Brescia, i giudici condannano a futura memoria: la strage la fec
(umt) Al tg3 lombardo delle 19.30 di ieri, 19 luglio, il presidente
della Casa della Memoria di Brescia, Manlio Milani ha commentato la
sentenza sulla strage di piazza della Loggia, dopo averla letta e
riletta con gli avvocati. Una sentenza pesante perché - sulla falsariga
della celebre pronuncia della Cassazione che dichiarò colpevoli per
piazza Fontana gli improcessabili Freda e Ventura (perché già assolti
definitivamente per lo stesso reato) - la corte d'assise d'appello di
Brescia ha condannato tre morti (Soffiati, Digilio, Buzzi), ha affermato
la matrice nella strage di Ordine nuovo veneto, ha puntato il dito sui
depistaggi che non hanno permesso l'individuazione dei colpevoli prima
della strage dell'Italicus.
Per il Corriere della Sera, invece, i condannati a futura memoria sono due: "Se fossero ancora vivi - ha scritto qualche giorno fa Mara Rodella - sarebbero gli unici su cui peserebbe una condanna all'ergastolo. E Brescia, 38 anni dopo, potrebbe scrivere due nomi alla voce «colpevoli» per la strage di piazza della Loggia che il 28 maggio del 1974 uccise otto persone e ne ferì 102. Per i giudici della corte d'assise d'appello - presieduta da Enzo Platè - Carlo Digilio (ex agente della Cia) e Marcello Soffiati, entrambi ordinovisti veneti, hanno giocato un ruolo cruciale nell'organizzazione dell'attentato. Hanno operato rispettivamente come artificiere e fattorino della bomba destinata a Brescia. Le conclusioni emergono nelle 600 pagine di motivazioni della sentenza (giudice relatore Massimo Vacchiano) che lo scorso 14 aprile ha assolto Carlo Maria Maggi, medico mestrino a capo di On nel Triveneto (per l'accusa la mente della strage), Delfo Zorzi (a capo della cellula di Mestre), Francesco Delfino (ex generale dei carabinieri) e Maurizio Tramonte (alias «fonte Tritone» dei servizi segreti). L'epilogo dibattimentale conclude - per ora - una vicenda giudiziaria che conta cinque istruttorie e otto fasi di giudizio. L'ultimo capitolo segna a suo modo una svolta storica riannodando anche le trame delle inchieste precedenti".
Per Marco Toresini "i giudici della Corte d'assise d'appello non si sono limitati, come avevano fatto i colleghi di primo grado, a buttare a mare le contraddizioni di un'indagine, ma hanno voluto offrire un contributo alla lettura di quegli eventi armati di ago e filo per cucire assieme storie separate solo da una finzione dettata da necessità processuali (gli ordinovisti veneti a confezionare l'ordigno, i milanesi ad appoggiare l'azione e il bresciano Buzzi a far da basista). Una scelta che farà discutere (i protagonisti della nuova verità, da Digilio a Buzzi, sono morti). Una opzione che dice, però, una cosa importante: la verità era a un soffio già nel 1974. Tanto prossima che l'interrogativo di sempre brucia ancora di più: chi lavorò per renderla inafferrabile?"
Per il Corriere della Sera, invece, i condannati a futura memoria sono due: "Se fossero ancora vivi - ha scritto qualche giorno fa Mara Rodella - sarebbero gli unici su cui peserebbe una condanna all'ergastolo. E Brescia, 38 anni dopo, potrebbe scrivere due nomi alla voce «colpevoli» per la strage di piazza della Loggia che il 28 maggio del 1974 uccise otto persone e ne ferì 102. Per i giudici della corte d'assise d'appello - presieduta da Enzo Platè - Carlo Digilio (ex agente della Cia) e Marcello Soffiati, entrambi ordinovisti veneti, hanno giocato un ruolo cruciale nell'organizzazione dell'attentato. Hanno operato rispettivamente come artificiere e fattorino della bomba destinata a Brescia. Le conclusioni emergono nelle 600 pagine di motivazioni della sentenza (giudice relatore Massimo Vacchiano) che lo scorso 14 aprile ha assolto Carlo Maria Maggi, medico mestrino a capo di On nel Triveneto (per l'accusa la mente della strage), Delfo Zorzi (a capo della cellula di Mestre), Francesco Delfino (ex generale dei carabinieri) e Maurizio Tramonte (alias «fonte Tritone» dei servizi segreti). L'epilogo dibattimentale conclude - per ora - una vicenda giudiziaria che conta cinque istruttorie e otto fasi di giudizio. L'ultimo capitolo segna a suo modo una svolta storica riannodando anche le trame delle inchieste precedenti".
Per Marco Toresini "i giudici della Corte d'assise d'appello non si sono limitati, come avevano fatto i colleghi di primo grado, a buttare a mare le contraddizioni di un'indagine, ma hanno voluto offrire un contributo alla lettura di quegli eventi armati di ago e filo per cucire assieme storie separate solo da una finzione dettata da necessità processuali (gli ordinovisti veneti a confezionare l'ordigno, i milanesi ad appoggiare l'azione e il bresciano Buzzi a far da basista). Una scelta che farà discutere (i protagonisti della nuova verità, da Digilio a Buzzi, sono morti). Una opzione che dice, però, una cosa importante: la verità era a un soffio già nel 1974. Tanto prossima che l'interrogativo di sempre brucia ancora di più: chi lavorò per renderla inafferrabile?"
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