L’Assemblea proletaria anticapitalista è un’assemblea essenzialmente di lavoro, di interventi per conoscere meglio quello che si sta facendo, e, soprattutto, per capire come fare meglio e di più.
Questa assemblea non è un intersindacale, non ha il problema di dichiarare scioperi come fatto principale, anche se tutti i compagni qui presenti fanno parte di organizzazioni sindacali, dallo Slai Cobas al Si Cobas e ad altre realtà.
Non è un intergruppi perché, pur essendoci compagni appartenenti ad organizzazioni politiche o con precise matrici politiche, teoriche ed ideologiche, nell’Assemblea Proletaria Anticapitalista operano per il loro rapporto con le lotte, per contribuire, favorire, la costruzione di un fronte unico di classe, le cui ragioni aumentano.
La costruzione delle lotte in un fronte unico di classe è un lavoro di medio periodo per creare una realtà consolidata di lungo periodo perché esprima tutta la forza e la potenzialità che questo richiede.
Oggi la situazione è peggiore per quanto riguarda la natura dei governi, l’azione dello Stato e l’andamento delle questioni fondamentali: crisi, guerra, dopo la pandemia con tutti gli effetti che ha creato. E’ indubbio che non si possano definire “migliori” o “peggiori” i governi espressione sempre di una dittatura del Capitale e in una fase di crisi e guerra, però nessuno può non vedere che “l’altra collina” del Capitale, dell’imperialismo, dei padroni e sfruttatori, appare oggi più forte anche come compagine governativa, controllo del Parlamento, possibilità di prendere decisioni antioperaie,
antipopolari; mentre dall’altro lato della “collina”, pur emergendo continuamente la necessità di lotte e di unità, la situazione non è migliorata.Noi lavoriamo per uscire dal lungo inverno della lotta di classe, i cui focolai accesi non sono sufficienti per rappresentare un movimento di classe in grado di condurre una guerra all’altezza della guerra che i padroni, lo Stato, il sistema capitalistico ci fa; in condizioni per cui i proletari, le masse popolari, si possano difendere, resistere e costruire la forza per contrattaccare, sia per gli interessi immediati di salario, lavoro, condizioni di lavoro, salute, sanità, ecc., sia per porre delle basi perché non si debba lottare sempre, allo stesso livello e allo stesso stadio, ma si ponga il problema del rovesciamento del sistema, della rivoluzione, perché da qualsiasi lato prendiamo le questioni, pensiamo difficile che senza una rivoluzione, senza un cambio della natura del potere, dei governi, dello Stato, della società, si possano risolvere i problemi fondamentali delle masse, anzi sempre più gli stessi problemi elementari delle masse sono superabili solo con un rovesciamento generale dello stato di cose esistenti.
In questo contesto, dobbiamo guardare oltre le vertenze che quotidianamente facciamo, e che dobbiamo continuare a fare sempre di più e sempre meglio, perché senza il conflitto basilare di classe sui posti di lavoro, sui territori, non c’è niente per chi si muove all’interno del movimento di classe e crede che il movimento di classe, il movimento proletario, popolare, debba prendere in mano tutto: la lotta, l’organizzazione, la strategia, la tattica, la battaglia per il cambiamento, la guerra di classe che è il passaggio stretto per pensare di costruire qualcosa di alternativo.
Noi abbiamo sperato che in questi mesi ci fosse stato un miglioramento generale della situazione dal nostro punto di vista, perché sapevamo benissimo che dai padroni avevamo da aspettarci tutto il peggio.
Il nuovo governo da un lato è in continuità con tutti i governi dei padroni e con l’ultimo di Draghi, dall’altro porta un elemento di discontinuità sul piano della cultura, dell’ideologia, tinge di nero di tutto quello che già faceva parte dei piani dei padroni e dello scontro di classe. E le tinte nere devono essere combattute anche per il loro colore perché significano marcia verso la dittatura aperta, significano cultura/ideologia/sistema che ha lo scopo di cancellare la lotta di classe, di trasformare le masse in sudditi e servi, e di edificare un regime da cui ci vogliono poi vent’anni per uscire.
