La gente di queste terre conserva il pudore antico di chi non ama esibire il dolore. E ti racconta storie drammatiche chiedendo l'anonimato. C'erano dieci figli, qui, ma due se li è portati via il tumore e altri due combattono contro la stessa malattia. E la mamma, donna forte senza più lacrime, seduta al tavolo della scarna cucina, dice che lei stessa è stata colpita dal male, anche se sembra non curarsene, anche se non sa come andrà a finire. C'è il pudore atavico, ma c'è anche la paura d'essere accusati di esibizionismo, di danneggiare la povera economia locale di questa zona della Sardegna povera tra le povere, il Sarrabus.
È già accaduto, e l'ostracismo sociale si fa più feroce quando c'è di mezzo il lavoro e la già misera occupazione rischia di estinguersi. Perché il poligono è una piccola industria che dà da mangiare a qualche centinaio di persone. Militari, ma anche civili, operai e tecnici altamente specializzati della Vitrosicet, l'azienda legata all'Aeronautica, che controlla i sistemi elettronici degli armamenti impiegati nel poligono e ne cura la manutenzione. Naturale, quindi, che per anni i pochi avventurosi che osavano protestare contro questa e altre basi militari che fanno della Sardegna la regione a più alto tasso di occupazione militare del territorio, abbiano dovuto combattere su due fronti: i militari e i loro alleati, cioè buona parte della popolazione di Villaputzu, di Muravera, di San Vito, Di Perdasdefogu. Paesi dove per anni si sono tenuti convegni presieduti dai sindaci per confutare gli ambientalisti anti base, per dire che nessun danno alla salute poteva venire dai missili e dalle bombe, i cui fragori e le cui nuvole di polvere invadevano case a campagne.
C'è voluta tutta la testardaggine e forse la temerarietà di Domenico Fiordalisi, capo della procura di Lanusei venuto dalla Calabria, dove si è occupato a lungo di antimafia, per bucare il muro d'omertà che ha sempre avvolto il poligono con la sua propaggine a mare di Capo San Lorenzo, costa est dell'isola. Centotrenta chilometri quadrati di terra selvaggia e mare bellissimo, interdetto, però, alla navigazione e alla pesca, e sfregiato nei suoi fondali da ogni sorta di rifiuto militare: obici, bombe inesplose, pezzi di missile, come hanno documentato i sommozzatori inviati da Fiordalisi per inserire anche questo tassello nella mole di dati, reperti, analisi e testimonianze che costituiscono il nerbo di un'inchiesta ambientale che per la prima volta in Italia ha intaccato la sacralità di un'istituzione militare .
Non era mai accaduto che sette generali dell'Aeronautica militare, sei dei quali ex comandanti del Poligono, ma anche due colonnelli, un maggiore, un tenente, oltre a tecnici e ricercatori di società private e dell'Istituto di Scienze ambientali Sarfatti dell'università di Siena, medici e persino un sindaco, quello di Perdasdefogu, per un totale di venti persone, venissero messi sotto accusa per reati che vanno dalla "omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri" al falso ideologico per avere cercato di nascondere la reale portata del disastro ambientale causato dalle attività del Poligono.
L'udienza definitiva del giudice dell'udienza preliminare che dovrà decidere se avviare a processo gli accusati, dopo una serie di rinvii è fissata per il 17 luglio, giorno in cui si pensa sarà pronta la perizia disposta dal Gup per verificare se le attività dentro il Poligono, con la conseguente diffusione di elementi letali per la salute dell'uomo, abbiano o no avuto ripercussioni sul territorio circostante, come afferma la pubblica accusa.
Sta lì da 57 anni il Poligono interforze del Salto di Quirra, essendo stato istituito nel 1956 con il compito preciso di sperimentare nuovi sistemi d'arma. Ma non è un Poligono per le sole forze armate italiane. Qui vengono ad addestrarsi israeliani, turchi, tedeschi, inglesi, paesi della Nato ma anche paesi dell'est e, in passato, persino i libici di Gheddafi. La notte del 27 giugno 1980, in cui l'aereo Itavia diretto a Ustica fu colpito e abbattuto da un missile rimasto misterioso, nel Poligono, secondo alcuni testimoni, erano presenti specialisti libici, che la mattina dopo furono rispediti in tutta fretta a casa.
