Il 12A, gli scontri, il paese reale
I
movimenti che si sono dati appuntamento a Roma, provenienti da diverse
esperienze di lotta e da diverse parti d’Italia, hanno condotto la prima
manifestazione della primavera all’attacco del governo Renzi. Una
manifestazione di 30.000 persone ha attraversato la città e si è diretta
verso i ministeri responsabili delle politiche dei tagli al welfare e
del minacciato ulteriore attacco alle garanzie minime sul lavoro per la
mano d’opera precaria del nostro paese, attuando senza paura
comportamenti che sono in linea totale con il sentire comune della
maggioranza della popolazione italiana. Un corteo partito sotto il buon
auspicio del Tango Down di Anonymous al sito di Matteo Renzi; e i suoi
numeri, significativi, non ci faranno fermare neanche per un istante
nella lotta quotidiana e ramificata sul territorio – la più importante –
per la penetrazione reale nel tessuto sociale del paese; una
penetrazione che i movimenti per il diritto all’abitare, contro le
nocività ambientali e le grandi opere, per la riappropriazione di tempi e
spazi metropolitani stanno rappresentando di mese in mese, in modo
lento ma finalmente concreto.
L’evidenza di una
diffusa disponibilità giovanile a mobilitarsi e a scendere in piazza,
come hanno dimostrato anche i numerosi pullman arrivati stamattina nella
capitale, non può esimerci dal ribadire quanto la ricerca di tappe di
verifica, e se possibile di attacco massificato alle istituzioni, non
debba né possa cedere a qualsiasi tentazione di scadenzismo. Ma il dato
che ci preme sottolineare è la continuità che questa mobilitazione
determina sia sul dato sociale, che su quello politico: Roma, ormai lo
sappiamo, non è più la città che deve rimanere “intatta”, il luogo dove
ogni appuntamento nazionale deve sfilare disciplinato e dove gli auspici
dei questori di turno debbano venire, di buona o di malavoglia,
rispettati. Ancora una volta i movimenti (romani in primis)
hanno saputo indicare agli sfruttati e agli espropriati della loro città
e di questo paese che è possibile passare dalle parole ai fatti, dagli
sfoghi al bar al progetto; e che il progetto di chi vuole cambiare è
sempre un progetto d’attacco. Un attacco che non può non essere
indirizzato al centro istituzionale e politico rappresentato dal
governo. Un attacco che, proprio perché politico, non potrà che
approfondire sempre più il suo essere al riparo da possibili rapporti di
mediazione.
Attacco in questo caso “velleitario”,
secondo qualche giornalista. Un “assalto”, quello al ministero del
Lavoro (preceduto da lanci di oggetti e manifestazioni di rabbia anche
contro altri ministeri), che è stato impedito e arginato senza
imprevisti dalle forze dell’ordine, ci dicono (naturalmente tacendo i
soliti episodi di accanimento sulle persone inermi e su chi era a terra:
approfittiamo per portare la nostra totale solidarietà a tutti i feriti
e i fermati). Lo sappiamo: non siamo in grado di sbaragliare un
dispositivo enorme di agenti ben armati e invadere i palazzi.
Ciononostante, se è sempre questo il desiderio futuro cui ogni nostro
tentativo allude, la rottura dei divieti di polizia è l’unica pratica
concreta e immediata in grado di ricomporre i soggetti sociali sul piano
della mobilitazione nello spazio metropolitano contemporaneo; e di
farlo non attorno a toni lamentosi buoni forse per legittimare una nuova
lista alle europee, o per accontentare le goffe velleità
para-sindacali di chi pensa unicamente ad aumentare le proprie tessere,
ma verso il segnale che la parte espropriata del paese è capace di
agire e aggregarsi per agire. La soggettività è in corso di formazione e
in divenire, e neanche i rapporti di forza sulla piazza devono essere
concepiti come immodificabili ed eterni. Molto resta ancora da fare sul
terreno dell'autodifesa e dell'organizzazione di piazza, ma il percorso è
stato indicato.
Il sistema informativo mainstream
ha saputo confezionare anche stavolta, del resto, le sue verità già
scritte il giorno prima, copiate dalla precedente manifestazione: la
condanna della violenza di piazza e le astruserie sui gruppetti
organizzati che prendono in ostaggio i cortei. Un disco rotto che da
Rai3 a Rete4, da La7 a SkyTg24, propina una rappresentazione, come
sempre, ridicola e fasulla; non sono i “gruppi” che si organizzano: i
movimenti sanno organizzarsi! E lo faranno, speriamo, sempre meglio e
sempre più con il passare del tempo. I ribelli con le maschere di
anonymous, con i caschi, le bombe-carta e magari anche le molotov
piacciono tanto, del resto, se immortalati dalle telecamere mentre
attaccano ministeri e polizia in Ucraina o in Argentina; piacciono un
po’ anche se agiscono in Turchia, meno se compaiono in Brasile o in
Grecia, ma per quell’accozzaglia di ipocriti che si nascondono oggi
sotto la nobile dicitura di “giornalisti” (con l’eccezione di chi lavora
per testate e piattaforme indipendenti) ciò che non deve mai accadere è
che le stesse pratiche osannate a Kiev o a Buenos Aires si trasformino,
in forme e contesti tra loro diversi, in genuina rabbia italiana.
Un
gioco di menzogne e voltafaccia interessati così palese, crediamo, da
riuscire sempre meno a convincere lettori e telespettatori che, grazie
alla scelta di obiettivi politici comprensibili da parte nostra, tendono
sovente (anche con l’ausilio della rete) a costruirsi narrazioni
autonome degli eventi. Menzogne e voltafaccia giornalistici fabbricati
in tandem con la polizia che, trattando i grandi eventi di protesta come
annunci di apocalisse, decretando la perquisizione dei pullman dei
manifestanti e il loro blocco per creare tensione, facendo pressioni sui
negozianti affinché chiudano il giorno del corteo, tentano di
presentare l’assedio ai palazzi come fosse un assedio alla città. Sulla
stessa onda dei poliziotti sono personaggi patetici come il sindaco di
Roma Marino che, anziché preoccuparsi del debito che la sua istituzione
continua ad accumulare sul groppone di tutti i romani, si abbandona a
commenti sulla violenza e sui “danni alla città” che mostrano la sua
completa continuità culturale – e perciò sostanziale – con il vecchio
sindaco Alemanno (se mai qualcuno avesse avuto dei dubbi e qualcuno, in
effetti – anche a Roma – rischia sempre di averne).
Noi
sappiamo che la violenza non è il tentativo di assaltare un ministero,
ma l’assalto dei ministeri ai nostri interessi sociali, alle nostre
speranze di liberazione e di cambiamento, alle nostre vite concrete.
Tutto ciò che i rapporti sociali esistenti determinano, difesi e imposti
dal complesso dell’apparato istituzionale, è salubre soltanto quando è
conflittuale. Tutto il resto sono chiacchiere morte e tiritere ipocrite
che da molto tempo non siamo più disponibili ad ascoltare.
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