Questo è un dato aggiuntivo dentro la lotta di classe a cui bisogna dare il giusto peso per trasformare un fatto negativo, perché non c’è niente di più negativo dei fascisti al governo, in doppiopetto, da laboratorio o di strada che siano, in un fatto positivo, nella possibilità che questa situazione sia un fattore di alimento del conflitto di classe, richiami in campo le grandi masse proletarie e ci permetta di dare continuità e di alzare il tiro dello scontro di classe.
E’ in questo contesto che si muove l’Assemblea Proletaria Anticapitalista.
“Assemblea”, perché dobbiamo mantenere uno stile assembleare, finchè non saremo in grado di costruire una forma superiore di organizzazione, più unita, più solida, rispetto alla fragile unità, che evidentemente è importante, con cui ci misuriamo.
“Proletaria”, perché in questa assemblea devono parlare i proletari e chi con i proletari vive e lotta quotidianamente.
Qui dobbiamo praticare una forma di “autonomia dal politico”, non perchè non siamo noi stessi militanti di organizzazioni politiche ma perché senza la riorganizzazione proletaria dal basso e il ruolo di protagonisti dei proletari nelle lotte, nella discussione, nell’organizzazione, non è possibile ricostruire un polo politico della classe che abbia forza, autorevolezza e capacità di unità, di disciplina, di combattimento, che possa rappresentare una forma superiore nello scontro di classe attuale. E questo non significa essere pessimisti, ottimisti, né autoreferenziali; anzi proprio l’autoreferenzialità è il problema più serio che abbiamo nel nostro campo, e su questo il contributo che possiamo dare, più che numerico, è di azione, di idee, di discussione che possano servire a noi a crescere ma anche a contaminare il dibattito generale e a permettere che tutti ci si ritrovi in una forma più alta di Assemblea, di proletari, di anticapitalisti.
“Anticapitalista”, perché non è che tutto il movimento, le lotte, sono di per sé anticapitaliste; esprimono sicuramente contraddizioni sociali dentro questo sistema, ma anticapitalismo è qualcosa di più, è capire che la matrice di tutte le nostre sofferenze, dalla guerra, al reddito di cittadinanza, dalle condizioni della Sanità, ai ragazzi che muoiono per la scuola-lavoro, ai migranti che continuano a morire nei nostri mari e ad essere trattati come schiavi nei luoghi in cui vengono rinchiusi in una fabbrica-prigione, in cui non solo c’è lo sfruttamento ma anche il razzismo, la doppia oppressione. In questo contesto, lottare contro il capitalismo non è uno slogan, è capire la natura, i nessi, anche sul piano teorico, analitico, perché i proletari non possono non avere nelle mani tutti gli strumenti che la storia della nostra classe ci ha consegnato per potere fare la loro lotta..
Assemblea Proletaria Anticapitalista significa costruire gli anelli dell’unità assembleare delle masse, assembleare perché tutti devono avere diritto di parola e di decisione, chiunque si ritenga un’avanguardia, un militante comunista. Una forma superiore d’organizzazione o si rimette alla discussione assembleare dei proletari in lotta oppure, in questa fase più di prima, non è in grado di mutare lo stato di cose esistenti, né sul piano oggettivo né, meno che mai, sul piano soggettivo.
Tessere il filo dell’Assemblea Proletaria Anticapitalista con piccoli passi ma determinati in direzione dell’unità della lotta, dell’organizzazione politica e sociale, è l’unico lavoro per cui valga la pena riunirsi ora e in seguito.
Lavoro che dev’essere messo alla verifica dei fatti. Quando si mette alla verifica dei fatti, teniamoconto che ci sono anche gli altri. Non possiamo passare sotto silenzio che, al di là delle buone intenzioni, alcuni passi che sono avvenuti anche in questi mesi non hanno favorito la ricomposizione di classe, l’unità e il fronte. Primo fra tutti lo sciopero generale del 2 e la manifestazione del 3 dicembre a cui tutti abbiamo partecipato. Ma non sono maturate in queste realtà le indicazioni necessarie per fare i passi in avanti o, meglio, sono maturati in negativo, nel non fare; perchè non serve costruire un ennesimo contenitore, ma occorre trasformare il movimento nel suo insieme.
