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Trascrizione dell'audio del 26 maggio - 9
Morti sul lavoro - Occupazione della RAI - Il fascismo delle forze dell'ordine - sulle lotte dei lavoratori - Questo 2 giugno - Gli studenti e le tende - Non dimentichiamo Cutro
Questa mattina cominciamo con le morti sul lavoro
Due lavoratori sono morti ieri a Monopoli, lavoravano per una ditta di Conversano, in un lavoro di ristrutturazione delle fogne e degli impianti in questa città. Avevano 63
anni uno e l'altro 64 anni. Sono stati seppelliti vivi dalla caduta di un detrito ed è stato inutile ogni tentativo per salvarli. Uno di loro era a un anno dalla pensione, l'altro aveva ancora qualche anno di lavoro. Erano lavoratori conosciuti dai loro concittadini come gente che non si tirava mai indietro e di quel tipo di lavoro avevano una certa esperienza. Ma avevano 63 e 64 anni! Era un lavoro faticoso, un lavoro che di solito viene considerato usurante
Per portare il pane a casa sono stati seppelliti vivi dalla logica degli appalti al massimo ribasso, dalla logica della mancanza di controllo sulla salute e sicurezza, dalla logica che uccide! Perché il capitalismo uccide, le leggi del capitalismo uccidono, i padroni uccidono, le amministrazioni
comunali uccidono.Il crimine legalizzato è quotidiano, pagato con la pelle dei lavoratori. Avevano moglie e figli. Le condoglianze, i saluti delle istituzioni sono pure ipocrisia! Voi siete complici!
Ma di morti sul lavoro nella giornata di ieri ci sono state altre. I numeri delle morti sul lavoro in Italia - e anche nella regione dove sono morti questi lavoratori - sono crescenti. E la morte sul lavoro colpisce lavoratori giovani come lavoratori anziani, colpisce lavoratori italiani e, molto, molto spesso, lavoratori stranieri, colpisce uomini e, in alcuni casi, donne lavoratrici.
Nocivo non è il lavoro in sé, nocivo è il capitalismo che uccide, nocivi sono le leggi che i governi fanno per questo, nocivi sono le organizzazioni sindacali che non tutelano i diritti dei lavoratori.
Sui confederali mettiamoci una pietra sopra. Le loro chiacchiere inutili, le loro manifestazioni di cordoglio, le loro promesse, sono senza senso e corrispondono a una crescente perdita di vite umane, perché se firmi accordi di merda, se non difendi il salario, se non difendi il lavoro precario, è chiaro che il lavoro sotto il Capitale uccide.
Ci vuole per questo, da sempre, una Rete Nazionale per la sicurezza, una sorta di “braccio armato” del movimento dei lavoratori che trasformi ogni morte in questione nazionale, mobilitando non solo i lavoratori ma anche le loro famiglie, mobilitando tutti coloro che denunciano, tecnici, ispettori eccetera, mobilitando tutti in un braccio di ferro e attaccando le cause immediate di queste morti così come le cause strategiche. E invece niente di tutto questo! Siamo solo noi e alcuni ben intenzionati del movimento sindacale e di altre associazioni che si occupano di questo.
Ma come se ne occupano? Per favore, non è che la vita di Cospito vale di più di quella di un operaio, e, giustamente, alla vita di Cospito si è opposto un movimento quotidiano di scontro con lo Stato. Perché la morte dei lavoratori non ha lo stesso risalto? perché le forme di lotta devono essere sempre le stesse, tradizionali, anche quando vengono dettati all'insegna di “mai più, basta morti sul lavoro”?
“Basta morte sul lavoro” significa guerra, guerra non condoglianze, basta morte sul lavoro non significa retorica sulle morti sul lavoro ma sempre - e solo – guerra, guerra di classe.
La guerra, l'odio di classe, sono la forza motrice della lotta sociale e politica in questo paese.
L'occupazione della RAI
Questo paese si scontra con un governo, un governo dei padroni come i precedenti. Ma nessun governo aveva mai detto così esplicitamente che la sua logica è quella di difendere i padroni. E questo nessuno lo può negare, né a destra né a sinistra e né nel movimento sindacale di classe: il governo Meloni non è un governo come tutti gli altri.
