"Allora, io ammetto tutto. Ne ho fatte cavolate dottore, però se mi devo prendere le colpe degli altri no! Dentro la caserma tutti sapevano, non potevi non sapere perché ci si stava dalla mattina alla sera insieme. Si finiva gli arresti e si andava a mangiare insieme, quindi tutti dovevano sapere... fino al comandante".
Giuseppe Montella, il carabiniere ritenuto il capo della banda in divisa della caserma Levante di Piacenza ha vuotato il sacco. Da grande accusato, il militare 37enne di Pomigliano d'Arco, si è trasformato in grande accusatore. Lunedì 29 marzo, all'udienza con rito abbreviato, sono attese sue nuove dichiarazioni.
Nei verbali degli interrogatori fatti dai pm Matteo Centini e Antonio Colonna nei primi giorni di agosto e direttamente dal procuratore Grazia Pradella il 2 ottobre - che Repubblica è in grade di svelare - c'è il racconto di anni (dal 2017 al 2020) di abusi, violenze, pestaggi, spaccio di droga, sottrazioni di denaro e falsità d'ogni genere che si sono consumati tra le mura dello Stato in via Caccialupo e non solo.
Il 22 giugno precedente la Procura ha ottenuto l'arresto di sei militari (altri 3 ufficiali risultano indagati a cui si aggiunge un finanziere) e il sequestro, prima volta in Italia, della Caserma Levante, nell'ambito di un'indagine che coinvolge 23 persone.
Il gruppo di carabinieri "infedeli"
Gli investigatori hanno scoperto che "il gruppo" di divise conduce le indagini contro i pusher del centro
storico di Piacenza usando degli "informatori". Che altri spacciatori in cambio delle soffiate sono pagati con parte dei soldi e della droga sequestrata. Scopre anche che parte dello stesso denaro e dello stupefacente viene sottratto dai militari. Ma c'è anche di più, perché saltano fuori pestaggi e violenze d'ogni genere nei confronti delle persone fermate e una serie infinita di falsi amministrativi, arresti e perquisizioni illegittime. Gli stessi protagonisti dell'inchiesta intercettati, parlano di "stile Gomorra".Il percorso di "Peppe" Montella
Il 5 agosto 2020 Giuseppe Montella viene interrogato dai pm Centini e Colonna, titolari dell'inchiesta. Ci sono gli investigatori della Guardia di Finanza che hanno fatto l'indagine e i suoi difensori, gli avvocati Giuseppe Dametti ed Emanuele Solari. In quei verbali finora inediti Montella afferma di voler collaborare, ammette alcuni fatti, ne ridimensiona altri e nega le accuse più gravi, come ad esempio quella secondo cui le soffiate venivano pagate con droga e soldi. I magistrati però hanno in mano una serie di testimonianze e riscontri di cui il carabiniere non sa ancora.
I pm lo lasciano parlare, poi però Centini inizia a mettere le cose in chiaro: "Montella guardi è un po' difficile per me andare avanti, le dico la sincera verità perché io ho una convergenza molteplice di persone che sostengono di essere state pagate con stupefacente. Ho un suo ex collega, che dice che sto barattolo esisteva (un barattolo di latta nel quale era conservata la droga da dare agli informatori, ndr) e che la caserma è stata messa a posto dai suoi compagni, il giorno prima... (degli arresti dei carabinieri, ndr)". E ancora: "Lei si può difendere nel processo come crede, ma non mi faccia perdere tempo. Non venga qua a raccontarci mezze messe".
Il momento in cui Montella scopre di essere finito e decide di vuotare il sacco
L'interrogatorio viene sospeso per alcuni minuti. Montella parla con il suo legale, raccoglie le idee poi torna a rispondere alle domande dei magistrati e spiega il suo atteggiamento: non voleva tradire i colleghi a cui si sente legato da un vincolo d'onore che diventa sempre più difficile da sostenere.
"Vi chiedo scusa, se ho omesso qualcosa che adesso vi dirò è per questo senso di fratellanza con i miei colleghi, perché tutto quello che si faceva la dentro tutti lo si sapeva. Cioè nella mia mente preferivo prendermi io le colpe per non scaricare i miei colleghi, però a questo punto penso che voi sapete tutto". Comincia così la confessione. La testimonianza prosegue poi e diventa un atto d'accusa contro altri quattro carabinieri (Salvatore Cappellano, Angelo Esposito, Giacomo Falanga e Daniele Spagnolo) e, soprattutto, contro il comandante di stazione Marco Orlando. Angelo Esposito, va detto, si è sempre proclamato innocente sostenendo di non essere stato mai messo al corrente della attività illecita dei carabinieri. E, assistito dall'avvocata Mariapaola Marro, ha scelto il rito ordinario. Ai vertici dell'Arma che lo hanno sottoposto a procedimento disciplinare, ha detto "nessuno potrà mai portarmi via la divisa che mi dà vita e dignità".
