ICHINO
Il “bersaglio del terrorismo di sinistra”, come ama dipingersi Pietro Ichino, in questa vicenda ha assunto una posizione non totalmente appiattita su quella della Fiat, ma, in un certo senso, con un occhio più generale. Per cui in un'intervista resa al Mattino esprime il suo scetticismo sul referendum, dicendo sostanzialmente che anche se ci fosse stato un plebiscito del 90% il problema non poteva essere considerato risolto. E fa quindi tutta una serie di obiezioni sul piano giuridico.
“La deroga al contratto collettivo nazionale – scrive Ichino - oggi in Italia è possibile solo se accettata da tutti i sindacati e questo non vale solo per la deroga in peggio, contenuta nell'accordo Fiat, ma anche per le nuove forme di organizzazione che consentono di aumentare la produttività del lavoro sposando un modello diverso rispetto a quello sancito dal CCNL”.
Ichino alza il tiro anche contro l'ipotesi Newco: “La nuova società non potrebbe essere utilizzata per una selezione tra i lavoratori, lo vieta la norma comunitaria sui trasferimenti di azienda. Questa norma garantisce ai lavoratori la continuità del rapporto con tutti i diritti maturati in precedenza. La Newco potrebbe valere solo non iscrivendosi a Confindustria per sottrarre lo stabilimento al campo di applicazione del CCNL di settore e all'accordo interconfederale sulla struttura della contrattazione collettiva dell'aprile 2009.
Ci sarebbe da essere contenti del fatto che Ichino ha detto finalmente qualcosa di sinistra. Ma dove vuole andare a parare il “bersaglio”?
“La cosa un po' sconvolgente – dice Ichino - è che un piano innovativo presentato da una delle maggiori multinazionali dell'automobile sia incompatibile con il nostro sistema di relazioni industriali”. Quindi, ciò che Ichino vuole è in realtà che ci sia prima una modifica legislativa del nostro sistema che possa legittimare un accordo come quello della Fiat.
E' questo l'assist che Ichino dà al governo e che richiamerebbe in gioco il PD come componente essenziale nel quadro moderno fascista neo corporativo che l'accordo spinge e richiede.
DAMIANO
Il Ministro del lavoro Sacconi è un fanatico socialfascista. Questo carattere del Ministro ha fatto ritornare nelle fila dei lavoratori in auge il precedente Ministro del lavoro, Damiano che di Fiat, peraltro si intende molto. Viene dall'essere il capo storico della destra Fiom all'epoca dell'accordo Fiat; anzi si può dire che è diventato ministro grazie al ruolo al servizio della Fiat che in quegli anni ha svolto. Sappiamo bene, poi, che come Ministro del Lavoro nell'epoca di Prodi ha avuto un ruolo nel svolgere una funzione di cerniera con quello che veniva presentato come “governo amico” ma che nella sostanza così non era.
Per questo anche la “carta Damiano” è stata giocata in funzione antioperaia nelle ore dell'accordo e del referendum; e anche Damiano ha usato un argomento non scontato:
“La Fiat per Pomigliano non chiede niente di diverso dagli accordi già in essere a Melfi” - si allude naturalmente all'accordo del '93. “Anche lì c'erano circa 5 mila posti di lavoro nuovi al sud che ben valevano l'accordo capestro e ricattatorio che all'epoca fu fatto”.
Anzi, dice Damiano confortato dai sindacati lucani, alcune cose risultavano perfino più penalizzanti, come la doppia settimana di notte “la doppia battuta”, la flessibilità salariale (cioè i salari più bassi), come la percentuale di pagamento dello straordinario (a cui a Melfi si rinunciava). Quindi, in sostanza, sostiene Damiano con il consenso del segretario Uil della Basilicata, Pomigliano è come a Melfi.
A parte che Damiano dice solo una mezza verità, nell'accordo capestro di Melfi non si toccava la malattia e il diritto di sciopero, anche se nei fatti l'applicazione alla Fiat Sata è stata in quegli anni di netta messa in discussione nei fatti della malattia con i lavoratori costretti ad andare a lavorare malati e il diritto di sciopero, anzi pure aprire la bocca, fu soffocato con la violenza di 9 mila provvedimenti disciplinari e licenziamenti politici; ma è obiettivamente osceno che Damiano, che poi vuol dire PD, maggioranza Cgil, minoranza Fiom, cancelli il fatto che quei 10 lunghi anni di Melfi, di dittatura dello sfruttamento furono rovesciati e sconvolti dalla più grande rivolta e blocco prolungato dei 21 giorni.
Provocatoriamente diremmo: speriamo che l'accordo a Pomigliano passi e che provochi in tempi meno lunghi del decennio nero di Melfi una rivolta come quella dei 21 giorni che, data la storia della lotta a Pomigliano e la coscienza e l'organizzazione generale in questa fabbrica comunque esistente, è davvero quello che ci vuole per mettere in discussione non solo questo piano ma il sistema che lo produce.
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