La
storia insegna che per cambiare la società la classe oppressa è
ricorsa inevitabilmente alla violenza organizzata e collettiva per
liberarsi e assicurare così il progresso dell’umanità. (Nella
foto Sesto San Giovanni, operai in armi alla Breda, 1945)
di
Michele Michelino (*)
Minacciare,
demonizzare il nemico, istigare la paura del diverso, reprimere, sono
da sempre alcuni dei modi usati dal nemico di classe per ottenere il
consenso del popolo a politiche reazionarie, mobilitandolo a sostegno
dei suoi interessi. In questo il segretario della Lega Salvini è un
maestro. Tuttavia non possiamo dimenticare che il presente è frutto
del passato. Distruggere l’identità di un popolo o di una classe,
cancellare la sua memoria storica, imporre quella del nemico è
essenziale e funzionale per perpetuare il saccheggio e lo sfruttamento di un popolo o una classe, perché una classe senza memoria è facilmente manipolabile e sfruttabile. Manipolare l’opinione pubblica attraverso i media è una delle forme di controllo del potere economico, che è anche padrone dei mezzi di comunicazione.
Gli editori, i padroni dei mezzi di comunicazione, dei
giornali, TV via cavo, film ecc. sono gli stessi che hanno voce in
capitolo nei partiti di centrodestra o centrosinistra borghesi, e di
qualsiasi colore. Sono Berlusconi, De Benedetti, Cairo, Caltagirone,
il Vaticano e le industrie multinazionali, gli Agnelli, i Pirelli
ecc. Nel mondo i conglomerati delle comunicazioni sono diretti, ad
esempio, da Time Warner e AOL, e da tutte quelle grandi compagnie di
comunicazione in generale con a capo la Westinghouse, la General
Electric ecc. Quindi, gli stessi che producono aerei da guerra,
automobili, gomme per auto e camion, biciclette, biscotti, merendine
e le brioches che si mangiano a colazione, sono gli stessi che
governano l’informazione di tutto il mondo. Molti ex dirigenti
rivoluzionari che volevano cambiare il mondo, davanti alle asperità
della lotta di classe, alle sconfitte, si sono riciclati nei partiti
borghesi, sono passati armi e bagagli dalla parte del nemico
diventando le stampelle, i puntelli, i funzionari del grande capitale
che volevano abbattere e da questo sono ben retribuiti per i loro
servizi. Più volte ci è capitato nelle lotte operaie economiche e
politiche o sociali di arrivare alle trattative con la controparte e
trovarli di là del tavolo dei padroni, a difendere e rappresentarli
o come consulenti, sindacalisti o politici che fino a poco tempo
prima passavano per essere difensori dei lavoratori. In questi anni
di relativa pace sociale abbiamo visto spesso dirigenti ”pseudo
rivoluzionari” che incitavano e mandavano avanti gli altri nelle
lotte, a scontrarsi a mani nude contro la polizia, ma che in realtà
si preoccupavano prima di tutto di «mettere al sicuro il loro culo e
la loro pelle». Il rivoluzionarismo parolaio, “armiamoci e
partite”, che ha al fondo una grande sfiducia nella capacità di
autorganizzazione della classe, ha fatto più danni di un uragano.