Noi non vogliamo che si ripetano scioperi come quello del 2, in cui lo sciopero non solo riesce poco – e questo non sarebbe il male – ma diventa marginale, autoproclamatorio, non modifica pressochè nulla nella realtà del conflitto di classe nei vari posti, se non in forme puramente dichiarative. Meno che mai, vogliamo che si riproduca una situazione come quella della manifestazione del 3 che invece che unità ha certificato la frammentazione, l’autoreferenzialità.
L’Assemblea Proletaria Anticapitalista opera dentro questo contesto e, in questo contesto lavoriamo tutti, non tanto perché si allarghi l’Assemblea Proletaria Anticapitalista, quanto perchè si allarghi il metodo e anche il risultato del rapporto tra lotte e nemici di classe nelle forme, nei contenuti, e si contribuisca a creare quel mix necessario tra lotte sociali e orientamenti politici che ci metta in condizioni di opporci ai governi e allo Stato della guerra imperialista, della repressione, dello scaricamento della crisi sulle masse e delle barbarie sociali/politiche/culturali che a questo stadio delle cose si aggiungono, si accavallano, si miscelano nella dimensione della crisi e del sistema.
Le elezioni regionali, a cui nessuno di noi giustamente ha potuto/voluto partecipare, ha visto aumentare l’area dell’astensionismo, del non voto. Ma questo astensionismo purtroppo è solo un sondaggio, una ratifica dell’approfondirsi del distacco tra Stato, governi, e masse; della non rappresentatività all’interno della stessa democrazia borghese dei partiti.
L’astensionismo non è per noi motivo di consolazione, sappiamo esso è nutrito di sfiducia, rassegnazione, ma anche di disimpegno verso una lotta che trasformi lo stato di cose presenti. Quando si dice trasformiamo l’astensione in lotta vale per i compagni, per le realtà che abbiamo organizzato ma è molto più complesso pensare che valga per le masse. Giustamente i compagni di Roma hanno detto: “votare non serve e astenersi effettivamente non basta” e in quel “non basta” è tutto il nostro problema. I governi trovano la forma e il modo per trasformare l’astensione di massa in legittimazione di un potere sempre più dittatoriale e rappresentante della classe dominante.
Per noi significa solo che ci vuole il tempo necessario, non possiamo correre noi senza il cammino delle masse, senza le masse sappiamo che non andiamo da nessuna parte.
Questo non vuol dire non condurre le lotte che facciamo in forme sempre più incisive, anche alzando il livello quando è il caso, perché non è una lenta accumulazione di lotte che tutt’a un tratto diventa “insurrezione”, ma è uno stile di combattimento fuso con le lotte che permette ad un certo punto di trasformarle.
In questo senso non possiamo che salutare con calore e solidarietà ma anche rispetto la battaglia che stiamo facendo per tirare fuori Alfredo Cospito dal 41 bis e restituire questo compagno al movimento e in qualche maniera esserne parte. Si è visto che la lotta d’avanguardia, lo scontro frontale con lo Stato non è avventurismo, se è fondato su ragioni giuste e con un grande potenziale di condivisione e di legittimità; sono forme di lotta che permettono di scontrarsi con lo Stato e i padroni in maniera dialettica, nel senso di effettivo stimolo delle masse, di richiamo della natura vera dello scontro.
L’Assemblea Proletaria Anticapitalista non aspetta un accumulo di forze che non potrà avvenire in maniera pacifica con dibattiti e assemblee... ma cerca di fare un passo avanti, di volta in volta, imparando e trasmettendo le cose che vogliamo fare avanzare.
Dobbiamo portare lo sguardo in avanti, se abbiamo qualcosa da dire e qualcosa da fare, lo diremo e lo faremo, altrimenti dovremo continuare a cercare la via per poter dire e fare.
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