"Tutti sapevano, compresi i superiori"
"Tutti lo sapevano - dice Montella con voce ferma - nel senso che non c'è nessuno che non lo sa a partire dall'ultimo fino al comandante, dalla testa ai piedi, tutti sapevamo che ogni tanto davamo una canna... qualcosa. Sapevano che quando si facevano arresti grossi si diceva, 'teniamo due grammi, tre grammi da dare ...'". Gli altri militari arrestati lo accusano di essere lui l'unico responsabile di quanto accaduto e della gestione degli illeciti. Montella però non ci sta più a fare da capro espiatorio e replica: "Dottore io ho sentito dalle celle, non sono stupido, loro sono tutti e quattro vicini... ok? Io sono quello più messo da parte, loro si parlano tutti e quattro, vanno insieme a fare l'ora d'aria, li sento parlare, sento quello che dicono e lo so che mi hanno buttato tutta la merda a me. Ero un loro fratello, ma in carcere nessuno di loro mi ha mai chiesto 'Giuseppe come stai?'".
I confidenti della Levante
"Alla Levante si è sempre andati avanti con i confidenti .... in pratica con le persone che si arrestavano, che si fermavano, si cercava il modo di far nascere una collaborazione: a volte poteva nascere a volte non nasceva. Io avevo confidenti da quando stavo in via Beverona (al comando provinciale di Piacenza, prima del 2010, ndr). Sono sempre stato uno che riusciva ad acquisire delle notizie perché conosco molto Piacenza, quindi conosco molto la città, conosco dal più facoltoso all'ultimo spacciatore. Quando avevo una notizia (una soffiata, ndr) lo faceva presente a tutti, anche al comandante della stazione. Io gli dicevo, 'Comandante, ho ricevuto questa notizia da Lyamani Hamza (uno spacciatore informatore, ndr), mi ha detto questo e questo, è possibile organizzare un servizio in borghese?'. Lui guardava le esigenze lavorative e diceva, 'Domani sì'. A sua volta lui avvertiva il comandante di compagnia Bezzeccheri (Stefano, ndr) e il comandante di compagnia ci autorizzava a prendere la macchina (l'auto per i servizi in borghese, ndr)".
Servizi mordi e fuggi che portavano a piccoli arresti, ma nessuna indagine
Il vertice provinciale dell'Arma, secondo la versione di Montella, impediva indagini strutturate. Il carabiniere racconta un episodio emblematico dopo un servizio di Striscia la notizia. "Quando è successo il fatto dei Giardini Margherita, noi lavoravamo ogni tanto, facevamo un servizio per pulire e liberare i giardini Margherita... è successo che arrivò Striscia che fece casino e il colonnello... all'epoca era Scattaretico (Corrado, ex comandante provinciale, indagato, ndr) alzò un polverone, disse, 'qua questa situazione dev'essere risolta'. E incaricò il maggiore Bezzeccheri. Noi volevamo intraprendere un'attività investigativa, abbiamo chiesto a Bezzeccheri se si poteva mettere qualche tel... (intercettazione, ndr) cioè per dire.. farli così non è facile. Fare così ho detto... può portare qualche numero, ma non può portare a un'attività un po' più sistematica".
"Lui non ha mai voluto attività d'intercettazione, perché poi ci disse che le intercettazioni le stava già eseguendo Rivergaro (Un'altra stazione dei carabinieri di Piacenza, ndr), noi dovevamo fare quello che dovevamo fare. Alla Levante diceva che eravamo in pochi, non avevamo il personale per fare attività investigativa".
I pestaggi e le violenze alla Levante
Montella racconta di schiaffi e botte, ma respinge l'accusa di pestaggi sistematici. Al procuratore Pradella, nell'interrogatorio del 2 ottobre 2020, ricostruisce alcuni episodi accaduti alla presenza ei colleghi.
"El Mehdi (un informatore) ci diede notizia che un ragazzo che frequenta le scuole a Piacenza spacciava comunque nei pressi della scuola e portava sempre con se lo stupefacente di tipo hashish. Si danno appuntamento al Mc Donald's, nei pressi della stazione, questo ragazzo era in compagnia di un altro ... di un altro ragazzo di cui ora non ricordo il nome. Li abbiamo presi dentro e gli abbiamo detto di uscire da locale perché li volevamo portare in caserma per perquisirli perché pensavamo che avevano stupefacente. Eravamo io Cappellano e Falanga. Uno ha negato di avere droga e a preso un paio di schiaffi da Cappellano".
E aggiunge: "ha preso solo due schiaffi, io poi ero in ufficio con l'altro, se ne ha presi 3 o 4 da Salvo o Falanga, non glielo posso garantire, perché io ero a fare la perquisizione dell'altro ragazzo". I due, secondo quanto accertato dall'inchiesta, furono spogliati, uno lasciato nudo nel cortile. Vessati e picchiati, da qui l'accusa di "tortura" che però il carabiniere nega, affermando: "erano stati spogliati per la perquisizione, ma solo in caserma". Tra l'altro, "il cortile è in condivisione con i carabinieri della Forestale, fuori lo avrebbero potuto vedere". In quell'occasione sarebbero spariti dei soldi sequestrati ai due ragazzi, ma il carabiniere nega l'addebito.
