venerdì 6 settembre 2019

pc 6 settembre - Per i "produttori della ricchezza sociale" - gli operai - l'unica vera "soluzione" alla crisi è superare il sistema capitalistico

“Nelle contraddizioni, crisi e convulsioni acute si manifesta la crescente inadeguatezza dello sviluppo produttivo della società rispetto ai rapporti di produzione che ha avuto finora. La distruzione violenta del capitale, non in seguito a circostanze esterne ad esso, ma come condizione della sua autoconservazione, è la forma più evidente in cui gli si rende noto che ha fatto il proprio tempo e che deve far posto ad un livello superiore di produzione sociale”. (Marx)...
dalla formazione operaia on-line: APPUNTI DI STUDIO SU MARX E LA CRISI

06 settembre 2019

Vladimiro Giacché: “La Germania sta morendo di austerity. Occorre una nuova politica di investimenti”

Per Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche, serve rilanciare la domanda interna a Berlino come a Bruxelles. Dove serve un vero cambio di paradigma, abbandonando per sempre l'austerity e il fiscal compact

Tobias SCHWARZ / AFP
Drehung, svolta. Deve essere questo il nuovo marchio della politica economica tedesca. Ne è convinto Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche che commenta il crollo degli ordini industriali in Germania, scesi del 2.7% a luglio. «Il modello di crescita deve cambiare». Le
cause della crisi tedesca non sono recenti, ma vengono da molto lontano. «Negli ultimi 20 anni sono stati due i momenti significativi che hanno inciso sui risultati attuali: in primis le riforme Schröder del lavoro tra 2003 e 2005, come Hartz IV, che hanno inciso su una progressiva erosione della domanda interna.
Il disavanzo commerciale che finora ha regalato solo gioie a Berlino adesso presenta il conto
In seguito le politiche di austerity nel 2011 che hanno danneggiato gli avversari europei della Germania ma allo stesso tempo le hanno tolto anche potenziali partner commerciali». Infatti, nel corso degli anni il modello di export tedesco si è spostato dall’Eurozona, sempre più in difficoltà a causa della crisi, a Cina e Stati Uniti. Il disavanzo commerciale che finora ha regalato solo gioie a Berlino adesso presenta il conto.
Non è un caso che proprio in questo momento la Germania sia in grossa difficoltà, «nonostante già da tempo manifesti grossi problemi, visti i risultati negativi a livello industriale già dallo scorso anno e quelli macroeconomici che da qualche trimestre registrano una netta involuzione». La causa sono la crisi commerciale con la Cina, dove si trova adesso la Cancelliera Angela Merkel insieme a un pool di investitori tedeschi, e i dazi degli Stati Uniti, con il presidente Donald Trump desideroso di ristabilire l’equilibrio commerciale con l’Europa soprattutto la Germania.
Una situazione che può incidere anche sui dati italiani. Infatti «la catena di valore che lega Berlino e l'Italia porterà inevitabilmente a un rallentamento anche per la produzione industriale del nostro Paese. Il Nord è già preoccupato, sia il settore legato al comparto automobilistico tedesco sia quello legato al contesto manifatturiero».
È ora che l’Europa comprenda che è necessario cambiare paradigma e tornare a fare vera politica economica
E adesso cosa si fa? Serve cambiare, ma come? «La Germania e l’Europa devono rilanciare la domanda interna. Per farlo Berlino deve innanzitutto attuare una politica di investimenti in infrastrutture e aumentare i salari, come sostenuto anche da Marcel Fratzscher, presidente dell’Istituto di ricerca economica di Berlino. Ormai la politica mercantilistica dell’export non funziona più».
Non attuarle vuol dire recessione, che per la Germania rischia di diventare una vera e propria certezza nel terzo trimestre del 2019. Tanto i surplus commerciali quanto la politica di austerity si sono alla fine ritorte contro i tedeschi. «È ora che l’Europa comprenda che è necessario cambiare paradigma e tornare a fare vera politica economica. La politica monetaria della BCE non basta più». Due le mosse che la nuova Commissione Europea dovrebbe attuare per ritrovare un equilibrio nella domanda interna. «La prima è eliminare il fiscal compact, che non aiuta per niente a rilanciare l’economia europea. La seconda è ridare centralità agli Stati in materia economica. Bruxelles non può decidere tutto da sola».

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