L’internazionalismo proletario riconosce il protagonismo operaio,
che la classe è una e internazionale e, che il primo dovere
internazionalista consiste nel lottare contro i propri governi,
comitati d’affari dei capitalisti. Chi si era illuso di poter
cambiare la società in modo pacifico, convincendo i capitalisti
della bontà delle loro proposte, oggi è in preda allo sconforto. In
tempo di crisi e di sconfitta, quando la concorrenza divide i
lavoratori e i proletari mettendoli gli uni contro gli altri, quando
il lavoro di ricomposizione di classe si fa più duro e la
repressione del padrone e dello Stato criminalizza il conflitto,
molti hanno abbandonato il terreno della lotta operaia,
ambientalista, anticapitalista, cercando altri riferimenti. Anche se
oggi la classe operaia è divisa e frammentata, un operaio comunista,
anche se è senza il partito, è un combattente rivoluzionario,
cosciente che il conflitto di classe si deve acuire. Da qui la
necessità di lavorare per la costruzione dell’organizzazione
politica indipendente della classe, di un partito operaio
rivoluzionario, comunista, che si ponga l’obiettivo di distruggere
dalle fondamenta la società capitalista e instaurare il socialismo,
il potere operaio, la dittatura del proletariato, che è la più
ampia forma di democrazia per tutti gli sfruttati. L’imperialismo
impone ai popoli del mondo sottosviluppo, prestiti usurai, debiti con
interessi impossibili da pagare, scambio diseguale, speculazioni
finanziarie non produttive, corruzione generalizzata, commercio di
armi, guerre, violenza, massacri, cui partecipa l’imperialismo
italiano per spartirsi il bottino. In Italia tutti i governi borghesi
di centrodestra, centrosinistra, compreso quello di Lega e 5Stelle,
hanno attuato politiche antioperaie e antiproletarie e finanziato
tutte le missioni di guerra italiane nel mondo, chiamandole
ipocritamente “missioni di pace o umanitarie”. La “democrazia”
capitalista, imperialista, borghese, con le sue frasi altisonanti ma
vuote, è la maschera dietro cui si nasconde il potere del grande
capitale. Aumenta la ricchezza nelle mani di una minoranza di
borghesi, aumenta la miseria per i proletari e gli sfruttati del
mondo.essenziale e funzionale per perpetuare il saccheggio e lo sfruttamento di un popolo o una classe, perché una classe senza memoria è facilmente manipolabile e sfruttabile. Manipolare l’opinione pubblica attraverso i media è una delle forme di controllo del potere economico, che è anche padrone dei mezzi di comunicazione.
La
contraddizione insanabile fra capitale-lavoro, la ricerca del massimo
profitto, produce ogni giorno morti sul lavoro, malattie
professionali e morti del profitto.
Per
il profitto la borghesia combatte una guerra sistematica non
dichiarata che non fa prigionieri, ma che lascia sul campo di
battaglia della lotta di classe morti, feriti, invalidi e il
proletariato cosciente sa che un giorno dovrà necessariamente, suo
malgrado, ricorrere alle armi per spazzar via questa società marcia,
per aprire la via a una società libera dallo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo. Una società socialista che abolisca la proprietà
privata dei mezzi di produzione, dove si produca per soddisfare i
bisogni degli esseri umani e non per il profitto, in cui le morti sul
lavoro per mancanza di sicurezza e di malattie professionali, per
fame, per sete siano considerati crimini contro l’umanità.
Il
capitalismo, l’imperialismo è il cancro dell’umanità e si
arricchisce sulla miseria e sulla morte di milioni di persone nel
mondo, questa è la realtà.
Nonostante
l’inconciliabilità d’interessi tuttavia, sia storicamente che
negli ultimi anni, anche alcuni “compagni” – che dicono di
appartenere alla classe operaia – hanno sviluppato la teoria della
“neutralità”. Questa teoria consiste nel non schierarsi in caso
di aggressioni imperialiste né con gli uni né con gli altri in nome
di una presunta imparzialità della classe operaia, che avrebbe
interesse a solidarizzare solo con gli operai del paese aggredito e
bombardato, non con le altre classi popolari sottomesse, mettendo
così in pratica aggrediti e aggressori sullo stesso piano.
L’indipendenza nell’azione politica del proletariato organizzato
non significa astenersi dalla lotta popolare, ma partecipare con
alleanze e un proprio programma di classe, come fecero gli operai e i
partigiani comunisti durante la lotta di resistenza al nazifascismo.
Altri, davanti ai massacri dell’imperialismo, predicano la “non
violenza”, il “porgere l’altra guancia”. Altri ancora la
“resistenza passiva” che, se pur condivisibile in alcune
circostanze, non lo è in caso di guerra di classe, di aggressione
imperialista. In particolare i sostenitori della non violenza
sostengono una teoria e una pratica che condanna e si schiera “contro
tutte le guerre”, compresa quella di classe fra padroni e operai,
tra sfruttati e sfruttatori, speculando sul desiderio sincero,
profondo, della pace che è nel cuore di tutti gli uomini e di tutte
le donne, ma che avvantaggia solo gli sfruttatori. Una teoria che
chiama gli operai a combattere le ingiustizie all’interno della
legalità delle leggi borghesi fatte dai capitalisti per difendere il
proprio potere, raccomandando alla classe operaia la rassegnazione,
incutendo il timore di combattere per la libertà anche con le armi
in mano. Noi, come Bertolt Brecht, riteniamo che “quando
l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”.