Ai governi che “non sono come tutti gli altri” si oppone una lotta che non è come tutte le altre. E su questo sembriamo dei predicatori nel deserto, nel deserto del movimento operaio e popolare in generale, nel movimento di classe a sinistra fuori dal Parlamento, nel movimento politico.
La Meloni ha occupato - e sta occupando - la Rai così come tutte le istituzioni. Si tratta di un'occupazione militare, di una sostituzione di giornalisti - senz'altro nominati dai precedenti governi e collegati storicamente anch'essi all’informazioni di Stato e all'informazione della classe dominante - ma una cosa è la normalità della democrazia borghese, un'altra cosa è l'ostentazione dell'occupazione come giusta e necessaria, una cosa sono i professionisti che non sanno rompere con i partiti di appartenenza e una cosa sono fascisti che occupano le sedi pubbliche.
Quando si occupa, alla maniera del governo Meloni, la RAI, si tratta un “colpo di Stato”, si tratta di un uso dello Stato al servizio di una dittatura aperta. La differenza tra la normalità della democrazia borghese nell'occupazione dell'informazione e mettere i propri uomini in maniera ostentata - non certo per valori professionali neanche lontanamente difendibili - nelle sedi Rai. Con un doppio scopo: quello di rendere l'informazione al servizio di una dittatura aperta e quello di favorire i grandi affari sulle informazioni; perché evidentemente la Rai nelle mani di questi personaggi nominati recentemente - che si fa fatica a scriverne un curriculum - significa una Rai depotenziata e quindi tutto il potere a Mediaset, tutto il potere alle televisioni nelle mani delle grandi multinazionali. Quindi peggio di Berlusconi. Anche Berlusconi fece lo stesso, ma questo governo è peggio di Berlusconi.
E tutto questo non può passare sotto silenzio! tutto questo richiede una reazione adeguata e contraria. “Adeguata e contraria” significa non rendere pacifica la lotta, la controinformazione, la denuncia, non rendere pacifica la lotta contro tutto questo.
“Non rendere pacifica la lotta” si può dire che sia il messaggio principale che noi facciamo su tutti i fronti. Su tutti i fronti questo governo marcia verso il moderno fascismo, verso la dittatura aperta: lo fa in maniera dichiarata e non bisogna far finta di non capire o nascondere la testa nel sacco.
Esprimiamo la piena solidarietà al professor Canfora che è stato querelato dalla Meloni per aver parlato di Meloni neonazista. Non lo ha fatto ora che questa è al governo, lo ha fatto quando la stessa era all'opposizione e non lo ha fatto certo facendo esplicitamente il nome e cognome della Meloni. Ma il professor Canfora ha ragione. Meloni forse come background sembra tutto tranne che uno coi baffetti alla Hitler ma, sicuramente, tutta quella ciurma, tutta quella lurida ghenga familiare e politica che la circonda, ha un ampio pedigree di legami con l'estrema destra nazista, viene da lì, viene da tutto quello che sa di feccia, di fogna in questo paese, che ha potuto nascondersi con l'ausilio di una legge elettorale truffa e ha potuto diventare governo del paese.
Così siamo solidali alle centomila firme raccolte per le dimissioni di quell'altro lurido personaggio posto a capo delle istituzioni come seconda carica dello Stato, rappresentato da La Russa. Centomila firme non sono poche. Ma è chiaro che non è con le firme che cacceremo La Russa.
Il fascismo non si caccia con le firme, i fascisti non vanno a casa perchè qualcuno non li vota o perché qualcuno mette una firma contro. I fascisti vanno a casa come ci hanno insegnato i Partigiani: con la lotta aperta, il coraggio, l'opposizione, la disobbedienza civile e la lotta armata. Senza lotta armata il fascismo non va via dal potere. Se questo governo consoliderà la sua strada moderno fascista, di dittatura aperta, la lotta armata è la risposta democratica, di massa, antifascista, rispettosa della Costituzione che questo paese ha necessità di intraprendere.
Il fascismo delle forze dell'ordine
È inutile dire che l'occupazione dello Stato alimenta tutto il fascismo delle forze dell'ordine.
Su questo due testimonianze su due clamorosi casi sulla stampa: quello della transessuale picchiata da vigili vili - perché in divisa sono soprattutto i vigliacchi che ci vanno, gente che si arroga in quanto ha una divisa di poter fare tutto quello che gli pare, di stimolare i loro bassi istinti e colpire persone indifese.