Un secondo episodio riguarda un informatore, picchiato per convincerlo a continuare a fare la spia. Montella racconta: "Due schiaffi glieli ho dati e le spiego il motivo perché glieli ho dati. C'erano Falanga e Spagnolo. Ero arrabbiato perché a uno degli ultimi che avevo arrestato Hamza (l'informatore, ndr) aveva dato il nome di mio figlio, dove abitavo. Una persona mi aveva detto, 'guarda, Hamza te la vuole far pagare'. Quindi io mi sento minacciato su mio figlio, l'ho chiamato in caserma, l'ho fatto venire, lui ha negato, io gli ho dato due schiaffi e gli ho detto, 'io ... noi.. il nostro rapporto che può essere di amicizia e poi comunque di lavoro, si deve fermare qua', e da allora non mi ha dato più notizie".
Droga, soldi e armi scomparse
Il racconto è quello di un arresto e di una perquisizione durante i quali i fatti che si sono svolti non sono affatto chiari. La Procura contesta l'ammanco di denaro e di una parte della droga, oltre che di una pistola scacciacani e di un manganello. Montella racconta: "L'arresto di Montone è avvenuto così: Ghormy (un informatore, ndr) ci confida che si recava in macchina con altri soggetti a comprare dello stupefacente da Montone Luca. Si recano con la macchina, se ricordo bene erano i quattro, ... arrivano nella strada, via De Meis (....) Dalla macchina scende Bonetti, si avvicina e suona al portone di Montone, Montone scende e lo vediamo perché lo teniamo tutti quanti a vista, si parlano, se ricordo bene gli dà dei soldi".
"Risale nell'abitazione, riscende, gli dà qualcosa. Avvisto lo scambio e siccome noi eravamo, se non mi sbaglio, in 3 in macchina, quindi non ci potevamo dividere e fermare tutti nello stesso momento, seguiamo la macchina sino al punto dove si fermano, abbiamo trovato un quantitativo di droga". "Poi andiamo a fare la perquisizione a casa di Montone con i carabinieri del Radiomobile e troviamo 30 grammi e 50 euro, ma nessuna pistola o altro". Per quella soffiata "non pagammo niente, perché il quantitativo trovato era piccolo cioè, quando davamo lo stupefacente era perché erano quantitativi più ingenti... cioè io non nego quando l'ho dato. Se abbiamo trovato 30 grammi, è tanto".
Gli atti falsi firmati dal comandante Orlando, e nessuna ispezione
Secondo un passaggio di uno degli interrogatori "Il maresciallo Orlando non partecipava mai alle perquisizioni e firmava gli atti come se fosse stato presente". Si tratterebbe in questo caso di una cosa sistematica per evitare problemi con la procura che durante le perquisizioni pretendeva la presenza di un "ufficiale giudiziario". Tutti gli atti erano preparati da Montella che poi li faceva firmare agli altri carabinieri e al comandante di stazione. Orlando aveva ottimi rapporti con i suoi superiori, ma nessuno controllava nulla.
Dice Montella: "A Bezzeccheri interessavano gli arresti, per il resto non chiedeva". Di Scattariello ricorda due visite, ma nessuna ispezione vera e propria, se ne trova traccia nel memoriale della caserma e nei registri delle visite "custoditi in cassaforte dal comandante". Dall'inchiesta emerge che nessuno controllava quello che realmente succedeva alla Levante. E Montella conferma.
Il premio per l'attività svolta dalla Levante
Montella ricorda di una "segnalazione solenne, per il numero degli arresti effettuati". In quell'occasione fummo "ricevuti da Scattaretico alla festa dell'Arma, io Semeraro, Cappellano, Falanga e Esposito... segnalati dal comandante di compagnia al comandante provinciale che decise chi premiare.
Insomma, prima dell'arresto e dello scandalo della Levante tutti sembravano consapevoli che le cose non fossero esattamente regolari, ma nessuno faceva niente per controllare, anzi una parte dei vertici dei carabinieri di Piacenza preferiva girarsi dall'altra parte e incassare i risultati. D'altra parte i rapporto costi benefici conveniva a tutti: "I confidenti - racconta Montella - non avevano niente in cambio... in pratica la funzione ... del confidente ... perché poi lo capivi ... Come Hamza, quando mi dava le notizie io sapevo perché mi dava la notizia, però non gliel'ho mai chiesto, perché in sé e per sé non mi interessava, in pratica quello ti dà la notizia per eliminare altre persone.... Persone con cui aveva debiti o aveva acquistato dello stupefacente .... Stupefacente non pagato. Io a volte gli davo da mangiare....".
Qualche soldo, qualche grammo di droga e poco altro in cambio di numeri da vantare con i superiori. Poco importa, se come dicono due ex confidenti, erano pagati "con denaro che proveniva dall'attività investigativa, e quindi da perquisizione e con stupefacente su cui si faceva la cresta ...".
Nessun commento:
Posta un commento