Gestito dal centro sperimentale volo del comando logistico dell'Aeronautica militare, il Poligono è diviso in due aree. Quella a mare, di 2mila ettari per 50 chilometri di costa, verso cui, attraverso le rampe, avvengono i lanci di missili terra aria che viaggiano verso bersagli simulati e che riducono i fondali a un'immensa pattumiera. L'area a terra, di 12 mila ettari, è invece utilizzata per l'addestramento al tiro dagli elicotteri e con mezzi corazzati e di artiglieria. Qui fino al 2003 vennero lanciati 1187 dei famigerati missili anticarro Milan, di fabbricazione francese, ritirati poi proprio perché considerati pericolosi a causa del rilascio di torio radioattivo contenuto nei loro sistemi di guida. È in quest'area, in zona Torri, esposta a tutti i venti perché a 600 metri sul livello del mare, che avveniva, dal 1984 al 2008, quella sorta di tiro al bersaglio contro munizioni e sistemi d'arma ormai obsoleti, che il Procuratore Fiordalisi cita nell'atto d'accusa contro i generali. "Enormi quantità di munizioni e bombe fuori uso che provenivano dagli arsenali di tutt'Italia e varie teste di missili Nike, che avevano valvole radioattive, con cariche di biglie al tugsteno, altamente cancerogene se vaporizzate nell'aria e respirate... e missili anticarro come il Tow che contiene amianto".
Forti esplosioni che, secondo i periti della Procura, producevano nuvole di nanoparticelle che poi ingerite per via diretta o attraverso il cibo e l'acqua avrebbero provocato un centinaio di morti tra i 167 ammalati di tumori, accertati tra pastori e altri abitanti e dipendenti civili e militari del poligono. Esplosioni provocate anche da altri tipi di esperimenti. Come i bombardamenti contro simulazioni di gasdotti e condotte petrolifere, per testarne la resistenza in caso di attentati.
Oltre ai morti, sostiene Fiordalisi nella sua indagine, vanno contate le deformità di animali e persone. Agnelli nati con un solo occhio e con mostruose alterazioni, secondo le segnalazioni di due veterinari della zona, dalle rivelazioni dei quali è nata l'inchiesta. Ma anche numerosi casi di bimbi malformati e menomati. Nel paese di Escalaplano nei giorni scorsi è morta, all'età di 25 anni, Maria Grazia, una ragazza nata nel 1988 con gravi menomazioni. In quell'anno, nel paesino che conta poco più di duemila abitanti, furono ben 14 i bambini nati con malformazioni o tumori mortali. Il caso di Maria Grazia, della cui mamma Fiordalisi è riuscito, dopo molte e delicate insistenze, ad avere la testimonianza, è raccontato nell'inchiesta ed è uno dei pilastri d'accusa.
La risposta degli scettici è però sempre la stessa: niente di quel che dice Fiordalisi può essere dimostrato. Intanto, dice l'Avvocato dello Stato Francesco Caput, in difesa dei generali e degli ufficiali, "una commissione d'inchiesta parlamentare ha escluso la presenza nel Poligono di uranio impoverito e quindi è escluso qualsiasi collegamento con la salute della gente del posto". E così si avanza la richiesta di un'indagine epidemiologica per dimostrare che l'incidenza dei morti di tumore, sul totale della popolazione del Sarrabus, è irrilevante se non inferiore a quella di altre zone dell'isola. Una richiesta che fa andare su tutte le furie Mariella Cao, combattiva e storica leader antimilitarista di "Gettiamo le basi": "Questi vogliono spalmare i poveri morti su tutta la popolazione. Ma i morti accertati, un centinaio, sono tutti concentrati tra i pastori della zona e nella frazione di Quirra. Guarda caso nelle zone più esposte alle esplosioni".
Il giudice Nicola Clivio che presiede il procedimento preliminare per decidere se mandare a processo i 20 accusati, ha ammesso ben 62 parti civili. Un numero straordinario di parti offese: oltre ai parenti delle vittime, i pastori sfrattati dal Poligono, associazioni ambientaliste, la Provincia di Cagliari, i Comuni di Villaputzu, Ulassai, Tertenia e Villagrande e persino una decina di abitanti che pur non lamentando danni diretti, rivendicano però il danno da esposizione. Manca invece il governo e, soprattutto la Regione Sarda.
In silenzio, attenta a ogni fase del dibattimento, c'è una donna che non ha quasi mai perso un'udienza nel tribunale di Lanusei. È la madre di Valery Melis, il militare di Cagliari morto a 26 anni per un linfoma di Hodgkin dopo una missione in Kossovo e vari addestramenti nel poligono di Capo Teulada. È stata la prima a denunciare il legame tra le esplosioni e le morti per tumore di militari e civili. In primo grado, in sede civile il governo è stato condannato a risarcire la famiglia di Valery. Poi, dice lei con un sorriso mesto, "c'è stato il ricorso del governo e ancora aspettiamo giustizia".
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