Era avvenuto anche recentemente verso un lavoratore a Taranto, siamo stati soli a denunciarli. Nessuno di quei vigili a Taranto è stato, per ora, sospeso, l'assessore li ha difesi e il sindaco sostanzialmente ha fatto uguale. E questa gente in giacca e cravatta pretende di presentarsi come rappresentante della comunità! Così come chiaramente non abbiamo alcuna fiducia nelle inchieste contro questi vigili a Milano.
Che dire poi dei Carabinieri? abbiamo visto il video di ieri: ma il problema non è parlarne, è comprendere che alla violenza di Stato c'è una sola risposta: la denuncia, la mobilitazione di massa e la violenza proletaria.
La violenza proletaria è un fattore - ripetiamo - di civiltà, di giustizia, di riequilibrio della forza e non essere per la violenza proletaria, nascondersi dietro il dito delle parole, temere la repressione per questo è una delle forme della vigliaccheria politica che portano i fascisti al potere.
La situazione dei lavoratori. Ma sulla lotta da fare ancora non ci siamo
E le masse? le masse lottano, vorrebbero lottare, ogni giorno pagano sulla propria pelle e non diciamo quando pagano con la vita, con la distruzione, come nell'alluvione - su questo abbiamo già parlato e continueremo a parlarne in ogni caso.
Noi parliamo della violenza economica dei bassi salari, della violenza economica dello sfruttamento e della disoccupazione: contro questo è chiaro che salutiamo tutte le lotte. Oggi sciopera l'USB, domani c'è un manifestazione a difesa del reddito nella città di Roma. Due manifestazioni che condividiamo.
Sul salario ne abbiamo parlato da sempre. Noi saremo anche un piccolo gruppo che guida un piccolo sindacato ma siamo da sempre coloro che dicono che il salario è centrale, il salario è politico, l'attacco ai salari è il cuore delle leggi del Capitale esercitate dentro la crisi. La lotta sul salario è, quindi, centrale, senza la lotta sul salario non si difendono le condizioni di vita dei lavoratori.
Ma come si fa la lotta per il salario? si fa sui posti di lavoro, con gli scioperi alla francese o, per non andare molto lontano, come gli scioperi recenti a Pomigliano, con gli scioperi selvaggi. Operai che prendono nelle mani la questione che non ce la fanno più e si fermano, senza permesso di sindacati, con la copertura eventualmente dei sindacati. Questo permette di aprire una nuova stagione degli scioperi sul salario.
Ma su questo è lontanissima questa logica dall’USB e dal suo sciopero. L'USB non è sostenitrice degli scioperi selvaggi ma degli scioperi “ben organizzati” di un settore, autoreferenziali dei lavoratori.
L'USB è il sindacato di base più forte numericamente, esistente in questo paese. Ma la lotta sindacale, pur necessaria, condotta in queste forme, ci insegna Lenin, non è in grado, nella crisi, di difendere le condizioni di lavoro. Serve la lotta sindacale come lotta selvaggia e serve la lotta politica per rimuovere le cause che originano la condizione operaia sul salario. L'USB ha tutt’altra intenzione.
E quindi per questo sosteniamo i lavoratori in sciopero oggi ma bisogna seguire decisamente un'altra strada.
Chiaramente di “quest'altra strada” le gambe sono principalmente le organizzazioni sindacali che hanno rotto con CGIL CISL UIL.
L'unità delle organizzazioni sindacali di base e di classe è una fondamentale necessità, servirebbe una federazione, un sindacato unico, una normalità di questa unità. Ma in questa unità prevale il ceto politico che dirige i sindacati di base, e si tratta di ceto politico anche quando si maschera di autonomia, di appartenenze politiche anche all'estrema sinistra ma che non ha a cuore gli interessi generali dei lavoratori ma gli interessi particolari della forza che organizza. Questo significa diventare non la soluzione del problema ma parte della causa.
Serve lo sciopero selvaggio, serve l’unità sindacale di classe, serve lo sciopero generale (alla francese?)
Ma come ci si arriva? E questo è il punto.
Nessuno di noi può dire di avere la verità in tasca ma la sincerità di dire le cose la deve avere, non travestita dall'ipocrisia che caratterizza anche i dirigenti del sindacalismo di base.
