire cosa
stesse accadendo. “Non osate intralciare i nostri piani”, “Dovete solo stare buoni e mettere una scheda in un’urna ogni volta che ve lo diciamo” – questi sono i messaggi impliciti che escono dalle aule dei tribunali.
Che fanno il paio con la mancanza sostanziale di
condanne per i torturatori della Diaz, per quell’apparato repressivo
dello stato democratico che fece venire a mente a molti testimoni ed
osservatori la repressione della dittatura di Pinochet in Cile contro
gli oppositori politici. E scriviamo nessuna condanna perché – se ci si
pensa – è assurdo che rompere una vetrina con una pietra costi 10 anni e
più di prigione, mentre spaccare la testa ad un giovane che sta
dormendo sia punito con la semplice interdizione dai pubblici uffici.
E allora ben vengano, in un momento difficile come
questo, i messaggi di solidarietà, ai condannati in primis. Perché sono
nostri fratelli e sorelle. I tifosi del St. Pauli, squadra tedesca, sono
tra quanti ne hanno fatto mostra. Gli striscioni che hanno esposto
durante un’amichevole col Babelsberg riflettono quello che anche noi
vorremmo in questo momento:
TUTTE/I LIBERE/I!
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