Dopo Piacenza - Verona
L'avvocato dei criminali in divisa è stato candidato con i fascionazisti di Forza nuova
Nel 2018 la caserma Levante aveva ricevuto l’encomio solenne per la lotta allo spaccio
Due anni fa,
il 5 giugno 2018,
la stazione Levante di Piacenza, finita sotto sequestro dopo l’arresto
di sei carabinieri, ricevette un encomio solenne in occasione delle
celebrazioni per l’anniversario dell’Arma. Il comandante della Legione
Emilia-Romagna premiò i militari a Bologna con la seguente motivazione:
“per essersi distinti per il ragguardevole impegno operativo ed
istituzionale e per i risultati conseguiti soprattutto nell’attività di
contrasto al fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti”.
nelle 326 pagine dell’ordinanza del
giudice per le indagini preliminari Luca Milani che, attraverso le
migliaia di conversazioni intercettate in sei mesi dalla guardia di
finanza, illustra ciò che avveniva alla caserma Levante di via
Caccialupo a Piacenza. “Lì dentro non c’era nulla di legale” aveva
dichiarato in conferenza stampa il procuratore capo Grazia Pradella.
IL GIOVANE MILITARE – “Qui non mi piace
non ci voglio restare, è tutto un “aumm aumm” (espressione napoletana
per dire che si svolge un compito mettendosi d’accordo irregolarmente).
Se lo possono permettere perché fanno un sacco di arresti ma sai come
fanno? Hanno i ganci”. Aveva
capito tutto un giovane maresciallo in servizio alla Levante. Il giovane militare al telefono aveva riferito al padre, ex carabiniere, le sue sensazioni.
In base alle accuse, i militari coinvolti in un giro di spaccio, arrestavano pusher per mostrarsi più bravi di altri colleghi e per recuperare lo stupefacente da far gestire ai loro uomini di fiducia. Per convincerli a confessare li picchiavano brutalmente e li minacciavano. Ai pm di turno raccontavano menzogne. Secondo quanto riportato dal gip, i superiori erano disposti a chiudere un occhio sulle irregolarità proprio in virtù dell’elevato numero di arresti che dava lustro alla caserma.
capito tutto un giovane maresciallo in servizio alla Levante. Il giovane militare al telefono aveva riferito al padre, ex carabiniere, le sue sensazioni.
In base alle accuse, i militari coinvolti in un giro di spaccio, arrestavano pusher per mostrarsi più bravi di altri colleghi e per recuperare lo stupefacente da far gestire ai loro uomini di fiducia. Per convincerli a confessare li picchiavano brutalmente e li minacciavano. Ai pm di turno raccontavano menzogne. Secondo quanto riportato dal gip, i superiori erano disposti a chiudere un occhio sulle irregolarità proprio in virtù dell’elevato numero di arresti che dava lustro alla caserma.
FESTINI E ASSENTEISMO – Nell’ordinanza si
legge anche di lunghi pranzi in ristoranti della provincia, pomeriggi al
bar o acquisiti nei negozi in orario di servizio e sui verbali i
carabinieri scrivevano di aver svolto pedinamenti. Nell’ufficio del
comandante, a sua insaputa, sarebbe stato organizzato anche un festino
con una escort.
LE ORDINANZE E LE REAZIONI – Il risultato
come noto è di cinque carabinieri in carcere (Salvatore Cappellano,
Angelo Esposito, Giacomo Falanga, Giuseppe Montella, Daniele Spagnolo),
il comandante della Levante, Marco Orlando è ai domiciliari, quello
della Compagnia di Piacenza, Stefano Bezzeccheri ha l’obbligo di dimora,
altri tre carabinieri hanno l’obbligo di firma (Lorenzo Ferrante,
Giovanni Lenoci e Angelo Minniti). L’uomo considerato leader del gruppo,
Giuseppe Montella, al momento dell’arresto si è mostrato impassibile,
qualcuno dei colleghi è scoppiato in lacrime ascoltando i capo di
imputazione che includono, tra gli altri, traffico di sostanze
stupefacenti, torture, estorsione, ricettazione, truffa ai danni dello
Stato. Di falsità ideologica è accusato un finanziere, Marco Marra,
sottoposto all’obbligo di firma. Anche sette civili sono finiti in
manette e altri cinque sono indagati con l’accusa di spaccio di droga.
Nell’ordinanza è riportata anche la foto di due carabinieri sorridenti
insieme a due soggetti indagati per spaccio con in mano del denaro.
“Un’immagine che conta più di mille parole” scrive il gip Luca Milani.
IL LEADER DEL GRUPPO – Il leader del
gruppo, l’appuntato Giuseppe Montella, aveva un tenore di vita
particolarmente elevato: villa con piscina in campagna, undici auto
cambiate nel giro di 9 anni, 24 rapporti aperti con banche altre
società. Inoltre aveva nascosto denaro in una cassaforte della caserma
Levante, “un luogo sicuro” come diceva a un collega non sapendo di
essere intercetto. Tutto è stato sequestrato.
LA DEDICA DEL GIP – L’ordinanza è stata
firmata il 19 luglio, anniversario della morte del giudice Paolo
Borsellino e della sua scorta. “Servitori dello Stato che persero la
vita compiendo il proprio dovere – scrive il gip – A loro si dedica
questo atto di giustizia”.
ALTRE INDAGINI – Oltre all’indagine
coordinata dalla procura di Piacenza, anche la procura militare di
Verona ha aperto un fascicolo ed è stata avviata un’inchiesta interna
all’Arma.
Nessun commento:
Posta un commento