Questo 2 giugno
Diciamo tutti i giorni alcune cose, non tutte le cose, ma bisogna ripetere, ripeterle, non staccarsi mai di ripeterle finché le parole si trasformino in fatti, finché una linea, una teoria, una visione, un'analisi, diventi carne e sangue di un movimento reale: è questo che trasforma le parole in fatti e i fatti verificano le parole.
L'Italia è in guerra e il 2 giugno si celebra la festa della Repubblica. Una Repubblica fondata su una Costituzione ipocrita, certo non nell'intenzione di chi anni fa l’ha redatta che, casomai, fu principalmente conciliante con le frazioni borghesi, eredi della Resistenza che sostituivano il fascismo.
Ma l'articolo 11 ci dice che l'Italia ripudia la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali ed è una Costituzione avanzata su questo punto. Ma in questi anni non c'è un articolo più violato dai Presidenti della Repubblica. La lurida ipocrisia dei “Re Travicello” che sono Presidenti della Repubblica, che si credono rappresentanti del paese e poi servono il governo di turno, il potere di turno. Evidentemente fa parte delle pagine nere della storia di questo paese e su questo il silenzio è complicità.
Che dire dell'articolo 1? Una Repubblica fondata sul lavoro - e tutti vediamo come il lavoro sia la prima preoccupazione di milioni di proletari, di milioni di disoccupati, di precari, di milioni di operai che vedono il loro lavoro messo sempre in discussione. Operai che, se messi in moto sarebbero una forza potente. Ma non sono messi in moto.
Solo la messa in moto della classe operaia è in grado di mettere in discussione e rappresentare l'altra Repubblica, la Repubblica dei lavoratori, delle masse sfruttate, l'altro potere, perché senza il potere le masse non hanno nulla e il potere si conquista con la Rivoluzione.
Anche il 2 Giugno dobbiamo affermarlo.
Gli studenti e loro tende
che fine hanno fatto? Abbiamo auspicato che le tende aprissero una nuova stagione del movimento degli studenti, ma le tende non possono esistere solo quando la stampa ne parla, non possono solo servire a energie oneste per alzare la testa. O le tende sono centro di organizzazione di lotta del movimento dei giovani, degli studenti, oppure fanno parte del panorama obbligato di una società come quella italiana. Eppure gli studenti con la loro lotta hanno messo in luce un problema chiave: il diritto allo studio, il caro affitti, hanno aperto una grande vertenza sociale. Che, però, è frenata dalla loro limitata coscienza generale e dall'inutile sostegno delle forze che sono andate a “mettere i cappelli” con un paternalismo peloso.
La verità è altra: le tende o sono un anello del “è giusto ribellarsi” che continua oppure, purtroppo, sono l'ennesima testimonianza del nulla.
Non dimentichiamo Cutro
Salutiamo con favore quello che il quotidiano la Repubblica pubblica oggi in merito al fatto che l'inchiesta di Cutro non è finita, che esiste ancora. Avere fiducia nella giustizia e nei magistrati purtroppo sembra essere un'illusione. I processi a Salvini razzista del periodo in cui è stato Ministro degli Interni sono nella palude dei Tribunali e si muovono secondo la logica che si vede sempre nei Tribunali: un parco buoi di avvocati che si scontrano in cui la giustizia si nega invece che affermarsi, con i giudici notai del nulla e non certo interpreti della necessità della giustizia che anche vicende come questa meriterebbero.
A Cutro è stato commesso un crimine, una strage rivendicata dal governo che ha dato alimento a un Decreto razzista, xenofobo, fondato sull'espulsione, sulla legittimazione/rivendicazione del crimine di Cutro. Le morti innocenti di Cutro e le loro famiglie non hanno ricevuto nessuna giustizia e su di esse è caduto il silenzio e questo silenzio è ancora peggiore della morte. E’ come ucciderli una seconda volta.
Uccidere: siamo costretti a parlare un linguaggio di cronaca nera. Crimini, omicidi e così via: è possibile una società fondata sui crimini e gli omicidi? E’ possibile accettarla? Fino a quando la accetteremo? E che significa non accettarla?
Ecco questo è quello che noi per primi ci poniamo e crediamo che tutti si debbano porre.
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