Noi
marxisti siamo pacifici, ma non pacifisti
Noi
ancora ci indigniamo e siamo pieni di rabbia e odio contro i padroni
e i loro governi per i morti sul lavoro, per malattie professionali,
per i massacri di innocenti, di donne, di vecchi e di bambini, che
avvengono giornalmente a causa delle guerre dei paesi capitalisti
(fra cui l’Italia), per il profitto e non crediamo alla pace fra
lupi e agnelli. Anche se siamo per la pace, crediamo che la guerra
contro gli sfruttatori sia necessaria e giusta. Per questo noi non
siamo genericamente contro tutte le guerre, ma solo contro le guerre
imperialiste di rapina; per noi la parola d’ordine di Lenin
«trasformare
la guerra imperialistica in guerra civile»
è tuttora valida e va perseguita e praticata. Per questo serve un
partito della classe operaia e proletaria. A chi pensa di cambiare il
sistema di sfruttamento capitalistico con le elezioni, in modo
pacifico, ricordiamo quello che Lenin ha scritto: «Una
classe oppressa che non si sforzasse di imparare a servirsi delle
armi, meriterebbe semplicemente di essere trattata da schiava».
Oggi l’unica violenza ammessa e “legale” é quella dello Stato
capitalista che la usa a difesa della proprietà privata dei mezzi di
produzione e del suo sistema economico-politico di sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, contro le lotte operaie e sociali che
mettono in discussione il sistema e ostacolano il profitto. In questi
anni molti borghesi pseudo-marxisti al servizio dell’imperialismo
hanno revisionato Lenin e soprattutto Marx – epurato dall’aspetto
del militante rivoluzionario, trasformato semplicemente in un grande
pensatore economista da studiare nelle università borghesi,
nascondendo che è stato proprio Marx stesso che ci ha insegnato che
«… l’arma
della critica non potrebbe mai sostituire la critica delle armi».
Tuttavia noi non siamo, come sostengono i calunniatori del movimento
operaio, fautori della violenza fine a se stessa. Noi costatiamo
semplicemente che la violenza è un fatto sociale, che è la
conseguenza dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo che – per i
borghesi che hanno ricchezze, vantaggi e privilegi – è il mezzo
per mantenere ed estendere il loro dominio. La storia insegna che
ogni classe sottomessa, per cambiare la società, ha dovuto fare
inevitabilmente ricorso alla violenza organizzata e collettiva per
liberarsi e assicurare così il cammino progressivo dell’umanità.
La lotta armata e la violenza furono necessarie nella Resistenza per
sconfiggere il nazifascismo. Lo stesso accadde nella guerra di
Spagna, dove a difendere la Spagna repubblicana, accorsero operai e i
contadini come volontari delle Brigate Internazionali. Lo stesso
accadde durante la Comune di Parigi, primo tentativo del proletariato
rivoluzionario di dare “l’assalto al cielo” e nella Rivoluzione
Proletaria in Russia in cui gli operai e contadini organizzati
presero il potere. Chi detiene il potere e fa leggi usa tutta la
forza dello Stato, la sua violenza “legale” per sottomettere e
reprimere coloro che mettono in discussione i suoi interessi. Una
classe operaia organizzata nel suo partito, che lotta per un sistema
sociale socialista; che lotta contro la società che legittima lo
sfruttamento; che si pone l’obiettivo di abolire la proprietà
privata dei mezzi di produzione e i privilegi, non può illudersi di
conquistare il potere pacificamente e gli esempi storici lo
dimostrano.
(*)
Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”
Pubblicato
su “nuova unità” – rivista di politica e cultura comunista.
Nessun commento:
Posta un commento